Omelia (22-03-1998) |
mons. Antonio Riboldi |
Una festa dimenticata Direi proprio che non ha fatto grande scalpore, tranne che per i mass media ed i pochi interessati alla drammatica vicenda, 'il pubblico riconoscimento della Chiesa delle sue eventuali colpe' in quello che è stato tramandato alla storia come "l'OLOCAUSTO'. Sei milioni di Ebrei immolati nel delirio di onnipotenza del nazismo che nei vari campi di concentramento voleva distruggere o cancellare dalla faccia della terra un intero popolo, quello ebraico che è la nostra memoria religiosa da Abramo a Gesù a oggi. Un olocausto voluto solo perché gli Ebrei erano Ebrei. Ricordo il terrore di un professore ebreo che nel 1944 – ero ancora giovane studente in vacanza alla famosa Sacra di S. Michele (TO) - chiese a noi un nascondiglio perché oramai la sua vita era in pericolo. Cacciato senza un perché dalla sua cattedra, avendo perso ogni possibilità di vivere solo perché era ebreo, chiedeva a noi più che un pezzo di pane, un posto al sicuro. E lo custodimmo con ogni cura, fino a che qualcuno seppe ed iniziò un rastrellamento da parte dei soldati nazisti. Lo nascondemmo così bene che non riuscirono a trovarlo. E l'ira dei soldati si riversò su di noi, al punto da essere portati e schierati ad un muro per la fucilazione, che non avvenne e neppure oggi so perché. Tutto era pronto per l'esecuzione, una terribile agonia durata tre ore, poi alla fine ci lasciarono liberi e il professore fu salvo. Allora non sapevo che lontano da me, nascosti dal silenzio di una stampa necessariamente pilotata dalle dittature, si consumava un orribile massacro. La fine della guerra mise a nudo quel massacro che scosse la coscienza di tutti in cerca di responsabilità. Per ben tre volte in questi ultimi dieci anni, mi sono recato in pellegrinaggio ad Auschwitz ed ogni volta ho passato in rassegna, come in una liturgia penitenziale, quella "cittadella dell'orrore": gli orribili cameroni dei detenuti, i magazzini dove sono ancora conservati i cappelli che dovevano servire ad una industria, le valigie e, quello che più fa inorridire, le protesi tolte ai condannati a morte. Ho visto le celle dove venivano come sepolti vivi i condannati, tra cui la cella dove morì il beato Massimiliano Kolbe, il muro della fucilazione, dove pare siano stati fucilati decine di migliaia di ebrei ed infine un forno crematorio. Alla fine di questo lungo e penoso calvario, mi sono sentito talmente scosso 'dentro' da temere sempre di cadere nella trappola di odiare tutti, perdendo il bene immenso della pietà che è il cuore dell'amore di Dio e nostro. Ho chiesto a questo punto che mi fosse permesso di celebrare la S. Messa con i pellegrini che mi accompagnavano proprio vicino al muro delle fucilazioni, sotto 'lo sguardo' del beato Massimiliano, la cui cella era al nostro fianco. La Chiesa ha avuto il coraggio di riflettere sull'Olocausto, non sottraendosi a sue eventuali colpe. E' vero che la Chiesa, e ne sono testimone, ha dato asilo a suo tempo, a cominciare da Pio XII, a migliaia di Ebrei, ma non si è accontentata e ha voluto guardare fino in fondo a quella tragica pagina della storia, per presentarsi penitente e riconciliata al Grande Giubileo del 2000. Da qui lo stupendo documento "Noi ricordiamo" di questi giorni e la lettera del S. Padre in cui si dice "Shoah, indicibile iniquità". E' ritrovare il filo del riconoscimento delle colpe davanti a Dio, fare penitenza e quindi riconciliarsi. E di shoah il mondo ancora oggi è pieno, basta pensare all'Algeria e ai tanti paesi del mondo dove avvengono indicibili massacri che trovano troppe volte l'indifferenza del mondo. A me piace sottolineare la bellezza della pietà che viene dal riconoscimento delle proprie responsabilità, come accade nella parabola del figlio prodigo che, dopo avere abbandonato il Padre e la casa per 'vivere la sua vita senza di Lui', conosce l'errore di tale scelta. E rientrando in se stesso disse: "Tornerò da mio Padre". Ed il Padre lo sta aspettando sulla porta di casa non per giudicarlo ma per fare festa, "perché questo figlio era morto ed ora è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato". Una stupenda lezione quaresimale che ciascuno di noi potrebbe e dovrebbe fare propria, perché tutti sbagliamo e siamo responsabili di sofferenze, in famiglia, nella società, ovunque. Bisogna veramente riscoprire il volto della festa del perdono, della riconciliazione. Ne abbiamo bisogno. Bisogno di sentire le braccia del padre attorno al nostro collo perché 'siamo tornati a vivere' e fare festa. |