Omelia (09-04-2009)
don Maurizio Prandi
Il servizio, un nuovo inizio

Un desiderio ci guida in questi tre giorni che, come ripeto tutti gli anni,sono un giorno solo: cercare di non perdere nulla della ricchezza della liturgia, della ricchezza della parola che ci viene consegnata, della bellezza del volto di Dio che in Gesù si rivela.

Una parola sul senso della liturgia e del rito ce la dice la prima lettura di oggi, tratta dal libro dell’Esodo, che segna quasi una sosta, una interruzione nel racconto del cammino del popolo di Dio verso la terra promessa; siamo al capitolo 12 del libro dell’Esodo e il racconto dei fatti, degli eventi, degli accadimenti si passa ad una istruzione rituale (mons. G. Angelini): è la descrizione minuziosa dei gesti che vanno a comporre la cena pasquale dell’agnello. E’ un passo della Scrittura questo che può segnare come una sorta di riconciliazione con il rito, a volte vissuto faticosamente per via di gesti compiuti con stanchezza ripetitiva, magari non comprensibili fino in fondo o che rischiano di rimanere in secondo piano perché nascosti dall’esteriorità celebrativa. Il rito, ci viene detto oggi, è per ricordare... ce lo dice la lettura sottolineando e ponendo in primo piano la parola memoriale. Un memoriale da celebrare come festa del Signore, un memoriale da celebrare di generazione in generazione come un rito perenne. Bello anche che venga scritto: Questo sarà per voi l’inizio dei mesi, sarà per voi il primo mese dell’anno. Un rito, un memoriale che segna un inizio, un rito, un memoriale da vivere ogni anno come un nuovo inizio, la possibilità che ci viene data di dire che tutto il tempo della nostra vita può ricominciare sempre da capo da questo mese, da questi giorni, da questi gesti, da queste parole...

Anche il brano di vangelo che abbiamo ascoltato ci aiuta in questo: il rito è per ricordare, non semplicemente una cena o un gesto di umiltà (altrimenti si cadrebbe in quella ripetitività vuota che dicevo prima), ma la passione e morte di Gesù. Siamo qui questa sera per dire che desideriamo ricominciare e che riconosciamo in quella cena che Gesù ha vissuto con i suoi discepoli l’inizio della nostra vita, l’inizio della nostra speranza e desideriamo viverla come Lui l’ha vissuta. Sapendo, dice il testo... piena consapevolezza da parte di Gesù. Sapeva Gesù, ma non è preveggenza questa, non è dimostrazione di divinità (Gesù è Dio perché tutto conosce e tutto prevede). Il vangelo vuole mettere in luce la serietà e la libertà con cui Gesù affronta la morte... ciò che io come uomo istintivamente cerco di mettere da parte, cerco di allontanare, (dolore, sofferenza, morte), fa parte del mondo di Dio, fa parte del piano di Dio. Ciò che avviene non è casuale, imprevisto, senza senso: è previsto e non distrugge il piano di Dio. La morte, il tradimento, l’apparente sconfitta della Croce, la solitudine dei discepoli nel mondo fanno parte del piano di Dio. E Cristo assume tutto questo liberamente (don Bruno Maggioni). Credo che anche Gesù abbia vissuto l’ultima cena come un nuovo inizio... sapeva... sapeva che quella era l’ultima volta che mangiava e beveva con i suoi sulla terra e proprio per questo era un nuovo inizio, l’inizio di una presenza diversa, di una comunione diversa il cui senso, il cui significato è affidato al pane e al vino della seconda lettura e al gesto di servizio del vangelo. Come dire (tante volte ce lo siamo ripetuto), che non c’è Eucarestia, non c’è Messa, se non c’è vita donata, se non c’è amore, se non c’è carità, se non c’è servizio per i fratelli e le sorelle. E’ davvero importante il primo versetto del vangelo di oggi, perché ci racconta dell’amore di Dio, del modo in cui Dio intende l’amore. Non che quello degli uomini sia meno importante o di profilo più basso, ma quello di Dio, sembra dirci l’evangelista Giovanni, è su un piano differente; filéin è l’amore umano, quello che si nutre anche del contraccambio, agap'n è il verbo che Giovanni predilige per indicare come ama Dio. C’è un modo religioso dell’amore, nel senso che è un amore che viene da Dio e che si modella su quello di Dio: gratuito, totale, definitivo. Il pane, il vino, la lavanda dei piedi, l’alleanza che Dio stringe con ogni uomo sono il luogo nel quale crescere in questo amore. Avendo amato i suoi che erano nel mondo dice il vangelo... questo amore di Gesù che vuole raccogliere tutto quello che c’è stato fino ad ora, il suo ministero, le sue parole, i suoi gesti... li amò sino alla fine continua questo primo versetto riferendosi a ciò che sta per avvenire: la lavanda dei piedi, le ultime confidenze, il saluto, la morte... come dire che la grande testimonianza d’amore di Gesù è tutta intera la sua vita, testimonianza di un amore sino alla fine, oltre ogni misura, fino al punto più alto, fino al momento in cui, avvicinandosi la fine, la preoccupazione per se e per la propria vita non prende il sopravvento come accadrebbe ad ognuno di noi, ma lascia il posto al dono totale.

Comportatevi come io ho fatto con voi lascia detto Gesù... responsabilità nostra è riconoscere in quel gesto un mandato... condizione per amare e per servire è conoscere ciò che Gesù ha fatto per noi. Non è facile vivere questo amore gli uni per gli altri, lo possiamo fare soltanto se ci mettiamo alla scuola di Gesù che si è inginocchiato come un servo di fronte agli uomini... soltanto così la nostra chiesa potrà intraprendere la strada del dono, perché solo servendo disinteressatamente i propri figli potrà davvero essere autorevole. La propria autorità la chiesa la rivela e la afferma nel servizio... oserei dire che la credibilità della chiesa è legata alla sua capacità di servire, di inginocchiarsi di fronte agli uomini e alle donne dei nostri giorni. La possibilità di alzare la voce, è legata alla capacità di abbassarsi, di scendere, di chinarsi, di curare, di servire...

Perché lo sentiamo come un compito, come un mandato ben preciso, perché facciamo nostra questa eredità che ci lascia Gesù, in questa Eucarestia vogliamo pregare, questa eucarestia vogliamo offrire.