Omelia (12-04-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
Perchè non è sceso dalla croce

"Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo." (Mt 27, 42) Questo osservavano scribi e sommi sacerdoti vedendo Gesù soccombere impassibile al dolore e alle umiliazioni che gli stava procurando il patibolo della croce. E anche persone di passaggio non lesinavano nelle esecrazioni e nelle denigrazioni: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!".
Certo, Gesù avrebbe anche potuto assecondarli, perché aveva già dimostrato che la sua identità e comunione con il Padre era in grado di sedare le acque agitate del lago di Tiberiade, di cacciare i demoni, di dare la vista al cieco nato e di resuscitare un perfino un morto maleodorante perché sepolto da quattro giorni; avrebbe potuto benissimo stupire tutti con un solo gesto di superiorità sul dolore fisico non soltanto scendendo dalla croce, ma anche trasformando la croce in una verga che avrebbe percosso chi lo stava denigrando e come niente avrebbe anche scongiurato la morte oltre che dei suoi compagni di sventura anche degli altri votati alla morte che sarebbero subentrati in futuro. Eppure Gesù non è sceso dalla croce e non ha fatto una piega alle insinuazioni e ai pregiudizi della tracotanza umana che lo derideva e umiliava con simili espressioni, e neppure aveva mai avuto interesse a mostrare la sua onnipotenza da Figlio di Dio mediante parametri sconvolgenti e dirompenti, appunto come il salvarsi dalla morte di croce: lui stava agendo nella maniera del tutto differente dalle comuni aspettative dell’uomo, che aspetta solo miracoli o persuasivi discorsi di sapienza e resta sulla croce per dimostrare che la vera espressione della sapienza e della giustizia è l’amore per il quale ci si deve perdere donandosi in tutto e per tutto agli altri attraverso il sacrificio e l’immolazione. Se Gesù fosse sceso dalla croce avrebbe forse convinto tutti risolutamente, ma non avrebbe persuaso nessuno del fatto che la salvezza di Dio per l’uomo vuole passare attraverso la tappa dell’amore che è estremo sacrificio.
Ma soprattutto, se Gesù fosse sceso dalla croce non avrebbe potuto mostrare la propria affermazione sulla morte né avrebbe potuto rendere evidente che la parola definitiva sulla morte è la
vita senza fine: spirando solitario e abbandonato ed essendo seppellito nel luogo detto Cranio, alla pari di tutti gli altri uomini, Gesù ha mostrato di saper affrontare questa amara tappa che è all’apice della nostra comune esistenza, dalla quale noi prendiamo le distanze, alla quale abbiamo da sempre offerto svariate interpretazioni anche allo scopo di poterla scongiurare: la morte è la tappa dell’ignoto e dell’imprevisto, che fa rabbrividire e raccapricciare e a volte toglie lo spazio alla fiducia e alla speranza. Più volte si è detto che ad incutere paura non è tanto il trapasso, ma tutto ciò ad esso è correlato: tensioni, misteri, angosce per l’incerto e paura per l’ignoto che il salto comporta, ma proprio per questo l’esperienza del morire umano seppure non ci trova sempre refrattari (c’è anche chi desidera morire) costituisce in ogni caso motivo di sgomento e di inquietitudine. Gesù non è esente da questi turbamenti: anche per lui la morte (o meglio la sofferenza in croce9 suscita angoscia e apprensione al Getzemani, e tuttavia, pur nelle condizioni più riprovevoli e deprezzabili, vi si sottopone facendo propri tutti gli aspetti e fronteggiando tutti gli imprevisti e le vacuità che essa comporta; ciò ai fini di fondare anche per noi il senso del patire e attribuire un significato alla sofferenza che trascende ogni logica e ogni spiegazione puramente terrena e soprattutto perché in Lui stesso Dio fatto uomo noi riscontriamo la certezza che la morte non ha più potere visto che ad essa fa seguito puntuale la Resurrezione.
Cristo è morto non perché la tomba lo trattenesse, ma per avere lui ragione dei possenti massi del sepolcro e per dissipare, accanto alle tenebre del peccato, la tenebra del buio che lo pervadeva nella prigione sepolcrale e in definitiva per preconizzare il primato della vita per tutti, nella vittoria sul male e sulla morte. Un nemico non lo si può mai sconfiggere se non lo si affronta di petto e se non lo si combatte ad armi pari; pertanto Cristo non avrebbe potuto sconfiggere la morte se avesse preferito scendere dalla croce ed era necessario quindi che egli prescindesse dalle pretese umane di affermazione per affermare se stesso come il Risorto capace di vita senza fine.
La Resurrezione è infatti il trionfo della vita e la certezza che tale garanzia si protrae nello spazio e nel tempo infinito e che tutti gli uomini ne sono interessati. Nella resurrezione vi è il trionfo della vita non quale blanda sopravvivenza o esistenza puramente biologica e asettica, ma della vita come costruzione, impegno, realizzazione, progettazione nella gioia; la resurrezione dona vigore alla vita debellando le mere illusioni di vivere e tutte le forme di pochezza che la propaganda mondana ci propina tutti i giorni e finalmente ci da la garanzia che il vivere è Cristo e che chiunque vive e crede in lui anche se muore vivrà (Gv 11, 26), anche al di là del nostro corpo mortale, per cui abbiamo in Cristo anche la certezza del vivere oltre il trapasso terreno e che davvero, dopo il nostro pellegrinaggio materiale ci attende la dimensione della gioia infinita e della festa nella quale "le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà" (Sap 3, 1) e sempre in questo splendore di gloria della vittoria del sepolcro abbiamo la certezza che siamo a destinati a vivere per sempre e che pertanto non possiamo restare nell’ignoranza intorno a quelli che sono morti né possiamo cadere nella disperazione, poiché i nostri defunti sono destinati a seguire lo stesso glorioso destino del Risorto radunati in Cristo dal padre (1 Ts 4, 13 – 14)
Ecco allora la risposta di Gesù a coloro che lo denigravano perché mostrasse la sua potenza straordinaria abbandonando la croce: la Resurrezione: è quella dell’affermazione determinata sulla morte, che non potrebbe darsi in alcun modo se non ci fosse la tappa ineluttabile del patire, del soffrire e dell’immolarsi libero, spontaneo e volontario. La Resurrezione è la risposta attuale che Gesù rivolge a quanti mostrano odierna pretestuosità di divinità e religioni facili, immediate e solo lievemente appaganti, che illudono di offrire certezze immediate eludendo i sacrifici che sono sempre necessari per conseguire ogni traguardo; come pure la Resurrezione è la risposta che Gesù rivolge a noi cristiani più volte provati dalla tentazione di fuggire la nostra croce rifuggendo quello che davvero caratterizza il vero discepolo, cioè la prova, l’umiliazione, il dolore e lo smarrimento: il premio della gloria si ottiene non senza la tappa ineluttabile della croce.
Anche noi pertanto ci ritroviamo nelle condizioni degli scribi, dei farisei e dei passanti che umiliano il Signore imponendogli eventi straordinari nonostante la convinzione che lui potrebbe farli, visto che molte volte alla croce preferiamo soluzioni di comodo e cerchiamo di procacciare l’immediato risorgere dalle nostre ansie e dai nostri problemi nella vanità delle vie facili e accomodanti e nella sequela di false promesse illusorie, ma ciò non toglie che in ogni caso Gesù uscendo dal sepolcro vince tutt’oggi anche queste sfide che noi siamo soliti rivolgergli, invitando al contempo ad abbracciare la croce per conseguire la Resurrezione.
La Resurrezione di Gesù è anche per noi la fine di ogni sconfitta e il guadagno della vita, il conseguimento del premio della nostra perseveranza nella fedeltà a Lui e il criterio della nuova dimensione che Egli ci ha elargito nella pienezza della gloria e della letizia definitiva ed è per questo l’unica prospettiva che possa vincere le inquietitudini e incertezze per incutere coraggio, perseveranza, fiducia e rinnovato slancio in tutte le nostre vicende quotidiane.

La novità esaltante dell’uscita di Gesù dal sepolcro viene messa in discussione come avvenimento storico e in effetti, non possiamo affermare che essa sia storiograficamente documentabile: vi sono testimonianze solide e consistenti sul sepolcro rimasto vuoto e sulle apparizioni di Cristo, come pure sulle antiche professioni di fede nel Risorto, tuttavia eccettuando il vangelo apocrifo di Pietro (canonicamente non riconosciuto) nessun testimone oculare ci illustra su come sia avvenuta materialmente la fuoriuscita di Gesù dalla tomba. A tal proposito, studiosi razionalisti hanno sostenuto l’ipotesi del trafugamento del cadavere ordito dai discepoli e della loro conseguente invenzione della Resurrezione, ipotesi queste fortunatamente smentite su basi solide.
E’ invece ragionevole affermare che, nonostante l’assenza di riferimenti diretti sull’avvenimento resurrezione, la prova del sepolcro vuoto, corredata a tanti altri elementi inequivocabilmente validi, comprova che la resurrezione deve essere avvenuta davvero: prime annunciatrici della notizia della tomba vuota sono due donne;: secondo le disposizioni della legge giudaica il sesso femminile non aveva pressocché rilevanza alcuna, tanto meno in fatto di testimonianza.
Eppure sono proprio loro, le donne,. che attirano l'attenzione di Simon Pietro e dell'altro discepolo, nonostante la titubanza iniziale ravvisata da altri evangelisti (Mc 16, 10-11) ed è per questo che sono oggi attendibili in quanto affermano (R. Penna).
Poi arrivano Pietro e l'altro discepolo, entrano nel sepolcro e trovano le bende per terra si, ma il sudario... ben piegato e posto in un angolo! Quale profanatore di cadaveri, nell'intento di rubare un corpo si sarebbe preoccupato in piena notte di mettere in ordine un sudario, specie se rischiava di essere scoperto per l'ingente presenza delle guardie?
E infatti Matteo parla di un certo spiegamento di forze davanti alla tomba di Gesù: le autorità avevano paura che i discepoli stessi rubassero il cadavere e pertanto avevano sigillato la pietra mentre Pilato aveva disposto la sorveglianza. (Mt 27, 62-66); ora, se ci fosse stato un furto di cadavere come sarebbe stato possibile che nessuno se ne fosse accorto? A meno che non siano state le guardie medesime a depredare il corpo di Gesù, ma questo è poco attendibile, tanto più che il sepolcro era sigillato!
Infine, gli apostoli annunceranno dappertutto il lieto evento della Resurrezione, anche a costo di farsi uccidere. Ora, perché mai avrebbero dovuto mettere a repentaglio la propria vita per una loro fisima o comunque per qualcosa di non accertato e fondato?
Infine, che un uomo possa tornare in vita da morte, questo è certamente possibile anche ai nostri giorni, a motivo di fallite previsioni scientifiche in campo medico, ma non si è mai visto nessuno resuscitare e porre il problema della tomba vuota o delle apparizioni!
Quindi Gesù è risorto veramente. Tuttavia il fatto stesso della resurrezione= uscita dal sepolcro resta sempre in se stesso un mistero incomprensibile, un avvenimento certamente innovativo ma che la ragione non potrà mai spiegare né circoscrivere. Anzi, è probabile che lo stesso Gesù Cristo abbia voluto che esso rimanesse un dato di competenza della sola fede e dello spirito di apertura del cuore e personalmente, in un certo qual modo, sono d’accordo con Kessler, quando afferma: " Se fosse stata istallata una videocamera nel sepolcro, non avrebbe ripreso nulla". Non perché non avrebbe funzionato o non avrebbe avuto luminosità sufficiente per le riprese di quanto avveniva, ma perché non le sarebbe stato concesso, da parte dello stesso Signore, di attestare un evento che doveva interessare semplicemente la nostra adesione di cuore: seppure abbiamo elementi fondanti e razionali che ne danno la legittimazione, la Resurrezione carne di Cristo, non deve interessare altro che la nostra adesione volontaria nella fede e nella sottomissione della nostra volontà e ad essa deve corrispondere un atto libero che comporti l’apertura disinvolta del cuore in un atto di fede su cui poggia la speranza. Dire quindi: Cristo è veramente risorto, significa affermare: "Credo fermamente, ne sono certo e mi affido."
Come afferma Paolo, "Cristo risuscitato non muore più, la morte non ha più potere su di lui" (Rm 6, 9) e noi possiamo concludere che con il Risorto, anche per noi il vivere è Cristo e il morire è un guadagno perché in Lui tutto quanto vive e assume connotati di novità assoluta; ma occorre che vi sia da parte nostra una disponibilità: " ... anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù." (Rm 6, 11).
In forza della vita che ci proviene dalla resurrezione ci si chiede insomma di non procacciarci la morte noi stessi attraverso la perseveranza nel peccato perché l’ostinazione per il male equivale alla vanificazione dei meriti di Cristo poiché il peccato è la morte continua nella vita apparente. Sta a noi allora non rendere vana la croce di Cristo (1 Cor 1, 17) nella ricerca di una vita da risorti con lui all’insegna dell’amore, della giustizia e della pace nella continua sequela dello stesso Risorto.
Vivere nell’ottica del Risorto significa configurarsi a Lui che è la vita, avere la certezza che la speranza avrà sempre un compimento di gloria e che i propositi di bene perverranno sempre a una felice conclusione; ma comporta anche la rottura definitiva con il peccato, la fine di ogni accentramento su noi stessi e il dischiuderci verso gli altri nella carità operosa che sola attesa, nella gioia, la certezza della testimonianza della novità che ci apporta la Resurrezione.
Se Paolo ci insegna che il Signore ama chi dona con gioia (2 Cor 9, 7), possiamo essere certi che il Risorto ama tutti attraverso la nostra gioia. Non può ch essere infatti la letizia e l’esultanza la qualifica della nuova vita che caratterizza ogni azione del cristiano, in quanto è nella gioia che Cristo ci ha raggiunti uscendo dal sepolcro e sempre nella gioia e per la gioia egli ci ha liberati perché restassimo liberi (Gal 5, 1). La gioia però trasparisce nella capacità di donarci agli altri con entusiasmo omettendo ogni sensazione di giogo e di oppressione, nel fervore della carità operosa che ci aiuta a riscoprire la nostra vera utilità e nella disposizione spontanea al servizio umile, disinvolto e immotivato. Tutto questo comporta la testimonianza del Risorto che continua a vivere in noi.

Il Cristo Risorto e nient’altro, sia allora davvero quello lo sprone della nostra vita e il motivo fontale della nostra gioia ed è per questo che mi permetto di rivolgere a tutti l’invito affinché la nostra celebrazione della Notte e del giorno di Pasqua avvengano nella serenità interiore e nella soddisfazione personale: prepariamoci alla celebrazione, come afferma Paolo, senza avere debiti con nessuno, ossia eliminando ogni sorta di dissapore o rancore che possiamo aver contratto con altri, superando le ostilità che ci hanno divisi e insistendo sui motivi della comunione e della pace anziché sulle insidie e sulle discordie che in fin dei conti sono sempre ridicoli e vani. Tralasciamo eventuali pretese di affermazione personali e inutili e banali rivendicazioni di vantaggi sugli altri per cose meschine; omettiamo ogni asprezza e rancore e tendiamo all’unità una volta realizzata la riconciliazione e il perdono, e qualora fossimo consci di aver commesso un torto o una mancanza verso qualcuno, poniamo ad essa rimedio dimenticando ogni cosa, affinché possiamo celebrare la Resurrezione sereni e gioiosi, proprio come Gesù Risorto ci chiede. Ancora Paolo ci ripete con insistenza: "Rallegratevi!" (Fil 4, 4)
E’ l’augurio sincero che mi sovviene rivolgere a tutti in questa Pasqua 2009.
Auguri infiniti a tutti di Buona Pasqua all’insegna della novità di vita.