Omelia (05-04-2009)
mons. Antonio Riboldi
Dio si fa vicino a noi

Stiamo entrando nella Settimana Santa, dopo il lungo periodo della Quaresima, che nella mente di Dio e della Chiesa era un accostarsi al grande Mistero della Resurrezione, risorgendo anche noi con la conversione, la penitenza, l'ascolto della Parola e la carità dal digiuno.
La Settimana Santa non può essere ridotta a un ricordare eventi, grande manifestazione di quanto Dio ci ama concretamente, solo con una partecipazione rituale, ma occorre farsi immergere in questi Misteri, che hanno inizio oggi con la domenica delle Palme e culmineranno con la Pasqua, 'il nuovo giorno del Signore, che non avrà più terminé.
Ascoltiamo quello che Paolo VI in questa occasione, nel 1966, diceva ai fedeli:
"Siamo nella Settimana Santa, quella che nella tradizione della Chiesa è stata chiamata ‘la GRANDE SETTIMANA’. Citeremo una bella pagina di San Giovanni Crisostomo (verso la fine del IV sec.). ‘Eccoci finalmente giunti alla fine della santa Quaresima...per grazia di Dio siamo arrivati a questa grande settimana... Perché la chiamiamo grande? Perché in essa si sono verificati per noi alcuni beni grandi e ineffabili. In essa infatti si è conclusa la grande guerra, estinta la morte, cancellata la maledizione, soppressa la schiavitù del demonio. Dio si è riconciliato con gli uomini, il Cielo si è fatto penetrabile, gli uomini con gli angeli si sono uniti, le cose che erano distanti si sono congiunte, rimossa la barriera, il Dio della pace ha reso pacifica ogni cosa sia in cielo che in terra’.
E’ cioè questa Settimana, in cui la Chiesa ravviva la memoria che rende operante il Mistero della nostra Redenzione, cioè della nostra elezione alla vita cristiana e della nostra salvezza. Voi tutti troverete naturale che noi profittiamo di questo incontro per esortarvi ad attribuire a questa Settimana l'importanza che le è propria e a considerarla centrale e decisiva per il corso spirituale di tutta l'annata.
Questo comporta un dovere, conferisce un diritto: quello di partecipare, in qualche forma e misura alle celebrazioni della Settimana Santa. Questa non è semplicemente un momento dell'anno liturgico, ma è la sorgente di tutte le altre celebrazioni dell'anno liturgico, perché tutte si riconducono e si riferiscono al momento pasquale".
Ora tocca a ciascuno di noi entrare in questo spirito, anzi immergersi non come spettatori, ma come attori....per la nostra Pasqua!
DOMENICA DELLE PALME
Ci volle un gran coraggio da parte di Gesù per entrare in Gerusalemme quel giorno, che ora chiamiamo ‘delle palme’. Sapeva molto bene e Lo avevano avvertito gli stessi Apostoli, che ormai 'il vaso dell'odio, della volontà di togliere di mezzo Uno che disturbava o addirittura, secondo i farisei, metteva in discussione la religione dei Padri, traboccava'.
Gli Apostoli avevano la sensazione che questa volta sarebbe successo qualcosa di tragico, ma non prevedevano la morte di Gesù, tanto meno la tragedia della passione e crocifissione. L'aveva detto, sì, tante volte, Gesù, senza mai essere capito: un giorno ‘sarebbe salito a Gerusalemme e lì gli scribi e i farisei - ossia i custodi della legge di Dio, custodi che Gesù non aveva esitato a definire, per la loro falsità, ‘ipocriti’, ‘razza di vipere’, ‘sepolcri imbiancati’ - Lo avrebbero fatto arrestare, flagellare e condannare a morte. E’ necessario - aveva sottolineato Gesù - ma poi il terzo giorno risorgerò’.
Era la via obbligata, perché la sola per restituire gli uomini, noi, all'amore del Padre, senza il quale la vita non ha senso. Gesù dirà, nell'agonia del Getsemani: ‘Se è possibile, Padre, allontana da me questo calice, ma si compia in me la Tua Volontà’. E’ la meravigliosa via della donazione completa e, anche se pare un paradosso, diviene la gioia di chi ama.
Ma la mattina della domenica ‘delle palme’, pare che Gesù voglia colorare di speranza, di voglia di pace, le strade di Gerusalemme. Cavalca un puledro. Ed è commovente fino alle lacrime vedere il nastro Dio, fattosi uno di noi, vicino a noi, come uno di noi, passare tra di noi su quell’asinello, come a suscitare gioia, anziché imporre timore per il prestigio. Ha la debolezza del bambino. Eppure nei pochi anni di presenza tra gli uomini, quella 'debolezza' aveva spesso ceduto il passo a grandi segni di ‘fortezza’. Una forza che era il segno della Verità e dell’Amore, che non necessitano di esteriorità. Marco, l'evangelista, racconta quella domenica:
"Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il Monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse: Andate nel villaggio, che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale mai nessuno è salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo? rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito. Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada e lo sciolsero. E alcuni dei presenti però dissero loro: Perché fate questo? Risposero: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito e li lasciarono fare. Essi condussero l'asinello da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed Egli vi montò sopra. E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e venivano dietro, gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! (Mc 11, 1-10).
Queste invocazioni di grande festa, sono nello stesso tempo una proclamazione di fede, come si dicesse: Credo e faccio festa perché Tu sei davvero il Messia mandato dal Padre. Credo e faccia festa perché in Te e con Te è venuto tra di noi il regno del Padre. Osanna!.
C'è in queste parole tutta la speranza di quanti ponevano la loro fede in Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria. Gerusalemme era piena di contraddizioni, come sono del resto le nostre città oggi. Conosceva egoismi, odi, violenza, sopraffazioni, ipocrisia, emarginazione, ecc.
Almeno in apparenza, sembra non ci fosse posto - o non c'è posto oggi -per la bontà. Non c'era posto - forse non c'è posto oggi - per la speranza.
Ma quel mattino delle palme, Gesù fendeva come una lama questa coltre di disperazione e di morte dell'uomo e tracciava una scia di grande speranza, di certezze, di vittoria: la vittoria dell'amore, che sarebbe diventata la novità e la certezza dell’umanità.
Commuove allora contemplare il viaggio di Gesù su un asinello, in mezzo ad una folla in tripudio: un tripudio che era come un cantare vittoria all'Amore, che sceglie di cavalcare un asinello, di mettersi un grembiule per servire, di salire sulla croce per dare vita, di farsi Pane del Cielo nell'Eucarestia, perché, chi di noi lo vuole, possa condividere morte e resurrezione, dolore e felicità, umanità e divinità.
Non so cosa è passato nel cuore di Gesù in quel viaggio.
Forse il suo sguardo si è fermato su quanti fra pochissimi giorni lo avrebbero strattonato, picchiato; deriso nella passione. Lui era abituato e lo è anche oggi a leggere nei cuore dell'uomo, che incontra. Forse lo sguardo si posava sui suoi discepoli che quel mattino partecipavano orgogliosi alla festa; sentendola un poco anche loro. In fondo si sentivano ‘Suoi’, senza neppure immaginare che a distanza di pochi giorni, per paura di essere coinvolti o per la caratteristica debolezza della natura umana, sarebbero fuggiti, come di fronte ad un pericolo, lasciandolo solo. Forse i suoi occhi correvano lontano, al Calvario, dove il suo amore si sarebbe consumato come una torcia che vuole illuminare e ridare vita per sempre.
O forse guardava a me, a voi, che oggi agitiamo le palme e non abbiamo forse ancora deciso se metterci nella fiduciosa speranza dei veri amanti che cantano: ‘Tu sei la mia vita, altro io non ho’, ponendo ai suoi piedi ciò che siamo, con la bontà, ma a volte anche con le nostre ripetute manchevolezze. Forse non abbiamo questo coraggio, perché Gesù non è ancora diventato ‘il tutto’, come - almeno in apparenza – era quella folla che gridava: ‘Osanna!’.
Di conseguenza ce ne stiamo distanti, chiusi alla speranza e alla gioia, nella disperata certezza che nulla ci possa salvare.
Ci guidi in questi giorni la meditazione di quanto scrisse Paolo ai Filippesi: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio. ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltalo e gli ha dato il Nome che è al di sopra di ogni altro nomee, perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli sulla terra e sotto terra. e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre" (Fil 2,6-11).

ORA TOCCA A NOI, IN QUESTA SETTIMANA SANTA, VIVERE QUESTI DIVINI MOMENTI DI AMORE DI DIO.
E’ INCREDIBILE SENTIRSI AMATI TANTO. NON PARTECIPARE CON FEDE E’ DAVVERO PREFERIRE IL BUOIO DEL CUORE ALLA LUCE DELL'ANIMA.
BUONA SETTIMANA SANTA.