Omelia (12-04-2009)
Agenzia SIR


I giorni più duri nella vita degli amici di Gesù sono pieni di paura e angoscia. Anche il grande Sabato è avvolto nel silenzio della tomba. I discepoli sono chiusi nel cenacolo, quasi rassegnati ad una tragedia che sta per investire pure loro. Solo poche donne non sono paralizzate dal timore e si recano al sepolcro per i gesti pietosi della cura per i morti: vorrebbero prendersi cura del corpo di Gesù, in qualche modo ungerne le ferite e profumarlo, attenuandone gli squarci aperti dalla violenza. Non sono donne isteriche; hanno il senso della realtà e della semplicità delle cose. S'interrogano su come togliere il masso che ostruisce l'ingresso della tomba. Nulla lascia presagire quello che sta per accadere. Infatti, era "sorto il sole".
L'evangelista aveva preparato a lungo questo momento: tutto doveva condurre qui. La tensione drammatica tra la morte e la vita si risolve in quest'unica scena con le donne ancora sospese nella paura, mentre la gioia e la felicità si fanno pian piano strada nel segno della tomba vuota e ancor più nelle parole dell'angelo: "Non abbiate paura, è risorto, lo vedrete!".
Il Vangelo di Pasqua è scritto dal discepolo che è corso più veloce di Pietro al sepolcro; è il discepolo "che Gesù amava". Entrato, "vide e credette". Cosa vide se Gesù non c'era? Forse vide il sudario, la Sindone? È probabile. Di sicuro c'è che credette.

Prima ancora dei discepoli, però, al sepolcro c'erano andate le donne. Tre, secondo Marco. Solo Maria di Magdala secondo Giovanni. La Chiesa del mattino di Pasqua è costituita da un piccolo gruppo di donne. Il "genio femminile" di cui parla la "Mulieris dignitatem" si riferisce anche a questo intuito sulla Risurrezione, a questo precedere gli stessi apostoli nella speranza della vita che vince la morte. La "Mulieris dignitatem" dice molto di più: "Le donne sono le prime presso la tomba. Sono le prime a trovarla vuota. Sono le prime ad udire: Non è qui. E risorto. Sono le prime a stringergli i piedi. Sono anche chiamate per prime ad annunciare questa verità agli apostoli... Maria di Magdala è la prima ad incontrare il Cristo risorto... Per questo essa venne anche chiamata l'apostola degli apostoli, Maria di Magdala fu la testimone oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, fu anche la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli" (n.16).

A Maria di Magdala Rainer Maria Rilke dedica alcuni versi: "...quando venne in lacrime al sepolcro / per spalmarlo di balsami, Egli era / per lei risorto e per poterle dire, / più beato, il suo: Non mi toccare. / Lei capì solo poi nella sua grotta, / quando, fortificato dalla morte, / lui finalmente le vietò il conforto / di spalmarlo di unguenti e il presagio del contatto, / per educare in lei la donna amante / che sull'Amato ormai più non si china / perché, sospinta da bufere enormi, / sopravanza la voce dell'Amato".
Ultime a lasciare il Golgota bagnato di sangue, le donne sono anche prime a ricevere e a trasmettere l'annuncio della sua Risurrezione. La missione evangelizzatrice della Chiesa, al suo albore, è tutta al femminile. Se c'è una precedenza ai piedi della croce e davanti al sepolcro vuoto, non è questione di genere, ma di misericordia. Maria di Magdala è la donna perdonata e perciò risorta. Le sue lacrime, accanto al sepolcro, testimoniano un legame con chi le aveva portato salvezza: Gesù. Anche per noi, oggi, l'augurio di Pasqua coincide con l'invocazione del Nome di Gesù in cui solo c'è salvezza, misericordia, perdono e speranza.



Messa vespertina: Lc 24,13-35

È l'episodio di Emmaus, con i due discepoli che fuggono da Gerusalemme a motivo degli eventi di quei giorni. Vogliono andar lontano da quei fatti, ma per strada non parlano d'altro. E sulla strada sono raggiunti da Gesù che, per tutto il tratto, li ascolta, risponde, li porta a ricordare, a credere, a tornare a sperare.
Passeranno alla storia come i discepoli di Emmaus. Uno è Cleopa. L'altro è anonimo, porta il nome di ognuno chiamato a fare la stessa esperienza. Parlano di Gesù, conoscono tutti i fatti, fino alla morte, ma manca loro il fatto decisivo, la resurrezione. Per loro la croce è stata la fine di ogni speranza. E il Risorto insegna loro che proprio la morte in croce, alla luce della Pasqua, è la chiave per comprendere tutta la Scrittura, tutti i "fatti" di Gesù.
Noi ci troviamo nella condizione dei lettori del Vangelo di Luca; siamo i cristiani della terza generazione e fondiamo la nostra fede sulla testimonianza dei testimoni oculari. Come per i due di Emmaus, anche la nostra paura può trasformarsi in gioia dinanzi al gesto del pane spezzato e condiviso. Nella parola e nel pane eucaristico il Risorto si fa presente e ci mostra anche un altro sacramento della sua presenza, il fratello, con il quale spezzare il pane della riconciliazione e della pace. E fare pasqua.

Pasqua è gioia incontenibile. Come il popolo ebreo esultò e danzò all'uscita dalla schiavitù, così gioisce il nuovo popolo di Dio uscito, con Cristo, dalla tomba di morte. Chi crede, gioisce, perché la speranza prende il posto della disperazione, la vita sopravanza la morte, il bene che perdona è più forte del male. Abbiamo una buona notizia da annunciare al mondo: Cristo è vivo! Dobbiamo portare questo annuncio che rende giustizia a tutti i poveri della terra e asciuga tutte le lacrime versate nel mondo. Vivere da risorti non significa estraniarsi dalla terra, ma ricondurre alla speranza tutto ciò che noi viviamo. Il perdono, domandato e offerto, l'amore che vince il male con un bene più grande, la presenza accanto ai giovani, alle famiglie, ai malati e ai soli. Sono tutti frutti di una vita risorta, che ha conosciuto – come il sepolcro di Cristo – "un terremoto grande": la terra si scosse, come una partoriente. Chi fa Pasqua, non nasce a nuova vita?

Commenti a cura di don Angelo Sceppacerca