Omelia (12-04-2009) |
Paolo Curtaz |
“E vide e credette”. Giovanni ha preceduto Pietro correndo per le strette viuzze di Gerusalemme, dal monte Sion fino al Golgota, fuori dalla mura. È ancora presto, la luce ha appena dato forma e misura alle case della città santa. Maria di Magdala è corsa a perdifiato e li ha avvertiti:«Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno messo!». Giovanni arriva per primo, il cuore che batte all’impazzata nel suo petto. I soldati di guardia sono scomparsi e la pesante pietra messa a sigillo del sepolcro di Giuseppe di Arimatea è in terra. Ora Pietro arriva, entrano con circospezione, guardano. Il lenzuolo che avvolgeva il cadavere di Gesù è al suo posto, nessuno l’ha toccato. Il sudario e le bende servite per coprire il volto massacrato, invece, sono posate in una nicchia di fianco. Giovanni vede. E crede. Vede una tomba vuota. E crede. Vede un’assenza, vede un vuoto, vede il nulla. Potrebbe pensare, come ha fatto Maria, come tutto diranno, che il corpo è stato portato via. E invece no. È il nostro modo di vedere le cose che interpreta la realtà. Davanti al vuoto, Giovanni vede il pieno, davanti ad un’assenza, scorge una presenza. Buona Pasqua! Quale migliore augurio in questa Pasqua di crisi economica e di fiducia, di lutto per gli amici abruzzesi! Davanti al vuoto, alla difficoltà, alla morte, addirittura, noi affermiamo che Gesù è vivo e presente, che la sconfitta non ha, né mai avrà, l’ultima parola sulla Storia. E sulla nostra vita. Gesù è risorto, amici, semplicemente. Non rianimato, né tantomeno reincarnato, no, è proprio risuscitato. La gioia dilaga, la fine diventa un inizio, la luce comincia a farci capire, a riscaldare il cuore. E questa notizia è arrivata fino a noi oggi, ci ha fatti alzare stamani, ci ha fatto radunare insieme alle comunità, ci riempie la vita. Se Gesù è risorto allora significa che non è stato solo un grande uomo, allora significa che davvero egli era ciò che diceva di essere, significa che egli è presente insieme a noi, con noi. Pasqua, amici, Pasqua! Su quella tomba vuota, su quella pietra che non è riuscita a bloccare la presenza di Dio si fonda la nostra intera speranza, la speranza di milioni di uomini che lungo la storia hanno creduto al vangelo. Paure Ma non è evidente la resurrezione, anzi si resta spiazzati nel leggere i vangeli. Ambiguità, paura e dubbio contraddistinguono i racconti della Pasqua. Marco – addirittura – che abbiamo letto durante la veglia pasquale, conclude bruscamente il suo vangelo raccontando la paura delle donne di ritorno dal sepolcro. Non è facile credere, né evidente. Evidente la crocifissione, evidente il sangue e la testimonianza, evidente e sconcertante l’urlo di sofferenza ma la resurrezione no, è tutt’altro affare, è questione di fede, non di evidenza. I racconti della resurrezione e delle apparizioni del risorto entrano nella dimensione della discrezione e della conversione, della serenità e della pace, ma anche dello sconcerto degli apostoli e della loro (e nostra) fatica a risorgere. La paura delle donne e il loro silenzio assomiglia troppo al mio e quello delle nostre stanche comunità cristiane, che preferiscono venerare un crocefisso che annunciare un vivente. La paura di non essere creduti o derisi blocca loro e noi. Loro, donne in un mondo di maschi, persone inadatte ad annunciare una notizia così importante. Noi, fragili, incoerenti, incapaci. Eppure scelti dal Nazareno per essere suoi testimoni là dove viviamo, con le parole con cui lo Spirito ci riempie il cuore e la bocca. Non cercate il crocefisso Fatichiamo a credere alla resurrezione, a emozionarci per questa notizia. Forse perché è difficile condividere la gioia di qualcun altro. Sentiamo solidale il crocifisso, ci identifichiamo, ognuno di noi ha vissuto o vive un’esperienza di dolore, di sconfitta. Abbiamo maturato una grande devozione al dolore di Dio, e giustamente. Ma troppo spesso siamo fermi a quel dolore, come i discepoli di Emmaus, quasi compiaciuti della dimensione del patire. Conosco troppi cristiani fermi al venerdì santo, accampati sotto la croce, troppo legati al proprio dolore per accorgersi che Gesù è risorto. È tempo di abbandonare il dolore, di non amarlo, di redimerlo. La gioia cristiana è una tristezza superata, la gioia cristiana è guardare delle bende e vedere il corpo trasfigurato che avvolgevano, vedere una tomba vuota e capire che sì, davvero il Signore è risorto. Se davvero siamo risorti con Cristo, cerchiamo le cose di lassù, viviamo da risorti! Luminescenze Da anni lo faccio: il sabato santo è il mio tempo di riflessione, in montagna, ovvio. La giornata è da commuoversi: il sole è alto, la neve riflette una luce quasi insostenibile. La temperatura è appena sopra i dieci gradi, ma si sta quasi in maglietta. La neve è ancora alta, ma di fianco al torrente e sotto i larici del bosco, si vedono chiazze di erba autunnale. Un numeroso branco di camosci, stremati dal lunghissimo inverno, bruca, ignaro dei pochi umani nei paraggi. Li guardo. Sorrido. Lo so, i camosci, agli occhi di un profano come me, sono tutti uguali, ma mi sembra di riconoscere quel camoscio che, due mesi fa', arrancava disperato nella neve. Buona Pasqua, cercatori di Dio. Importanti comunicazione sul sito www.tiraccontolaparola.it da parte di don Paolo. |