Omelia (01-02-2009) |
don Ezio Stermieri |
Il male in crisi Il Vangelo di Marco nasce come proposta di itinerario, catechesi per chi è stato chiamato alla vita cristiana: a riconoscere che il Vangelo, la buona notizia che salva è Gesù Cristo, il Figlio di Dio e non l'imperatore, la politica, l'economia, il potere. Giungere a confessare con Pietro e dunque con i fratelli la Messianicità di Cristo, constatare con il centurione romano, con tutte le culture: davvero quest'uomo è il Dio fatto Figlio, Fratello, Salvatore. Non c'è dunque chiamata alla vita cristiana che non ricalchi Gesù Cristo, non ne continui la missione, non abbia la coscienza del rapporto con Dio che fu di Gesù. Il libro del Deuteronomio (prima lettura) aveva visto e descritto in anticipo colui che "il Signore tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te: a lui darete ascolto..." Sulla sua bocca la parola stessa di Dio. E Marco ci ha presentato l'avverarsi della promessa. È Gesù, che entra di sabato, il giorno di Dio, nella sinagoga, in mezzo ai fratelli e insegna. La sua parola mette in crisi le forze di male: io so chi tu sei, sei venuto a rovinarci e la sua dottrina è "nuova", il suo insegnamento dice la verità ultima sull'uomo: da che parte sta Dio; la sua parola non è analitica e constatativa come quella degli uomini, "crea", pone in essere il bene. È la parola stessa di Dio che aveva creato "buono" e quella di Gesù ri-crea, ha forza perfino sugli spiriti impuri che non possono non obbedire. È una parola che si diffonde, crea stupore perché restituisce all'uomo la capacità del bene. La chiamata ad essere cristiano, di qualunque età, condizione, cultura non è altro che esperienza di far arretrare, tacere (Taci! Esci da Lui) il male è far avanzare il Regno, la novità di Dio. Se questo è vero per ciascuno, ancora di più lo è per quell'amore tra uomo e donna che non rimane chiuso in se stesso ma si apre alla società, alla chiesa per costruire attraverso il dono della vita, l'arte educativa, i valori di sacrificio, gratuità, esemplarità il mondo, un mondo nuovo. Ecco allora che S. Paolo ai cristiani di allora ma ancor più a quelli di oggi avverte: attenzione a non fare del matrimonio la tomba dell'amore dove la preoccupazione reciproca è solo di piacersi, di gratificarsi e tutto finisce li. Chi non è spostato, dice Paolo, fa più in fretta a decidersi (si vede che allora i celibi non si trasformavano facilmente in scapoli e le ragazze in zitelle!) ma come ogni cosa buona, anche la forma più alta, quello dell'amore creativo può dimenticare la "chiamata ricevuta": il "dono" ed implodere borghesemente su un egoismo a due! Non è forse quello che succede oggi fino a diventare cultura e mentalità, l'aver dimenticato che il diventare famiglia è una chiamata, il trasmettere la vita è chiamata, il costruire la società è appello per tutti e di tutti. E così, la Chiesa, ognuno a suo modo è chiamato a costruirla per unire e rendere forte il potere di Gesù per far arretrare il male e avanzare il bene. |