Omelia (12-04-2009)
don Maurizio Prandi
L'amore che precede... ma sa aspettare

Riprendo il cammino che abbiamo fatto in Quaresima in preparazione alla Pasqua (scusate se insisto, ma per me è stato di grande importanza e credo sia una buona base per poter fare in questa notte un ulteriore passo in avanti) e provo ad aggiungere qualcosa che possa nutrire la nostra interiorità. Il cammino è stato essenzialmente un cammino alla ricerca del volto di Dio. Ricordate certamente: un Dio tentato, che ci ha detto tutta la positività della tentazione... Gesù ci ha detto che di fronte alla tentazione possiamo scegliere chi essere, chi diventare; un Dio consegnato, che sul monte della trasfigurazione ci ha detto che consegnare la propria vita significare consegnare le cose più preziose, più belle, più luminose di noi per poter come Lui brillare di una luce che viene da Dio; un Dio appassionato, che ci ha detto che non si può fare del rapporto con Dio un mercato, un commercio, ma è per il tempio che è il corpo dell’uomo che è necessario spendere la vita.
Se volete in questa notte contempliamo lo splendore del corpo piagato e ferito, flagellato e crocifisso. Che cosa è la risurrezione se non il trionfo di quella passione che ha mosso Gesù nella sua vita terrena: passione di restituire fiducia e speranza a tutte le persone umiliate, mortificate, tenute ai margini della società... passione per un Dio alleato dei poveri, degli umili, dei perseguitati, di coloro che anelano alla giustizia e alla pace.
L’altra sera, confessando un marito, padre di due splendidi bambini, un colloquio bellissimo sulla risurrezione. Aveva da confessare un peccato gravissimo, non riusciva a trovare le parole... il non credere alla risurrezione di Gesù nella carne. Avendo presente il vangelo, le parole di Gesù, i gesti, avendo presente la sua passione e la sua Croce, perché la Risurrezione? E’ un di più diceva... non ne ho bisogno, mi basta la Croce. Mi sembrava bellissimo porre al centro della propria confessione tutto questo. Io credo davvero che la Risurrezione non sia per mostrare una vittoria, per mostrare una potenza o una onnipotenza, credo che la risurrezione non sia per convincere gli increduli. La risurrezione (ripeto), è proprio il trionfo del corpo ferito e sofferente; se non ci fosse stata la Risurrezione di Gesù, Dio sarebbe il Dio pulito pulito che era prima, perfetto e senza macchia lassù nel cielo. Dalla Risurrezione in avanti è tutta un’altra cosa perché in Dio ci sono le ferite, le piaghe, i dolori, le fatiche, i dubbi di Gesù; dalla resurrezione in avanti in Dio ci sono ginocchia segnate dall’essersi prostrato per lavare i piedi dei discepoli, mani sporche di fango per aver creato la vista al cieco nato, mani infettate per aver toccato le piaghe della lebbra, piedi lavati dalle lacrime e profumati dalle mani di una donna che nessuno avrebbe voluto vicino in pubblico. Capite la bellezza del nostro credere? Noi crediamo in un Dio che risorge non per dimostrare la sua forza, ma per accogliere e trasfigurare per sempre la nostra debolezza, per dirci che non siamo soli nelle nostre difficoltà, per gettare squarci di luce sulle nostre oscurità e di speranza sulle nostre incapacità di guardare oltre, di guardare al futuro come una promessa. Credo che quello che ho appena detto comprenda anche gli altri due passaggi sul volto di Dio che abbiamo sottolineato in quaresima, il quarto: un Dio vulnerabile e il quinto: un Dio glorificato.

Ma dall’ascolto del vangelo oggi emerge un particolare che trovo importante: Gesù è per i suoi amici il volto dell’amore e per lui si fa quello che si farebbe per il proprio sposo o per la propria sposa, per il proprio padre o la propria madre.
Siamo nel primo giorno dopo il sabato, all’inizio, perciò, di una settimana nuova; è ancora buio, ma il mattino si annuncia imminente. Maria di Magdala si reca al sepolcro. Già questo contiene un insegnamento: il sepolcro è luogo di morte e la morte si presenta come realtà definitiva. Eppure Maria si muove; che cosa la spinge? Unicamente l’amore. L’amore, per natura sua, è attivo, a costo di andare in perdita: non sopporta di rimanere ozioso, senza far nulla per l’amato. E quando anche le circostanze impedissero di fare qualcosa, l’amore può ancora esprimersi nel desiderio, nella sofferenza per il distacco. L’amore di Maria sembra illumina quel mattino ancora buio, così come la nostra capacità di amare illumina la nostra vita e quella dei nostri fratelli e sorelle.
Ma l’amore riveste un ruolo importante anche nella corsa di Pietro e di Giovanni. S. Agostino aveva scritto: Pietro rappresenta la fede e Giovanni l’amore. L’amore arriva prima. Poi arriva Pietro ed entra. La fede riconosce il mistero, ma l’amore vi è arrivato prima. Così è anche per Maria di Magdala: l’amore l’aveva portata al sepolcro, anche se non conosceva il mistero. Se la nostra fede non è guidata dall’amore è vana. L’amore deve precedere. O ci lasciamo attirare dall’amore di Dio e ce ne innamoriamo, o la nostra fede è sterile, non riconosce, non illumina e non riscalda la nostra vita. Solo l’amore può arrivare a riconoscere. Ma è bellissimo anche quello che accade preso il sepolcro, perché l’arrivare prima di Giovanni nei confronti di Pietro non vuol dire entrare. Non è il primo colui che entra. Succede che si entra se ci si aspetta. Non si entra se non insieme, nel cammino impegnativo, lungo, appassionante dell’incontro con il Risorto. Questo cammino non lo si vive se non insieme. D’altra parte, non vale solo l’aspettarsi, ma l’aspettarsi è funzionale a ciò che si vuole fare insieme.

Anche per noi possa essere così, uomini e donne mossi dall’amore e dalla fede, uomini e donne che sulla soglia del mistero sanno aspettarsi per entrare insieme, per condividere la gioia dell’incontro con Dio.