Omelia (29-03-2009) |
don Daniele Muraro |
...imparando da Lui l'obbedienza "Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore" dice Gesù nel Vangelo. L'invito è occasionato da quei Greci che avevano chiesto di poterlo vedere. La legge di Mosè ammetteva i non ebrei interessati alla religione ebraica fra i simpatizzanti, perciò anche loro erano saliti a Gerusalemme in occasione della Pasqua, per il culto. Incerti su come fare per essere introdotti alla presenza del Maestro, questi Greci si erano rivolti a Filippo, uno dei dodici Apostoli, che era di Betsàida, sul lago di Galilea. La città costruita a nord e guardava verso un territorio di mescolanza con la cultura pagana. D'altra parte sia Filippo che Andrea, anche lui nato a Betsàida, portano due nomi greci. L'episodio si svolge dopo l'ingresso trionfale di Gesù festeggiato con dei rami di Palme. Siamo già dentro la settimana santa. Gesù era stato acclamato da una grande folla e ora gli si presenta l'occasione di ricevere l'omaggio anche di alcuni pagani. Tuttavia Gesù non ne approfitta per aggiungere successo a successo. Egli sa che presto sarebbe rimasto da solo, abbandonato anche dai discepoli della prima ora, ma la sua desolazione non sarebbe durata molto. avrebbe portato a compimento la sua missione e ciò sarebbe stato di vantaggio per tutti, ebrei e pagani. Per indicare la morte a cui si sarebbe volontariamente assoggettato Gesù dice: "Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me". Allude così alla crocifissione. Per Lui si tratta di un innalzamento. Nel modo della morte è contenuto anche il seme della sua esaltazione. Per Gesù la croce rimane un passaggio doloroso, ma non vuole evitarla, anzi nonostante il turbamento che la prospettiva di una simile morte provoca nel suo animo, la accetta e ne fa un sacrificio per Dio suo Padre. Attraverso l'offerta della sua vita, Gesù avrebbe glorificato il Padre suo e anche se il modo sarebbe stato cruento e spregevole agli occhi della gente Dio avrebbe gradito il suo sacrificio. La croce era un supplizio riservato ai peggiori malfattori e ai ribelli contro il potere dei romani. Gli ebrei non praticavano questo uso, e limitandosi alla lapidazione, ma ne suggeriscono l'attuazione a Pilato insinuando motivi politici: Gesù il Nazareno si è fatto Re al posto di Cesare. È per paura che Pilato manda Gesù alla morte di croce, ma misteriosamente la sua decisione rende evidente una grande verità: Gesù è venuto per tutti gli uomini, non per un popolo soltanto. La scritta in tre lingue posta alla sommità della sua croce vale già come prova dell'estensione universale della sua morte di Gesù. Nel segno della croce si sarebbe diffuso un annuncio di salvezza globale. La breve parabola del chicco di grano, una delle ultime del Vangelo, prima di quella della vite e dei tralci, illustra bene la semplice verità che muove il Signore negli ultimi giorni della sua vita: "Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto." La spiegazione viene subito dopo: "Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna." L'autore della lettera agli Ebrei dice che Gesù fu esaudito da Dio Padre "per la sua pietà". La nuova traduzione riporta "per il suo pieno abbandono". Si tratta della riverenza e venerazione verso Dio Padre e il suo disegno. Proprio perché era Figlio Gesù praticò l'obbedienza e nonostante che fosse il Figlio di Dio questa obbedienza gli costò dolore fisico e sofferenza morale. Anche come uomo egli dovette dimostrare la sua obbedienza a Dio. Dall'eternità egli in quanto Verbo del Padre Egli era sottomesso con un legame di amore a Dio suo Padre, ma nel tempo egli impara l'obbedienza attraverso la passione. In questo senso diventa perfetto non solo per se stesso, ma anche come rappresentante dell'umanità intera. Attraverso l'obbedienza della croce Gesù ripara la colpa di Adamo e diventa causa di salvezza per tutti quelli che lo seguono. Adamo aveva rifiutato di ascoltare la voce di Dio e dalla sua pretesa di autonomia venne la rovina per il genere umano. Gesù ristabilisce il giusto rapporto fra l'uomo e Dio e attraverso di Lui noi uomini possiamo venire giustificati e ritornare nell'amicizia con il Padre. Per questo precisamente Gesù è venuto. "Adesso l'anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora!" abbiamo sentito nel Vangelo. Tutta la vita di Gesù sta sotto il segno della sua ora. Non la sceglie Gesù, gliel'ha preparata il Padre. Gesù l'accetta e la trasfigura. La sua obbedienza diventa lo spazio rigenerato in cui Dio può di nuovo presentarsi, avere una voce e una presenza nel mondo. Per finire l'obbedienza piena di amore fino al sacrificio da parte di Gesù verso il Padre diventa atto di giudizio nei confronti del poco amore che regna nel mondo. Come una luce più intensa quando si accende fa scomparire le luci tremolanti, così la croce di Gesù fa impallidire la portata dei nostri gesti di pretesa buona volontà. Di più, l'amore del Figlio di Dio che sacrifica se stesso con la morte in croce mostra la mancanza di amore che si trova nel mondo. "Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori", lui e il suo dominio fatto di menzogna e di odio. L'obbedienza di Gesù al Padre è la testimonianza più forte del suo coraggio e della suo amore verso di noi e obbedire a Gesù è la maniera migliore per realizzare la nostra vita di uomini e di cristiani. |