Omelia (12-04-2009) |
Il pane della domenica |
“Non abbiate paura! È risorto!” Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto 1. Siamo qui per ascoltare una notizia che ormai conosciamo da lungo tempo, per averla sentita ripetere tante e tante volte: il rischio è di non riuscire a percepire la forza sconvolgente di un messaggio che ancora una volta ha squarciato il buio della notte appena trascorsa; il rischio per chi l’ascolta è di non arrivare a comunicare ad altri l’alta tensione dell’annuncio più strabiliante di tutta la storia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, è risorto! Forse si saranno trovati nella nostra stessa situazione Paolo e Timoteo, quando, ad anni di distanza da quell’evento, l’apostolo scriveva nella sua seconda lettera al fedele discepolo: "Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti" (2Tm 2,8). Strano, davvero strano questo richiamo di s. Paolo: raccomanda a Timoteo di ricordare un avvenimento che, quando è riconosciuto come vero, non può più andare a finire nel dimenticatoio. Sarebbe come dire a una giovane sposa, che ha appena partorito un bimbo tanto desiderato: "Ricordati che sei diventata mamma". O ad un cattedratico ormai affermato: "Ricordati che tanti anni fa ti sei laureato". Oppure ad un automobilista, rimasto gravemente infortunato in un incidente stradale, e degente da vari mesi in un reparto di ortopedia: "Ricordati che sei ricoverato in ospedale". Perché dunque quel richiamo così forte di Paolo apostolo a ricordare un evento tanto noto, sicuro e irrefragabile? Perché una raccomandazione tanto accalorata a non oscurare mai un dato talmente affermato dai credenti da risultare risaputo, e talmente risaputo da apparire ormai scontato? Proprio perché l’annuncio della risurrezione di Cristo rischia di riuscire notizia ovvia e abbondantemente "passata", perché non più "nuova" e perciò irrimediabilmente sorpassata. Oggi in Europa - notava Giovanni Paolo II - molta gente, anche tanti cristiani, vivono come se Cristo non fosse morto per noi, come se non fosse veramente risorto. È la nostra situazione: noi rischiamo di tenere il fuoco della più bella notizia di tutti i tempi sotto la cenere di una annoiata sazietà, sepolto sotto la pietra tombale di una indifferenza impassibile e incallita. Il richiamo paolino non è tanto una pia esortazione a ricordare una notizia importante o a rilanciare una informazione dovuta; è un invito pressante a tener conto di un avvenimento, e a tenerne conto non intellettualisticamente, ma esistenzialmente; insomma s. Paolo ci mette in guardia dal ridurre l’evento capitale della storia, il nucleo incandescente della nostra fede, ad un argomento più o meno interessante da trattare in una devota conversazione religiosa o in un intrigante talk-show televisivo. La risurrezione di Cristo infatti fa la differenza, la grande differenza: "Certa è questa parola - scrive sempre Paolo - se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo" (2Tm 2,11s). 2. Proviamo perciò ad esplicitare la ricaduta di questa differenza. Se Cristo non è risorto, allora l’uomo è un pacco postale, spedito dall’ostetricia all’obitorio; allora la vita è un geroglifico indecifrabile e la storia un rebus incomprensibile; allora la fede è una pia illusione, la speranza una utopia frustrante, la carità un’elemosina umiliante per chi la fa e per chi la riceve; allora la preghiera è soliloquio, la liturgia è archeologia, il sacramento cerimonia, la missione propaganda. Se invece Cristo è risorto, allora l’uomo non è un nato non voluto, ma un figlio da sempre amato, gratuitamente candidato alla felicità eterna; allora la vita è un dono incalcolabile e la storia un cammino, per quanto tortuoso e faticoso, infallibilmente diretto alla casa del Padre; allora la fede si fonda su una roccia incrollabile, la speranza è la grande leva che innalza il mondo, la carità è la declinazione dell’amore della Santa Trinità nel nostro quotidiano; allora la preghiera è incontro, la liturgia esperienza, il sacramento azione dello Spirito, la missione sinergia con Cristo, il primo missionario, l’instancabile pellegrino che continua a camminare con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo. 3. "Di questo noi siamo testimoni": ma come possiamo essere testimoni di un evento accaduto duemila anni fa? Le condizioni di possibilità per dare testimonianza della risurrezione di Gesù sono due: prima, che quel fatto non sia archiviabile negli annali di una storia di per sé irripetibile; e, seconda, che noi ne siamo tangibilmente, personalmente, vitalmente coinvolti, al punto da poter dire a tutti: "È così vero che è risorto che egli vive in noi, e voi potete vederlo". In effetti la risurrezione è un avvenimento che, per natura sua, non può essere chiuso e sepolto nel passato. Dire che Cristo è risorto significa dire che è vivo oggi: ed è quanto si ricava dagli ultimi due versetti del vangelo di s. Marco. Leggiamo testualmente: "Il Signore Gesù, dopo aver parlato con i suoi discepoli, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio". Qui ci aspetteremmo la parola fine. In effetti, cosa si può aggiungere a quell’evento assolutamente insuperabile qual è la risurrezione di Gesù e la sua glorificazione-ascensione al cielo? A prima vista si dovrebbe concludere che, dopo essere entrato nella gloria celeste, lui non abbia più nulla da dire alla nostra desolata esistenza, più nulla da fare sotto il nostro cielo cupo, non abbia più alcun passo da muovere sullo stretto marciapiede della terra... E invece paradossalmente l’evangelista aggiunge: "Allora essi partirono e annunciarono (il vangelo) dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro (lett. "agiva sinergicamente") e confermava la parola con i prodigi che la accompagnavano". Ecco cosa avviene con la risurrezione: il Signore Gesù non solo non si sottrae alla nostra presa, ma continua ad operare con noi; entra in quella misteriosa ma realissima sinergia che gli permette di rendersi vivo e presente oggi, dappertutto, là dove ci sono almeno due cristiani risorti a vita nuova e riuniti nel nome suo, secondo la sua indefettibile promessa: "Là dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io in mezzo a loro" (Mt 18,20). Ed ecco come noi possiamo essere testimoni di questo evento: se lo lasciamo accadere in noi; se permettiamo a Cristo di risorgere in noi, di operare il bene attraverso di noi, di continuare a lottare contro il male, l’egoismo, la cattiveria che c’è dentro e fuori di noi. Se noi risorgiamo da una vita trascinata, da una fede languida, da una speranza spenta, da una condotta incoerente, noi diventiamo i testimoni credibili e convincenti del Signore risorto. Come ci ricorda l’apostolo Giovanni: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli" (1Gv 3,14). Nella santa eucaristia noi "annunciamo la morte del Signore; proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta". Non solo ricordiamo la risurrezione di Cristo, ma la rendiamo presente qui e ora per la grazia del suo stesso Spirito. Possiamo allora accogliere l’invito di s. Paolo: "Offrite voi stessi a Dio, come vivi tornati dai morti" (Rm 6,13). Se siamo risorti con Cristo, offriamoci con lui al Padre, mettiamoci a sua disposizione per aiutare i tanti fratelli "morti" attorno a noi a risorgere a vita nuova, a una vita bella e buona, finalmente riconciliata, irreversibilmente offerta, una vita illuminata dall’amore, inondata dalla pace, profumata dalla grazia. "Cristo, nostra gioia, è risorto": è il saluto pasquale, caro all’Oriente cristiano; è l’annuncio della nostra salvezza; è la professione della nostra fede. "Cristo risusciti nei nostri cuori!": è l’augurio che ci scambiamo, l’impegno che ci assumiamo, la bella notizia che vogliamo comunicare a tutti, con la grazia, la forza e la pace di Cristo risorto. Commento di Mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2008 |