Omelia (05-04-2009)
padre Ermes Ronchi
Quella morte che rivela il cuore di Dio

Ecco l’uomo! Appare al bal­cone dell’universo il volto di Gesù intriso di sangue. Il dolore sotto cui vacilla è il dolo­re di tutti gli uomini: molte volte ho visto il volto di Dio cosparso di sangue lungo le strade della vi­ta sempre uguale, nei sentieri in­difesi della storia dell’uomo, e non ho saputo avvicinarmi.
Ecco il Figlio di Dio! Ciò che ap­pare non è lo splendore dell’e­terno, ma il patire di un Dio ap­passionato. «Dio prima patì e poi si incarnò. Patì vedendo la con­dizione dell’uomo. Patì perché l’amore è passione. Caritas est passio» ( Origene). «Amare signi­fica patire e appassionarsi. E chi ama di più si prepari a patire di più» ( sant’Agostino). Lo vedo in Cristo, come le donne al Calvario, che stavano ad osservare da lon­tano. Gesù non ha avuto nemici tra le donne, solo fra loro non a­veva nemici. Le donne, ultimo nucleo fedele, sono con Gesù, non possono staccare gli occhi da lui, si im­mergono in lui. Primo nucleo di Chiesa, guardano Gesù con lo stesso sguardo di passione con cui Dio guarda l’uomo. La Chie­sa nasce, oggi come allora, dalla contemplazione del volto del crocifisso. «A fare il cristiano non sono i riti religiosi, ma il parteci­pare alla sofferenza di Dio» ( Die­trich Bonhoffer). Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! Quando la Parola di Dio è diventata grido, poi è diventata muta, ecco la prima parola di un uomo, un soldato esperto di mor­te. Che cosa ha visto nell’agonia di un morente da fargli pronun­ciare il primo atto di fede cristia­no? L’esperto di morte in quella morte ha visto Dio. L’ha visto nel­la morte, non nella risurrezione. Morire così è cosa da Dio, rivela­zione del cuore di Dio. Scendi dalla croce, gridavano. Ma se scende non è Dio, è ancora la lo­gica umana che vince, quella del più forte. Solo un Dio non scen­de dal legno. Si consegna alla Notte, si abbandono all’Altro per gli altri, e passa dall’abbandono di Dio ( «perché mi hai abbando­nato?
» ) all’abbandono a Dio ( «nelle tue mani...» ), rappresen­tandoci tutti nei nostri abbando­ni, nelle desolazioni, nelle notti. Io so che non capirò mai la cro­ce, l’uomo non regge questo a­more, è troppo limpido, ma Cri­sto non è venuto perché lo com­prendessimo, ma perché ci ag­grappassimo alla sua croce, la­sciandoci semplicemente solle­vare da lui. La fede è abbando­narsi all’abbandonato amore.
Ogni grido, ogni abbandono, può sembrare una sconfitta. Ma se è affidato al Padre, ha il potere, senza che noi lo sappiamo, di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro.