Omelia (19-04-2009) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
"Andate, dite ai suoi discepoli, e a Pietro, che egli vi precede in Galilea..." (Mc.16,7); queste le parole dell'Angelo alle donne che, il primo giorno dopo il sabato, si recarono al sepolcro per compiere un gesto di umana pietà verso il corpo del Maestro, che sapevano chiuso nel sepolcro; ma il Signore non era lì, Colui che ha vinto la sua morte ed ogni morte, ormai ci precede, cammina innanzi a noi, unica, vera guida verso il Padre, che, in Lui, attende ogni uomo. Il Verbo di Dio, l'Unigenito Figlio, sceso fino a noi, e che con noi si è confuso, uomo tra gli uomini, sperimentando fino in fondo e per amore la condizione umana, e affrontando, sempre per amore, l'amaro fallimento della croce, ora, risorto, ci precede e ci attira nella pienezza di Dio, dove egli è glorificato. Così, Cristo, con la sua resurrezione, trasforma la nostra vita; la nostra fede in Lui, infatti, ci impegna a vivere da risorti, da uomini nuovi: uomini liberati dall'amore, uomini ricchi, di quella libertà vera, che ci fa capaci di amare, come Lui ha amato, come lo stesso Padre ci ha amato, nel Figlio Redentore, segno dell'infinita misericordia. Vivere da risorti in Cristo, è, dunque, vivere da uomini di misericordia, e di questo ci parlano, oggi, i testi della liturgia, a cominciare dal salmo responsoriale che ci invita a contemplare le meraviglie dell'amore:"Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore.", canta il Salmista, di quell'amore di cui risplende la Storia, da quella dell'antico Israele:"Dica Israele che egli è buono: eterna è la sua misericordia" (Sl. 117), fino alla pienezza dei tempi, quando apparve tra gli uomini il Figlio, Gesù di Nazareth, il Cristo salvatore; e poi giù, giù, fino ai nostri giorni, giorni, nei quali ognuno di noi ha sperimentato la presenza e la potenza dell'Amore che salva. Ora, questa esperienza, che può diventare inno di lode e canto di riconoscenza, deve essere, sopratutto, esperienza che ispira l'inventiva del nostro amore verso il prossimo; non esiste, infatti, vero amore per Dio, se, da questo amore, è escluso un solo fratello, sia pure il più lontano, sia pure nemico. Ed ecco che la liturgia della Parola ci offre una indicazione preziosa nel passo degli Atti degli apostoli, una citazione brevissima, ma che, in sintesi, indica quale sia la forza della testimonianza del Cristo risorto, e il modo in cui rendere credibile agli occhi di tutti, la sequela di Lui, Maestro e Redentore:"La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede, recita il testo, aveva un cuore solo e un'anima sola, e nessuno diceva sua proprietà, quello che gli apparteneva; ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza, gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù, e tutti godevano di grande stima. Nessuno, infatti, tra loro, era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case, li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto, e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno." Questo, lo stile di vita delle prime comunità cristiane, un modello non del tutto nuovo nella forma, sappiamo infatti, che la cosiddetta 'proprietà comuné era già praticata in Grecia, e più precisamente ad Atene, nella classe dei guerrieri, a proposito dei quali Platone aveva scritto:" nulla possedevano di proprio, ma consideravano tutto di proprietà comune". C'era, poi, proprio ai tempi di Gesù, una comunità giudaica, comunità di tipo monastico, potremmo anche dire oggi, la comunità di Qumran, i cui membri, rinunciando a qualsiasi proprietà personale, mettevano in comune ogni loro avere, ogni provento del loro lavoro, in modo che, da questa cassa comune, ognuno attingesse, a seconda del reale bisogno del momento. Nella prima comunità cristiana, però, c'è una novità, che non è nella forma di vita comunitaria, ma nella fraternità mossa dall'amore, dono del Risorto; quella unanimità di cui parla il testo degli Atti, è, infatti, una unanimità che nasce dalla fede in Cristo Gesù, il quale alla vigilia della sua morte, nel lungo discorso di addio ai discepoli, discorso che è come il suo testamento, aveva detto:"Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici..." (Gv.15,12-13). La vita comunitaria dei primi cristiani è perciò una vita di fede e di amore, costruita, e portata avanti, sulla parola e nella fede in Cristo, morto per la nostra salvezza, e risorto per aprirci la via di un'esistenza nuova, liberata dall'egoismo, dall'ossessione dell'avere e del potere, un'esistenza aperta all'altro, perché animata dall'amore che accoglie Dio e il prossimo. Può sembrare utopia, ma non lo è, se sappiamo leggere con occhi contemplativi, ciò che la fede in Cristo ha operato nella Storia, in due millenni di storia e santità cristiana, fino ai nostri giorni. Può sembrar difficile, e questo è vero; ma, difficile, non è sinonimo di impossibile, perché il Cristo non ci ha lasciato soli, non ci ha abbandonato all'orfanezza che spegne l'entusiasmo e la vita: Egli ci ha lasciato lo Spirito, e lo Spirito è amore, che illumina ed insegna ad amare, come Cristo steso ha amato; e di questa verità fa fede il passo del vangelo di oggi. "La sera di quello stesso giorno, recita il testo, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò In mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato....Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo....»." Gesù, dunque, appare ai suoi, nel giorno stesso in cui è risorto; appare col suo corpo ormai glorificato, egli, infatti entra, a porte chiuse; ma quel che veramente conta è: che egli reca nel suo corpo risorto i segni della passione, i segni di quella crocifissione che l'ha condotto alla morte, sono segni indelebili, che risplendono della luce dell'amore che li ha prodotti. Gesù appare ai suoi, con le mani del crocifisso, mani che portano il dono della pace, che è comunione indistruttibile con Dio; mani che portano il dono dello Spirito, il quale ci abilita a riamare Dio e ad amare ogni uomo, il quale proprio per la forza dell'amore troverà la via che conduce alla Salvezza. Questo avvenne in quello che chiamiamo il " giorno fatto dal Signore": giorno di gioia e di pace indicibili. Quel giorno, Tommaso, uno dei Dodici, detto 'Didimo', non c'era; gli raccontarono l'accaduto, sicuramente, un racconto pieno di entusiasmo e commozione, ma lui non ci credette:«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Tommaso è categorico: per credere, occorrono delle prove sicure! Ed ecco la sollecitudine del Maestro:"Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo in casa, e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro...", quindi, dopo aver dato loro la pace, chiamò Tommaso, il discepolo che non era riuscito a credere al racconto dell'apparizione del Signore risorto, l'uomo che non riusciva a superare l'esperienza sensibile, tangibile, verificabile, e non poteva, perciò, immaginare il Maestro risorto. Gesù, non gliene fa una colpa, gli mostra semplicemente i segni della recente passione, quell'evento tragico, che tutti avevano visto, anche se da lontano, e lo invita a toccare, con le sue mani, i segni concreti dei chiodi e della lancia: «Metti qua il tuo dito, dice il Maestro, e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». E, i segni dell'amore misericordioso ed infinito del Cristo, aprirono gli occhi del discepolo, e accesero in lui la fiamma della fede. «Non essere più incredulo!»; non un rimprovero, ma il richiamo, tenero, del Maestro, che è l'Amico e il Signore, e che per i suoi, e per tutti gli uomini, aveva dato la vita; per Tommaso, e per tutti, Cristo Gesù era morto e risorto, ed aveva mantenuto intatti i segni del suo amore redentivo: i segni dei chiodi nella carne, anche se glorificata. Ecco: vivere da risorti è: saper vedere i segni della presenza del Cristo, vero uomo e nostro Dio e Redentore, nelle piaghe, che ancora affliggono gli uomini; nelle croci, che ancora uccidono in tante parti del mondo, e amare, con gesti concreti di misericordia, chi ne è portatore; operando, ove sia possibile, perché vengano rimossi, ed ogni uomo sia liberato. E' questo, il segno dell'amore riconoscente verso Dio, che, in Cristo, ci ha resi liberi e ci fa vivere da figli; e, ciò non è impossibile, perché abbiamo il dono dello Spirito, dono del Risorto, che libera, salva, vivifica e trasforma; dono che fa di ogni credente un apostolo di pace e salvezza, sulla Parola stessa del Cristo che ha detto:«Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi.»; e ci invia, non da soli, ma con la forza dello Spirito che ci accompagna. E, nello Spirito, che fa di noi persone capaci di misericordia e carità, noi diventiamo, come afferma Paolo: "imitatori di Dio" (cfr Ef. 5,2), portatori della sua grazia, testimoni credibili del Signore Gesù, nostro redentore e nostro Dio. sr Maria Giuseppina Pisano o.p. mrita.pisano@virgilio.it |