Omelia (10-04-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
L'amore di sofferenza

Nel suo celebre scritto, Kitamori afferma che "il dolore di Dio è l’amore fondato nel dolore" aggiungendo che Dio soffrendo ama ciò con cui dovrebbe essere arrabbiato, gli oggetti diretti della sua ira. La sofferenza del Dio incarnato appeso allo strumento del supplizio supera l’ira e prescinde dalle penalizzazioni con cui meriterebbe di essere trattato il peccatore, che si sente piuttosto oggetto di predilezione appunto perché afflitto dal peccato: Dio lo ama appunto perché è peccatore e l’amore nella sofferenza toglie lo spazio alla rabbia e alla punizione.
Si direbbe che Dio nella croce si mostri debole, impassibile e sottomesso, nonché vigliacco e incapace di reazione e di difesa; se consideriamo la concezione nostrana di amore e di giustizia allora Dio non è più un Dio, me semplicemente un essere disonorato e inattendibile.
Ma abbiamo detto che questa è la logica umana, quella della potenza che deve per forza imporsi attraverso la violenza o per mezzo di interventi prodigiosi; la logica dell’imposizione determinata a tutti i costi, della persuasione in ogni caso, sia con le buone che con le cattive.
Anche Paolo osserva tale impostazione di pensiero, ma solamente per prendervi le distanze e per sottolineare che, al contrario, la potenza di Dio si manifesta proprio in ciò che noi riteniamo assurdo e inaudito, privilegiando quello che noi rifiutiamo, ossia la sapienza della croce. Il Cristo crocifisso che muore per noi, questa è la vera potenza di Dio. Non c’è altro espediente più persuasivo per esprimere la nostra salvezza se non la sofferenza e la morte cruenta sulla croce, poiché attraverso questa tappa si manifesta inesorabilmente l’amore di Dio che salva. Dio insomma preferisce patire e morire perché ci ama e spasima fintanto che noi non veniamo salvati e risollevati.
Tutto questo da parte umana viene interpretato come assurdità e pochezza, ma proprio la debolezza e la pazzia sono le vie predilette con cui Dio ci raggiunge e come afferma sempre l’apostolo Paolo è proprio quello che noi riteniamo stoltezza ciò che Dio sceglie per mostrare la vera sapienza: "...Parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria.
Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria." (1 Cor 2., 5 – 7) e aggiunge: "Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso." (1 Cor 2, 2).
In sintesi, la concezione divina nella croce di Cristo prende le distanze dalle comune attese umane e ‘agire di Dio si mostra di gran lunga differente da quello dell’uomo perché comporta procedimenti del tutto opposti e soprattutto perché Dio in tal caso realizza ogni giustizia nell’amore di sofferenza che lo incita a soffrire atrocemente a beneficio del peccatore, che è l'attitudine che anche noi siamo chiamati ad assumere quando si tratti di amare il prossimo, poiché è risaputo che l'amore, ben lungi dalle frivolezze, è amore di sacrificio e che non si amerà mai abbastanza se non si è capaci di soffrire o di abbandonarsi per l'altro.
Appunto perché ama, Gesù soffre e si sacrifica, avendo il Padre tutto preimpostato affinché tale atto sacrificale avesse compimento.
Se osserviamo attentamente la dinamica degli episodi dell’arresto, la presenza di Giuda non è poi così determinante per la cattura di Gesù: è infatti inverosimile che un distaccamento ben organizzato di guardie, di solito competenti nella cattura di un latitante, abbia la necessità di un’avanscoperta o di un ausilio quale è stato l’infimo apostolo traditore; se questi prende parte alla cattura di Gesù ciò si deve al fatto che il Signore, oltre che ad accettare la cattura ha anche accettato risolutamente (e consapevolmente) che il maligno si impossessasse di uno dei suoi discepoli per arcani scopi: non è lo stratagemma di Giuda quindi che ci deve stupire, quanto l’eroismo di Gesù che consente a che il suo arresto sia corredato da un atto vile di tradimento, voluto peraltro dallo spirito delle tenebre. Un altro particolare interessante è che Gesù, colpito dal flagello, incoronato di spine e inchiodato, non solamente si sottopone ad ogni sorta di massacro truculento senza reagire né controbattere pari al Servo Sofferente di Yahvè (Is 53), ma invita anche i suoi discepoli ad omettere ogni forma di tensione e di violenza nelle reazioni: "Rimetti la spada nel fodero!" Egli afferma la superiorità dell’amore e del perdono alla logica della rivalsa e della giustizia sommaria che suggerisce per noi la politica della non violenza, ma soprattutto sottolinea ancora una volta il protagonismo con cui è lui stesso che acconsente alla propria cattura; il suo arresto non si deve né all’aggressione delle guardie né alla reazione dei discepoli e neppure alla trama di Giuda, ma solamente alla sua apertura e disponibilità a farsi prendere. Il che sottolinea ancora una volta la gratuità decisionale dell’amore di Dio in Cristo per noi e la libertà del voler soccombere di Dio ad uno strazio che egli – appunto perché Dio – avrebbe potuto evitare.
Se Gesù fosse sceso dalla croce avrebbe certamente mostrato l’onnipotenza di Dio, ma questo non avrebbe stupito nessuno poiché in tutte le culture religiose Dio è capace di tutto, anche di sbaragliare i propri avversari; lo spirare in croce nell’abbandono dopo la lunga agonia invece ci stupisce ancora oggi di come Dio sia onnipotente in quanto il suo amore può davvero tutto per noi e di come noi da questo amore possiamo essere sedotti e affascinati.