Omelia (29-03-2009)
Paolo Curtaz
Il dubbio di Dio

Dio ha un solo desiderio: salvarmi, rendermi felice, colmare il mio tiepido cuore di ogni tenerezza. Dio si è scomodato per venire a dirmelo di persona, Gesù, figlio di Dio, svela compiutamente il disegno di Dio e, dice, è disposto a morire per questo.
Ci è chiesto, in questo percorso di vita che è la Quaresima, un’ennesima conversione: passare dall’idea di un Messia trionfante a quella un Messia dimesso, da un Dio da corrompere e con cui mercanteggiare al Padre che sa di cosa hanno bisogno i propri figli, da un Dio misterioso e lunatico che ci giudica con severità, al Dio che desidera la nostra felicità più di quanto noi stessi la desideriamo...
Siamo liberi, splendidamente, drammaticamente, perché l’amore è libero e rende liberi. Dio corre il rischio del rifiuto, accetta il fatto che possiamo scegliere le tenebre, pur di non lasciare che le nostre opere vengano alla luce.
Ma noi, discepoli fragili e appassionati del Maestro, dimoriamo nella verità che è il Vangelo.
Di fronte alla libertà dell’uomo, Gesù resta spiazzato: il grande progetto di annuncio del Regno portato avanti con passione in tre anni, si sta rivelando un fallimento.
Dopo gli entusiasmi degli inizi, la folla considera Gesù un bidone: i romani sono ancora lì, i malati sono sempre numerosi, il regno messianico, ingenuo e trionfante, non è venuto.
Poco è cambiato. Il Nazareno non è il vero Messia.

Il Dio turbato
Filippo è contattato da alcuni greci che vogliono vedere Gesù.
Si aspettavano di incontrare un grande filosofo saggio disposto a condividere con loro la sua dottrina.
E, invece, trovano un uomo turbato e dubbioso, che vede in quell’interessamento da parte dei pagani una specie di segnale, un’intuizione della propria fine.
Tutto si sta compiendo, dunque, sta per suonare l’ultima campana.
Questo Dio che accetta il limite dell’uomo, che sceglie, come noi, che sbaglia, come noi, si rende conto, ora, che sta per compiersi la sua ascesa al Padre.
Non è bastato quanto detto, né i segni, né il volto svelato del Padre. Tutto inutile: l’uomo non sembra in grado di cambiare, preferisce tenersi un Dio severo e scostante, un Dio da servire con sfarzose cerimonie e da corrompere con sacrifici.
Forse, siamo sinceri, hanno ragione i suoi contemporanei: è troppo esigente un Dio che ama, troppo diverso. È meglio praticare una religiosità fatta di regole rassicuranti, meglio una religiosità equilibrata, con i suoi limiti e le sue promesse.
Cos’ha tanto da arrabbiarsi, il Nazareno? Si è sempre fatto così!
Gesù si è incupito: le cose sono diverse, ora, impreviste.
Sì, certo; alcuni lo hanno seguito, anzi sono entusiasti, ma durerà? E i suoi amici, quelli che ha scelto, che ha seguito, che ha istruito, che ha amato, saranno capaci? Gesù pensa a quei quaranta giorni passati nel deserto di Giuda, tre anni prima.

Il deserto
Nel silenzio assordante del deserto, con il vento che faceva socchiudere gli occhi, vagando tra le rocce spigolose e colorate, nella preghiera aveva scelto dentro di sé il sentiero da seguire: non avrebbe compiuto gesti eclatanti, né mostrato i muscoli, ma donato un amore compassionevole e disarmato.
Non era stato forse lo stile fino ad allora scelto dal Padre?
Non era forse stata l’esperienza di Israele, quella di sperimentare l’amore di un Dio grande e misericordioso, pieno di attenzione e di premure?
Se non era bastato, se l’uomo continuamente oscillava tra quella e la visione di un Dio così meschino e simile agli uomini, non era forse per un difetto di comunicazione?
Ma ora, finalmente, lui era lì! A dire il Padre!
Il Padre aveva talmente amato il mondo da mandare il proprio figlio a dire agli uomini che Dio vuole la salvezza e quella soltanto!
Che fare, ora? Arrendersi? Lasciar perdere, sparire? Abbandonare l’uomo al suo destino?
Una scelta, l’ultima, assurda, paradossale, esiste: la sconfitta.
Lasciarsi andare, consegnarsi, sparire... forse servirà a far capire che parlava sul serio.
Forse.
Come esserne certi? È in gioco la libertà degli uomini, non quella di Dio.
Bisogna morire, come il chicco di frumento.
Scommessa ardita, rischio inaudito, follia.
Davanti alla morte donata, davanti ad un Dio morto e nudo, mostrato, osteso, l’uomo davvero capirà?
Uscirà dalle tenebre, finalmente?


Sì, Signore, ora possiamo dirtelo, rassicurarti.
Sì, Signore, davanti a quel gesto il nostro cuore si ferma, ha un sussulto.
Questa è la misura del tuo amore?
Questo è il tuo volto, Dio sconfitto?
Tu mi ami fino a questo punto?

Noi
E noi discepoli, sconcertati, meditiamo questa parola luminosa e inquietante: per vivere, spesso, dobbiamo affrontare una morte. E questo ci spaventa.
Non siamo convinti che la miglior vita possibile sia quella senza guai? Senza intoppi? Senza sofferenza? Non ci viene ripetuto nelle mille immagini ingannevoli del quotidiano?
Il Signore ci dice che se vogliamo avanzare, rinascere, dobbiamo prepararci a morire a qualcosa.
È vero: lo sposo "muore" al suo egoismo per dedicarsi alla sposa. La sposa "muore" sacrificando la sua libertà per dare alla luce un figlio. Il volontario "muore" dedicando il suo tempo libero all’ammalato. Eppure tutti questi gesti danno luce ad una dimensione nuova, all’amore, ad una nuova creatura, alla solidarietà.
L’immagine del parto dice bene questa logica intessuta nelle cose: le doglie sono necessarie per dare alla luce una nuova creatura.
Ma, è certo, accettare questo discorso è difficile. Quando stiamo soffrendo non pensiamo alla vita che ne scaturirà. Quando stiamo male facciamo fatica ad intravedere il dopo. Quando siamo, come il chicco, al buio e al freddo della terra, non pensiamo a un Dio misericordioso, ma a un despota che permette la nostra sofferenza.

Gesù ha paura di questo momento, quanto è umano questo Dio impaurito!
Eppure ne capisce il disegno, la necessità, e accetta di morire.
Per amore, solo per amore.
Abbiamo il coraggio di morire a noi stessi, come ha fatto il Signore Gesù.
Di imparare ad obbedire alla realtà, per portare frutto.
Allora, e solo allora, nel nostro cammino di desertificazione, di essenzialità, deposti i pesi, scopriremo quanto Dio ci ama, e vedremo, oggi, nel cuore, con lo sguardo della fede, il Signore Gesù.