Omelia (09-04-2009) |
Agenzia SIR |
È con questa Messa che inizia il Triduo Pasquale perché si fa memoria dell'ultima Cena in cui il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, amando sino alla fine i suoi che erano nel mondo, offrì a Dio Padre il suo Corpo e Sangue sotto le specie del pane e del vino e li diede agli Apostoli in nutrimento e comandò loro e ai loro successori nel sacerdozio di farne l'offerta. Secondo un'antichissima tradizione della Chiesa, in questo giorno sono vietate tutte le Messe senza il popolo. I libri liturgici consigliano che la Messa "In Coena Domini", con la partecipazione piena di tutta la comunità, si celebri sul far della sera. Solennità e intimità per rivivere, insieme a Gesù, le ultime ore della sua vita trascorse con i suoi discepoli e durante le quali il Signore dice e fa le cose più importanti: istituisce l'Eucarestia (Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue) e il sacerdozio ministeriale (Fate questo in memoria di me) mostrando ai dodici come bisogna viverlo (Se Io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri); lascia il Suo comandamento (Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri) e il suo testamento (Padre, coloro che mi hai dato siano una cosa sola, come noi e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me). In una parola, come dice Giovanni, "dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine". In questo "fino alla fine" c'è la misura fuori ogni misura, temporale e quantitativa: fino all'ultimo istante, fino all'ultima goccia di sangue. Di più non era possibile, neppure a Dio! Sempre in quell'ultima Cena – che da allora prenderà il nome di Gesù: "In Coena Domini" (Nella cena del Signore!) – Gesù conoscerà anche il più ingiusto dei dolori, il bacio di Giuda che lo vende per quattro soldi. Non si comprende appieno il cristianesimose non si partecipa a questa "Cena". Nelle splendide cattedrali o nelle più modeste parrocchie di periferia. Ovunque una comunità si raccoglie il Giovedì Santo, sul far della sera, lì si sente ancora la temperatura del cenacolo. Chi è Dio? L'apostolo Giovanni, che durante quella cena aveva il capo appoggiato sul petto del Signore, fino a sentirne i battiti del cuore, ha osato rispondere a questa domanda. E per due volte, nella sua prima Lettera, ha scritto: "Dio è amore". Così si esprime un maestro dello spirito: "L'amore, qui, non è un attributo, neppure il primo, di Dio. Qui l'amore è il soggetto, Dio. Tutti i suoi attributi, allora, sono gli attributi dell'amore. È l'amore che è onnipotente, sapiente, libero, buono e bello". Due cose restano nella vita: l'amore e il dolore. Restano e vanno insieme. Nella ricerca del perché, ho trovato questa storia. "Un uomo che per tutta la vita aveva sofferto, disse a Dio prima di morire: «Dio mio, se esisti, ti perdono». Lasciando vagare la mia immaginazione, mi piace rappresentarmi Dio mentre ascolta questa preghiera (giacché di preghiera si tratta). Egli sorride gravemente, senza ironia. Accetta seriamente il perdono dell'uomo. Ricorda la sua esitazione nel correre il rischio della sofferenza umana e della immolazione dell'Agnello. Ed apre umilmente le braccia perché vi si abbandoni quel suo figlio straziato e pacificato". Anche in questo nostro tempo molte restano le domande intorno a Dio. Le risposte, però, sono date tutte in questi giorni del Triduo Pasquale, a cominciare da stasera, dalla Messa "In Coena Domini". Stasera, dopo la cena del Signore, è antica tradizione visitare gli altari della "reposizione dell'Eucaristia", istituita in quelle ore, alla vigilia della pasqua di passione, morte e resurrezione di Gesù: dopo quell'ultima Cena, insieme ai discepoli, si avviò al monte degli Ulivi. Le circostanze precipitano: il sudore di sangue, l'arresto, il giudizio, l'umiliazione, la condanna, il viaggio al calvario, la crocifissione, la morte, il sepolcro, il mattino di Pasqua. L'Eucaristia contiene tutto questo e di più: è la presenza, misteriosa ma reale, di Gesù che resta con noi fino alla fine del mondo. La presenza di Gesù nell'Eucaristia è la più grande e straordinaria, perché tocca la materia, il pane e il vino, ma anche la più difficile perché chiede di vedere oltre, con gli occhi della fede. La fatica del credere non è ostacolo, ma occasione per una più chiara manifestazione del Signore risorto, come fu per il dubbio dell'apostolo Tommaso. Lanciano, piccola cittadina abruzzese, conserva il più straordinario miracolo eucaristico della storia. Così recita un'epigrafe: "Circa gli anni del Signore 700 in questa chiesa allora sotto il titolo di san Leguntiano dei monaci di san Basilio dubitò un monaco sacerdote se nell'Hostia consacrata fosse veramente il Corpo di nostro Signore e nel vino il Sangue. Celebrò messa e, dette le parole della consacrazione, vidde fatta Carne l'Hostia e Sangue il vino. Fu mostrata ogni cosa ai circostanti et indi a tutto il popolo. La Carne è ancora intiera et il Sangue diviso in cinque parti disuguali che tanto pesano tutte unite quanto ciascuna separata". Questo nel 1636. Le analisi scientifiche (anatomia e istologia patologica, chimica e microscopia clinica) più recenti (1970 e 1981) hanno dato questo referto: "La carne è vera carne. Il sangue è vero sangue. La carne e il sangue appartengono alla specie umana. La carne è un cuore completo nella sua struttura essenziale... La carne e il sangue hanno lo stesso gruppo sanguigno: AB... Nel sangue sono state ritrovate le proteine normalmente frazionate con i rapporti percentuali quali si hanno nel quadro sieroproteico del sangue fresco normale". Commento a cura di don Angelo Sceppacerca |