Omelia (12-04-2009) |
padre Antonio Rungi |
E’ risorto, non è qui. Cerchiamo Cristo non nella morte, ma in tutto ciò che è vita. Celebriamo oggi la domenica di risurrezione la Pasqua. La domenica delle domeniche, in quanto questo è davvero il giorno del Signore, nel quale siamo invitati a rallegrarci, a gioire, non più a sperare, ma ad avere la convinzione che ogni speranza è certezza per un credente che affida il suo sguardo e la sua proiezione della vita in Cristo. Egli è risorto, non è più nel sepolcro e se vogliamo incontrarlo, trovarlo, attraverso il dono della fede, è necessario non andare verso la morte, ovvero il peccato, ma verso la vita e la luce, che è la grazia e che è la verità. Quanto sia vero tutto questo in questa Pasqua 2009 lo comprendiamo alla luce di quanto abbiamo visto in questi giorni, davanti alla distruzione del terribile terremoto che si è verificato a L’Aquila in Abruzzo nella notte della domenica delle Palme ed ha seminato dolore, morte, ha messo seriamente in discussione la fede di tanti credenti. Davanti alle tante bare di fratelli e sorelle morte, tra cui diversi bambini e giovani, possiamo porti la domanda: dove eri Dio? La riposta della nostra fede in questo giorno della vita, la troviamo nel testo del vangelo e in tutta la liturgia della parola di Dio di questa giornata di risurrezione. La sequenza che leggeremo oggi tra la seconda lettura e il vangelo ci fissa i contenuti essenziali della nostra fede nel risorto: "Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa".Quante persone vorrebbero elevare questo grido di speranza davanti alla sofferenza, alla morte dei propri cari, di fronte al dolore, di fronte ai tanti casi di morte apparente, di coma irreversibile. Vorrebbero gridare è vivo, ce l’ha fatta, è uscito fuori dal coma. Questi "miracoli" della vita spesso avvengono anche in questo mondo segnato da troppi eventi di morte, di sofferenza, di distruzione, di cui veniamo a conoscenza in modo rapido ed immediato attraverso i mezzi di comunicazione sociale. La televisione, la radio, i giornali sembra non abbiano altro da farci vedere, ascoltare, leggere e meditare se non fatti di violenza, di morte, di distruzione quasi a sottolineare che la nostra vita sia solo un cronaca nera all’infinito. Invece non è così. Ci sono tanti segnali di vita, risurrezione, luce, speranza che attingono il loro significato proprio da quel sepolcro vuoto che lascia Gesù, dopo tre giorni (in realtà poche ore, tra il venerdì della morte in croce e l’alba della domenica) di chiusura temporanea nella tomba nuova, davanti alla quale era stata posta una pietra. Segno evidente che la temporaneità della morte non riguarda solo Cristo, ma tutti gli uomini. Egli infatti verrà a giudicare i vivi e i morti ed il suo regno non avrà più fine. In questa fede nella risurrezione sappiamo che risorgeremo anche noi dai nostri corpi mortali e assumeremo il corpo glorioso e glorificato del Cristo risorto. Questa speranza nella risurrezione, questa certezza di vita oltre la vita ci fai attenuare la sofferenza quando ci troviamo davanti alla tragedia della morte dei nostri cari e dei nostri fratelli, come ci siamo trovati tristi, angosciati ed addolorati davanti alle bare delle vittime del terremoto, i cui funerali solenni sono stati fatti il 10 aprile 2009, Venerdì santo, con una messa di suffragio, presieduta dal cardinale segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, con deroga di celebrare messa in una giornata nella quale, di norma, non si può celebrare l’eucaristia. Segno evidente che anche nel mistero della morte, la liturgia ci fa pensare immediatamente alla vita. E la messa non è soltanto il memoriale della passione e morte in croce del Signore è soprattutto il memoriale della sua risurrezione, della vita che esplode prepotente da quel sepolcro lasciato vuoto, per dirci che non dobbiamo assolutamente essere tristi per una morte che è solo temporanea in attesa della risurrezione finale. La paura e l’angoscia della morte non può albergare nella mente di un cristiano che crede fermamente nel risorto. D’altronde se facciamo tesoro della parola di Dio di oggi e ci rifacciamo ai racconti che sono stati scritti dai diretti testimoni della risurrezione comprendiamo il senso della nostra fede nella risurrezione. L’evangelista Giovanni ci riporta la cronaca di quell’evento in modo più diretto, in quanto testimone dei fatti raccontati, essendo stato l’unico discepolo a rimanere sul Calvario ed assistere "de visu" alla morte di Gesù. Egli che ebbe dal Signore il comando di accogliere la Madonna nella sua casa e di riconoscerla nella fede la sua Madre e quindi la Madre di tutta la Chiesa e dell’umanità, poté meglio capire subito il significato ed il valore di quel sepolcro vuoto. La buona notizia ormai attraverso Maria di Magdala era giunta agli apostoli. La prima testimone della risurrezione è proprio Maria che è chiamata a raccontarci nella liturgia di oggi che cosa ha visto. Il racconto di Maria è dettagliato, ma anche in lei nascono dei dubbi circa la sicura risurrezione. Da qui la necessità di confrontarsi con la Chiesa ufficiale, rappresentata da Pietro e Giovanni. Pietro e Giovanni si avviarono al sepolcro per verificare la cosa e appena entrati cedettero. Ebbero la necessità lungo il breve tratto di pensare bene alla cosa, alla notizia di Maria e a rimuovere dalla loro mente e dal loro cuore eventuali dubbi, soprattutto Pietro che aveva rinnegato Gesù durante la Passione e non era presente sul Calvario. Quel tratto di vita indica la sofferenza e il lavorio della grazia e dello Spirito Santo quando ci deve illuminare e farci capire le cose di Dio, che razionalmente ed umanamente non possiamo comprendere e spiegare. E’ la continua lotta tra credere e non credere, tra la certezza e il dubbio. Quel dubbio che spesso, tuttavia, fa progredire la fede e che altrettanto spesso più minare irrimediabilmente la fede. Il punto di partenza in questo cammino della fede è sì la ragione, ma soprattutto la parola del Signore. Gli apostoli non credettero subito alla risurrezione, come non crederà subito Tommaso, che avrà necessità di toccare e vedere personalmente, ebbero bisogno di camminare verso il sepolcro, perché non avevano ancora creduto alle scritture. La fede è questo faticoso cammino che deve fare i conti con la parola rivelata, con l’insegnamento magisteriale, con la tradizione della Chiesa, istituita da Cristo stesso per il bene dell’umanità e soprattutto con i tanti drammi della vita quotidiana, sui cui la Chiesa esprime il suo pensiero. Quella chiesa di cui ci raccontano gli Atti degli Apostoli che nel brano di oggi è attenta al discorso di Pietro sulla risurrezione, impegnato a diffondere il primo annuncio del vangelo della vita. Credere nella Pasqua di Cristo è professare la fede nella vita, in quella vita che va oltre la vita terrena, perché l’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, non può essere destinato alla morte eterna, ma alla vita eterna. In ragione di questa meta ben precisa tutti noi, credenti e non, siamo chiamati a vivere su questo mondo ben orientati verso il destino eterno di gioia per ogni uomo. Sì creda o non si creda, l’uomo non rimarrà nel sepolcro per sempre. Comunque la risurrezione rientra in quella certezza non solo della fede, ma anche della ragione che vola verso la verità, con una delle due ali che spingono l’uomo a volare in alto. San Paolo Apostolo, il grande missionario della risurrezione di Cristo, il grande evangelizzatore pasquale, ci rammenta nel brano della sua lettera ai Colossesi che se siamo risorti con Cristo, dobbiamo cercare le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; dobbiamo rivolgere il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Il motivo è presto detto: noi siamo morti al peccato nel Battesimo e la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, nostra vita, si sarà manifestato, allora anche noi appariremo con lui nella gloria. Sono fissati i termini della nostra esistenza terrena ed oltre la morte. La risurrezione non è una celebrazione di un giorno, ma è la celebrazione delle celebrazioni, perché noi siamo già risorti con Cristo e siamo figli della risurrezione e non della morte, apparteniamo a un Dio che è vita, è luce, è speranza, è certezza di ogni vera e definitiva felicità. Buona Pasqua 2009, con il dolore nel cuore per la sofferenza di tanti nostri fratelli, non solo terremotati, ma in difficoltà ovunque nel mondo, che continuano a sperimentare la croce di Cristo, ma anche con la sicura certezza che tutto ciò che è dolore, morte e sepolcro è solo per un breve periodo, mentre ci attende una risurrezione e una felicità senza fine, con tutti coloro che ci hanno preceduti nel segno della fede e godono già della visione beatifica di Dio nel Santo Paradiso. Perciò possiamo oggi con grande gioia nel cuore cantare l’Alleluja della vita con questo inno pasquale: Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato: facciamo festa nel Signore. Amen. |