Omelia (19-04-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Fede, carità e missione nel compendio di una frase Vi sono due termini compendiosi con cui esprimere la realtà della Chiesa: "comunione e missione". La prima è condizione perché sussista l’altra, mentre questa presuppone la prima: nessun annuncio missionario giunge mai a destinazione se non parte da una comunità, o anche da un singolo, che sia capace di unione e di condivisione, interazione reciproca, dialogo, confronto; poiché la comunione fonda la testimonianza, e questa è la primaria caratteristica della missionarietà. Questi sono gli aspetti che descriva l’evangelista Luca nel suo libro degli Atti degli Apostoli, nel quale (I lettura) delinea la figura di una comunità cristiana incipiente che va sempre più consolidandosi e organizzandosi, i cui membri hanno aderito ad un annuncio e vi si sono entusiasmati, offrendo ciascuno se stesso per intero, nella prospettiva della fede. Il credere e il sottomettersi è l’imput che li radica nella comunione e nella condivisione mutua e spontanea che caratterizza l’agape fraterna; da qui lo slancio operativo della prassi missionaria di annuncio: "La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore." Le parole dell’apostolo racchiudono i concetti vissuti di fede e di carità, che caratterizzano il vivere singolare e collettivo dei credenti e sottolineano che tale koinonia" (comunione) e solidarietà si deve al fatto che ciascuno di essi è approdato alla fede: l’adesione al Cristo Risorto è il lite motiv che sprona a fondare la vita di ciascuno secondo la Sua e pertanto non può non assumere connotati di unità nella comunione. La fede però non è un compromesso. Non dipende dagli sforzi o dalle capacità soggettive di noi stessi, ma semplicemente da un fattore di dono gratuito e spontaneo che viene dall’alto. Tale dono lo si deve semplicemente accogliere senza riserve né opposizioni. Ecco perché Gesù, pur assecondando le sue pretese di percezione sensoriale tattica, non approva l’atteggiamento di Tommaso: "Perché hai veduto, Tommaso hai creduto. Beati quelli che, pur non avendo visto crederanno" Se immaginiamo per un istante il porsi iniziale di Tommaso davanti al Risorto, avremo l’idea di un personaggio audace e spavaldo nel suo fare critico e riluttante, quasi simile a un miscredente anticlericale dei nostri giorni quando commenta un presunto miracolo o un’apparizione mariana: esattamente un tipo ostile e distaccato, che si da’ alle spacconate e alle insinuazioni denigratorie: deve aver accolto Gesù con questo atteggiamento di obiezione mista a esecrazione: "Che stupidaggini stai dicendo? Tu, il Maestro? Fa’ un po’ vedere...." Fin quando Gesù non appaga la sua curiosità, non già ai fini di rendersi convincente definitivamente e di mettere a tacere una volta per tutte l’apostolo, ma solamente per un atto di commiserazione nei confronti di chi dimostra di non aver capito nulla del mistero del Figlio di Dio morto e risorto e di non aver compreso il vero procedere umano in fatto di fede. Lo asseconda insomma perché ha pazienza e vuole mostrarsi tollerante e benevolo, quando potrebbe semplicemente porgli un severo rimprovero a motivo della sua incredulità. Eppure il povero Tommaso non è l’unico a meritare le nostre rimostranze. Nei vangeli anche gli altri apostoli del Signore vengono rimproverati di non aver fede immediata nel risorto: nella versione del testo di Marco avviene che Gesù deve addirittura rimproverare gli Undici per non aver creduto alle testimonianze di Maria di Magdala e ad altri che lo avevano visto risuscitato; il discepolo che Giovanni vede correre la mattina del giorno dopo il Sabato verso il sepolcro assieme a Pietro non crede immediatamente nella resurrezione, ma solo dopo essere entrato nel sepolcro per constatare di persona i fatti: "Vide e credette"; il vangelo odierno descrive che i discepoli gioiscono nel vedere il Signore solo dopo che questi ha mostrato loro le mani e il costato e anche i discepoli che camminano sulla via di Emmaus non lo riconoscono presente davanti a loro se non al momento dello spezzare il pane, e questo nonostante avessero avvertito un'arsura di cuore mentre lungo la via egli commentava le Scritture. A differenza di tutti costoro però solo Tommaso chiede espressamente un segno tangibile e forse questo è il motivo per cui si è soliti guardare solo a lui riguardo al tema della mancanza di fede. In realtà, prescindendo da Tommaso e dagli altri apostoli occorrerebbe condannare l’innata tendenza dello spirito umano a voler lambiccare su ogni cosa e bizantineggiare ogni elemento in forza di una presunta capacità esclusivamente razionale; oppure, il che è lo stesso, si è soliti pretendere dalla ragione eccessivi sforzi e delucidazioni, senza voler ammettere che il cuore ha le ragioni che la ragione non conosce (Pascal) e che di fronte al mistero l’unica possibilità è quella dell’abbandono e della concessione in una sola paroletta "Credo". La fede è un atto di sottomissione della volontà e della razionalità al mistero, un disporsi libero e gratuito quanto gratuito è il Mistero stesso. Resta fermo che la vera adesione di fede è il fondamento della comunione e della missione perché l’aderire e il credere si trasformano irrimediabilmente nella conseguenza del vivere, sicché non dovrebbe avvenire se non quello che vediamo descritto da Luca negli Atti degli Apostoli: il credere, la comunione, la missione... Nella maggior parte dei casi avviene che nelle nostre comunità parrocchiali quasi mai si realizza l’attività di evangelizzazione vera e propria che spinga il credente ad essere evangelizzatore in senso stretto: eccettuando alcuni casi singolari, ci si limita a comunicare il vangelo alle sole persone che gravitano già nella comunità parrocchiale stessa, perché le catechesi e le opere di annuncio vengono rivolte per lo più a coloro che già frequentano già le nostre funzioni domenicali o prendono parte ai gruppi e alle associazioni laicali e comunque hanno come destinatari coloro che hanno già ricevuto il battesimo o che approdano alla parrocchia in occasione di circostanze eccezionali come la celebrazione di un matrimonio, di un battesimo o di un funerale. Comunicare il vangelo a coloro che non lo conoscono, ossia i miscredenti e i "lontani", raggiungere queste persone nelle loro situazioni e nei loro contesti, parlare loro di Gesù Cristo e del suo messaggio pur rischiando di essere contrariati o avversati o peggio ancora dileggiati, ciò è caratteristica dei soli movimenti e associazioni laicali o religiose specificamente predisposte e preparate allo scopo, quali le organizzazioni missionarie porta a porta.. Non che le ordinarie attività di apostolato siano inani e insignificanti, non che la comunicazione del vangelo ai battezzati non risponda alle prerogative della missione (tutt’altro!), ma è un assioma indubitabile che la vera opera di evangelizzazione = annuncio agli indifferenti è assai limitata.E quando essa si svolge non sempre ci mostriamo credibili e meritori di attenzione. Questo si deve (a mio giudizio) non soltanto alla mancata predisposizione della parrocchia, ma anche e soprattutto alla mancanza di coesione e di comunione solidale fra i membri: una comunità che non viva l’armonia e la concordia fra i singoli e nella quale prevalgano contese, arrivismi, prevaricazioni e il morbo del sospetto e del pettegolezzo; una parrocchia nella quale le cose si realizzano forzatamente o senza una vera motivazione che riguardi Gesù Cristo, la sua vita, le sue opere o nella quale si prenda l’argomento vangelo solo nella celebrazione eucaristica o nella catechesi occasione si mostra infatti poco formata spiritualmente perché non sufficientemente radicata nel fondamento sul quale sussiste, appunto il Signore. Come può essere mandataria di un annuncio rivolto a terzi una comunità che non sa vivere il vangelo innanzitutto all’interno di se medesima? Come può una madre ottenere che il figlio maggiorenne torni a frequentare la Messa domenicale se ella stessa, tornando a casa dalla funzione, omette di vivere e praticare anche i rudimenta essenziali della Parola del Signore dandosi ad improperi e pettegolezzi, magari anche mostrando grande accanimento verso i rosari e le coroncine, ma affermata riluttanza verso la Parola di Dio? Mi è capitato infatti di comunicare con un giovane pentecostale, ex cattolico, che prima di abbracciare la sua nuova fede era lontano dai sacramenti e dalla vita ecclesiale vivendo da cattolico "alla buona"; la mamma, devotissima cattolica, insisteva perché lui frequentasse almeno la Messa domenicale, eppure... notava che proprio lei, la mamma, andando a Messa, "faceva la corsa al prete più veloce", procacciando cioè il celebrante che si sbrigava in poco tempo nell’omelia o che possibilmente non predicasse affatto ("Invece presso i pentecostali si ascoltano predicazioni anche per ore e ore..."). Riscontrava insomma che la mamma, pur zelantissima nella sua devozione, non aveva affatto quella fede nel Signore che affermava di professare (per la quale le omelie e le catechesi si dovrebbero preferire ad ogni altra cosa!) e questa mancata testimonianza lo ha reso pane per i denti pentecostali... Molte volte noi presumiamo che i giovani "lontani" siano incapaci di considerazioni mirate e legittime, e omettiamo di considerare che in realtà i "lontani" siamo noi!!! Quello che insomma si vuol dire è che una comunità, per essere realmente evangelica e missionaria, non può non vivere la concordia e la comunione che le derivano dall’appartenenza reale al Risorto. Appartenenza libera e consapevole. |