Omelia (19-04-2009)
mons. Antonio Riboldi
Tommaso, metti qui la tua mano

Giovanni Paolo II, ispirandosi alle rivelazioni di S. Faustina, dedicò questa domenica (la prima dopo Pasqua), alla FESTA DELLA DIVINA MISERICORDIA. É un dono ricordarla, con le parole che pronunciò il 22 aprile 2001.
"Celebrate il Signore, perché è buono, perché eterna è la Sua Misericordia (Salmo 117).
Facciamo nostra l’esclamazione del Salmista! Per comprendere fino in fondo la verità di queste parole, lasciamoci condurre dalla liturgia nel cuore dell'evento di salvezza, che unisce la morte e la resurrezione di Cristo alla nostra esistenza e alla storia del mondo.
Questo prodigio di misericordia ha radicalmente mutato le sorti dell'umanità: è un prodigio in cui si dispiega in pienezza l'amore del Padre che, per la nostra redenzione, non indietreggia neppure davanti al sacrificio del suo Figlio primogenito.
Nel Cristo umiliato e sofferente, credenti e non credenti possono ammirare una solidarietà sorprendente, che lo unisce alla nostra umana condizione oltre ogni immaginabile misura. La croce anche dopo la Resurrezione del Figlio di Dio, parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l'uomo. Credere in tale amore significa credere nella misericordia.
Vogliamo rendere grazie al Signore per il suo amore, che è più forte della morte e del peccato.
Esso si rivela e si attua come misericordia nella nostra quotidiana esistenza e sollecita ogni uomo ad avere a sua volta misericordia verso il Crocifisso. Non è forse proprio amare Dio e amare il prossimo e persino i propri nemici, seguendo l'esempio di Gesù, il programma di ogni battezzato e della Chiesa tutta intera?
Con questi sentimenti celebriamo la seconda domenica di Pasqua, che dal Grande Giubileo è chiamata anche la Domenica della Divina Misericordia" (22 aprile 2001).
E' davvero un immenso dono del Padre quello di avere compassione per le nostre quotidiane debolezze, che sono offese alla Sua bontà. Ci sarebbe da disperarsi se queste debolezze o peccati non incontrassero un Padre che talmente ci ama, pronto 'a gettarci le braccia al collo', solo se... 'rientriamo in noi stessi', prendiamo atto dei nostri peccati e ci abbandoniamo al Suo immediato e totale perdono, che è la grande ed unica nostra vera pace.
Questa domenica 'Festa della Divina Misericordia', giustamente, la liturgia della Parola continua a farci vivere il grande dono e mistero.
Mostra Gesù che 'torna vivo e risorto' tra i Suoi, che si erano rinchiusi per la paura e temevano che l'orribile onda della persecuzione giungesse fino a loro.
Già Pietro, che amava immensamente Gesù e che era stato costituito 'pietra della Chiesa', la notte del venerdì santo, forse sconcertato e confuso dal quella improvvisa 'debolezza' del Maestro, che si consegnava a quanti erano venuti a catturarlo, non volendosi arrendere a questo incredibile atto, aveva tentato di seguirne le conseguenze, forse sperando che si sarebbe tutto risolto, riscontrando l'innocenza del Maestro. Ma era tanta la paura di fare la stessa fine che, davanti a chi lo aveva riconosciuto come discepolo, non aveva esitato a rinnegarLo, come non avesse mai neppure sentito parlare di Gesù. Quanto può la paura! Subito si vergognò di questo incredibile atto di debolezza e, al terzo canto del gallo, si ricordò dell'ammonimento di Gesù e 'pianse amaramente'.
Quanto dolore costò a Pietro il suo rinnegamento.
Ma Pietro - ripeto - amava Gesù, e tanto. Quando Gesù risorto gli chiederà: "Pietro mi ami tu più di costoro?", non esiterà a ricordarglielo, anche sapendo che il Maestro conosce le profondità di ogni cuore: "Signore, tu sai che ti voglio bene". Infatti Gesù confermerà questo amore - sia pur macchiato dalla debolezza di fronte al pericolo e per paura - con l'affidargli la Sua Chiesa: "Pasci le mie pecorelle". Splendido e misericordioso Maestro e incredibile Pietro!
Tante volte anche noi, poveri di coraggio e di fede, nel testimoniare l'amore a Gesù, non solo non giungiamo al martirio, ma diventiamo vittime della paura o delle debolezze.
Forse, a differenza di Pietro, noi, per le tante manchevolezze - frutto del nostro non sapere andare contro corrente con il mondo che ci circonda, per la paura di essere emarginati - lentamente perdiamo l'amore a Gesù e così non sentiamo più il dolore, che invece Pietro ha provato. Non possiamo dire, come lui, a Gesù: 'Signore, tu sai che ti voglio bené. Quanta tristezza! Ma è la paura che determina il ritorno di Gesù tra di loro. Lo stesso giorno della Resurrezione, come se Gesù volesse confermare nella fede e nell'amore, quanti aveva scelto, per essere poi Suoi testimoni in tutto il mondo, li vuole incontrare:
"La sera dello stesso giorno - racconta Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore Gesù disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi".
Difficile anche solo immaginare la gioia dei discepoli, che, ritrovato il Maestro, di colpo videro sparire le paure. Come accade a quanti di noi quando, immersi nel dubbio, abbiamo la grazia, tramite la Riconciliazione di ritrovare Gesù in mezzo a noi
Non era morto in noi, eravamo noi morti a Lui, con le nostre debolezze, in noi sì era come spento il desiderio del Suo ritorno, riacceso con il perdono.
Ma il Vangelo di oggi mette in evidenza anche il dubbio o la certezza che Dio non sia più tra noi, come fosse morto per sempre...almeno per noi! E lo fa con il racconto di Tommaso.
"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò.
Ma otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c'era con loro anche Tommaso.
Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente. Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno".
E l'apostolo Giovanni, quasi pensando a noi, continua:
"Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché credendo abbiate la vita eterna" (Gv 20, 19-31).
Sono tantissimi i nostri fratelli che hanno saputo affrontare la vita - che a volte mette in difficoltà la fede come in Tommaso - senza abbandonare mai la certezza che verrà il giorno in cui vedremo faccia a faccia Gesù Risorto, risorgendo anche noi.
Non sono solo i martiri, che morivano con il sorriso sulle labbra, perché sapevano di 'vedere Gesù', ma ancora oggi, nonostante le tante paure che ci vogliono allontanare dal Risorto, tanti cristiani vivono come già appartenenti al Cielo.
Hanno certezze che sembrano 'bestemmie per il mondo e per i tanti che sono stati catturati e schiavizzati dal mondo'. Ma la loro vita è una risposta a Gesù che ci chiede la piena fede, come quella degli apostoli, anche se a volte sentiamo la paura di Pietro o abbiamo l'incertezza di Tommaso.
Scriveva il caro Paolo VI, nella Pasqua del 1963: "Il mistero pasquale nel nostro tempo chiede fedeltà che è vera professione di fede. All'interno del nostro spirito oggi attraversato e agitato da tante correnti di pensiero, di sensibilità, di tendenze, che ne fanno un campo aperto...ma pensare senza impegno, vivere senza dovere, godere di ogni sensazione, questa è la nostra tentazione moderna che ci attrae e delude. Abbiamo confuso la libertà con l'indeterminatezza. La volontà libera non sa più scegliere umanamente e con logica, cioè secondo ragione, perché la ragione manca di principi veri. I cristiani stessi sono spesso lusingati da questa libertà di pensare e di agire, che non ha fondamenta veramente razionali, né tantomeno fondamenti di vita cristiana. Si preferisce talvolta fondare le proprie esperienze sopra la sabbia mobile dello scetticismo, piuttosto che fondare la costruzione della vita individuale e sociale sulla roccia della parola di Cristo. Il vento del rispetto umano, le ondate dell'opinione pubblica, le suggestioni della moda culturale fanno di noi canna sbattute dal vento, di cui parla il Vangelo. È necessario il ritorno della fiducia (che mancava in Tommaso) che è conseguenza della fede e della speranza. Anche le nostre avversità possono essere da Cristo condotte nel disegno della Sua Provvidenza. Leviamo allora gli occhi dell'anima alla trionfante figura di Cristo e lasciamo che le sue corroboranti parole risuonino oggi nei nostri spiriti:
"Pace a voi: beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno!".
A noi non resta che condividere la gioia degli Apostoli, di tantissimi nostri fratelli ieri, oggi e sempre, che credono nel Cristo Risorto, ora così vicino a noi.
Vivere senza questa certezza è davvero farsi prendere dalla paura di vivere e...di morire! Impegniamoci dunque a vivere anche noi quanto narrano gli Atti degli Apostoli, oggi:
"La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede, aveva un cuor solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era in comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della resurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande stima. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case le vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno" (At 4, 32-35).