Omelia (05-04-2009) |
don Maurizio Prandi |
Un Dio servo degli uomini Continuiamo il nostro cammino alla ricerca del volto di Dio e scopriamo, se ci lasciamo davvero portare dalla Parola che ci viene consegnata, particolari sempre più belli e sorprendenti; oggi ci viene incontro il volto di un Dio servo degli uomini. Lo descrive così, molto apertamente, la seconda lettura che abbiamo ascoltato, (spogliò se stesso, assumendo la natura di servo) della quale mi piace oggi (data la lunghezza della celebrazione mi piace rispettare la tradizione del silenzio in sostituzione dell’omelia) lasciare nelle vostre mani un commento che possa aiutare ad entrare meglio nel triduo che vivremo nella settimana che oggi si apre. Mi piace però partire da un versetto che liturgia ha omesso nel testo di Paolo che abbiamo ascoltato e precisamente il versetto 5, che ci fa questo invito: abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù. E’ talmente bello che è davvero un peccato non riportarlo, quasi si avesse paura a dire del sentimento, a dire dei sentimenti di Dio, non semplici emozioni, non semplicemente un sentire, ma quello che la tradizione spirituale della chiesa ha sempre compreso nel mondo degli affetti. Forse l’invito, per noi, per la chiesa, ad ascoltare la verità dei sentimenti (quante persone, e quanti sentimenti nel lungo brano di vangelo ascoltato oggi...), ad ascoltare le ragioni del cuore. Un Dio servo, un Dio che prova dei sentimenti è un Dio che ha fatto della condivisione uno stile di vita; anche la morte di Gesù in croce è condivisione con la morte di chi non è considerato degno: non è la morte eroica di un martire ad esempio, ma la morte dei rifiutati, dei bestemmiatori, dei peccatori. Gesù condivide la morte di quelli che erano considerati i peggiori. Don Angelo Casati scrive una cosa bellissima: Gesù ha condiviso fino ad andare all’inferno: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". L’assenza di Dio! E’ l’inferno l’assenza di Dio. Mi fermo qua, pregandovi di portare a casa con voi il testo con il commento alla lettera di san Paolo ai Filippesi (segue il testo di una meditazione tenuta da me alla Scuola di Preghiera nel seminario di Chiavari). Mi piace che S. Paolo ci dica che del mondo di Dio fanno parte i sentimenti, questa parte così importante, questa porzione irrinunciabile della vita di una persona anche Gesù l’ha vissuta, ha avuto dei sentimenti, ha provato delle emozioni, il suo cuore ha battuto per le persone che ha amato. Fermiamoci un attimo qua allora, al fatto che Paolo, per parlare dell’umanità di Gesù parla prima di tutto dei suoi sentimenti, della dimensione affettiva nella vita di Gesù: è vivendo fino in fondo l’umano sentire che Gesù può mostrare il volto di Dio come volto d’Amore. Nel vangelo scopriamo Gesù come colui che vive la casa, cioè l’intimità degli affetti. Gesù cresce come uomo dentro lo spazio dell’intimità degli affetti famigliari. E una volta divenuto uomo adulto, responsabile e libero, va alla ricerca degli altri uomini raggiungendoli sempre nell’intimità della casa. Detto questo circa il versetto introduttivo, torno all’inno Cristologico vero e proprio: il registro del sentimento nelle lettere di Paolo è sempre accostato all’immagine di Gesù ed in modo particolare, come capiamo dal brano ascoltato è sempre accostato all’immagine che Gesù offre mediante la sua passione; il nostro modo di "sentire" forse è legato ad una certa idea di contraccambio o di reciprocità, ecco che Gesù invece non cerca quello che è suo, ma si spoglia della propria identità con Dio per dedicarsi senza risparmio ad una volontà che è più grande della sua facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Mi piace questo inno Cristologico, mi piace perché vi è scritto dentro tutto il desiderio di Gesù di essere vicino all’uomo in ogni cosa. Se siamo qui, è perché abbiamo conosciuto un Dio che ama, (ricordate il vangelo di domenica scorsa) e che ha amato tanto il mondo da dare il suo figlio unigenito scrive l’evangelista Giovanni, ha tanto amato il mondo da dare se stesso. Che bello! Ritrovarsi qui oggi vuol dire credere in un Dio che ama, che perdona, un Dio che incarnandosi ha posto finalmente termine alla sua lontananza, alla sua inaccessibilità: il figlio dell’Uomo che è disceso da cielo (Gv 3). Provo allora a rileggere, a proposito di questa discesa, di questo abbassamento, il brano di Filippesi attraverso una traduzione dal greco quasi letterale, traduzione che ci può aiutare in questo nostro percorso circa gli affetti di Gesù: 1. Cristo Gesù: il quale, essendo per natura Dio non considerò un tesoro geloso dice il testo italiano. Cosa vuol dire tesoro geloso? Perché tradurre cosi? Arpagmon scrive il testo greco (dal verbo arpazo che significa rapire) oggetto da rapire, un qualcosa da conquistare con la forza il suo essere uguale a Dio (cioè: non ha usato per il suo tornaconto personale la natura divina, è questo il modo di amare di Dio in Gesù, senza trattenere nulla per sè). 2. ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini: annichilò, svuotò se stesso prendendo natura (c’è morfè in greco, non reso dalla traduzione della CEI che parla semplicemente di "condizione") di servo: che bello! La natura di Gesù, divina, coincide con l’essere servo! Il Figlio di Dio, facendosi uomo viene a mettersi davanti al Padre in condizione di totale dipendenza. Ancora prima di parlare dell’essere uomo di Gesù S. Paolo sottolinea il suo essere servo, il suo essere schiavo; amare, per Dio significa incarnarsi e il vertice della Incarnazione è il servizio. Ho accennato prima alla lavanda dei piedi: inginocchiandosi davanti ai suoi discepoli e ai poveri che ha incontrato Gesù ha dato concretezza a questa sua "natura", con quel gesto ha affermato che l’uomo, ogni uomo è il regno di Dio. Ascoltiamo insieme, ancora una volta le parole di Maurice Zundel: Nessuno come Gesù ha avuto passione per l’uomo, nessuno come lui ha posto l’uomo tanto in alto, nessuno più di Gesù ha pagato il prezzo della dignità umana. Cristo introduce una nuova scala di valori e questa trasformazione di valori si inaugura con la lavanda dei piedi e il mondo cristiano non se n’è ancora accorto! Gesù ci dà una lezione di grandezza perché la grandezza ha cambiato aspetto. Essa non consiste nel dominare, ma nel servire. Nelle statue colossali dei faraoni, come quella di Ramses II°, il faraone divinizzato appare come un dominatore. Il popolo non conta nulla. E’ il faraone che fa la storia, perché la sua grandezza consiste nel dominare, nel guardare dall’alto in basso una umanità dalla quale esige che strisci ai suoi piedi. Troppo spesso si è presentato Dio come un faraone, rivestito di broccati e di pietre preziose. Tutto ciò crolla con la lavanda dei piedi. La vera grandezza è la generosità, è il donarsi. Il più grande è il più generoso. Alla scala dei valori basata sul dominio Gesù sostituisce quella della generosità che desidera portare l’uomo alla sua vera grandezza: l’offerta della propria vita. 3. Apparso in forma umana: entrando nella dimensione storica temporale, nella struttura propria degli uomini... contrasse un rapporto di affinità, una rassomiglianza ontologica con gli uomini. In Gesù, Dio diventa uomo non solo perché nasce. Certamente già questo basterebbe per dire la novità della fede cristiana: un Dio che si fa bambino, che sceglie di abitare nella debolezza e nella semplicità di un neonato. Ma in Gesù, Dio non si ferma a questo. Gesù vive tutto l’umano, non solo il nascere, ma anche tutte le tappe della vita umana. Gesù vive tutta la fatica e la drammaticità della vicenda umana. Gesù attraversa tutta la povertà e affronta tutti i rischi della vita. Vive il crescere e l’obbedire, affidandosi alla guida sapiente dei suoi genitori. Come qualsiasi uomo si affida all’affetto, all’insegnamento e alle regole che vengono da una padre e da una madre che è che sono essenziali per essere introdotti alla vita. Gesù vive l’esperienza del deserto, quaranta giorni di digiuno che lo porteranno a provare la pesantezza della fame e della sete e il limite e la fragilità del suo corpo. Non solo, ma alla fine di quei giorni di prova attraversa l’esperienza di ogni uomo: l’essere tentato. Quella lotta interiore che ciascuna di noi combatte con tutte quelle forze e resistenze che ti spingono a non essere te stesso. Gesù come dicevo prima vive la casa, cioè l’intimità degli affetti e nella casa spesso vive il banchetto, cioè la gioia dello stare insieme all’altro come segno della più totale condivisione. Gesù vive l’ingiustizia della morte: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato". Conosce la drammaticità di una preghiera gridata. Il grido dell’uomo che invoca e che cerca un perché al suo dolore e al suo dover morire, senza riuscire a trovare il conforto di una risposta. 4. Infine anche da risorto continua a rivelarsi come uomo, come quando in una delle apparizioni viene raccontato nel vangelo che Gesù si avvicinò ai discepoli senza che lo riconoscessero e chiese loro qualcosa da mangiare. Ancora una volta Gesù ha fame e si mostra in tutta la sua corporeità, vivendo dentro e non fuori i limiti del corpo e della persona umana. Perché il limite umano non è qualcosa che ci impedisce, ma è ciò che ci definisce, è ciò che tratteggia i lineamenti del nostro io, è ciò che ci permette di essere unici e irripetibili. 5. umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce: si fece piccolo e obbediente avendo ascoltato la parola fino a morire e a morire su una croce. Mi piace particolarmente questa sottolineatura sulla parola, in quanto l’obbedienza è il frutto dell’ascolto, il primo modo di amare da parte di Gesù. 6. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; per questo Dio lo ha sovraesaltato e gli ha regalato quel nome che lo ha costituito in un ruolo personale che è sopra a quello di ogni altro essere qui c’è da notare che siamo in un ambito semitico, dove il nome di qualcuno dice l’essenza della sua persona. 7. perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre affinché ogni essere, celeste, terrestre, sotterraneo proclami Gesù Cristo Signore a gloria di Dio Padre... l’inno termina con questa solenne proclamazione di fede universale. E’ possibile riconoscere Gesù Cristo come Signore, come risorto, soltanto passando attraverso la sua umanità. Davanti all’eucaristia portiamo allora questa consapevolezza: Se Gesù è un Dio che non si vergogna di abitare e vivere l’umano, anche noi siamo chiamati allo stesso itinerario. Chiamati a non vergognarci di quello che siamo. Il nostro umano a volte negato per la paura, ferito perché non abbastanza amato, tenuto nascosto per la vergogna, spesso alterato e truccato perché considerato non all’altezza, ha diritto di venire alla luce, perché la luce è venuta ad abitare in mezzo agli uomini. Il nostro umano ha diritto di essere vissuto fino in fondo per quello che è. Se c’è un modo di credere in Dio è quello e di restare fedeli alla nostra umanità. Se c’è un modo di non far morire Dio in noi è quello di non far morire la nostra umanità (don Paolo Bacigalupo). Come dice splendidamente Etty Hillesum, una ragazza ebrea olandese, che ad Auschwitz, nel luogo dove qualcuno ha tentato di disumanizzare l’umano ha scritto così: "Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Una cosa però diventa sempre più evidente per me e cioè che Tu non puoi aiutare noi ma che siamo noi a dover aiutare Te e, in questo modo, aiutiamo anche noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi è anche l'unica che veramente conti: è un piccolo pezzo di Te in noi, mio Dio. Sì, mio Dio, sembra che Tu non possa fare molto per modificare le circostanze attuali, ma anche esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, o Dio, più tardi sarai Tu a dichiarare noi responsabili e, quasi ad ogni battito di cuore, cresce la mia certezza: Tu non puoi aiutarci ma tocca a noi aiutare Te, difendendo fino all'ultimo la Tua casa in noi." |