Omelia (19-04-2009)
Agenzia SIR
Commento su Giovanni 20,19-31

Quest'anno – anche quest'anno! – l'augurio della pace risuona quanto mai atteso: "Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi!". Questo è l'incipit del Vangelo di oggi, ma è anche il punto da cui ogni uomo e ogni donna vorrebbero ripartire nel cammino della propria esistenza: l'incontro con Gesù e il dono della pace. Le due cose vanno insieme, perché la pace è dono del Risorto.
La pace viene dopo. Prima viene la presenza del Risorto, il suo essere in mezzo a noi. È lui la nostra pace. La paura degli apostoli, barricati nel cenacolo, nasceva proprio dall'assenza di Gesù; era questa la loro solitudine, il loro smarrimento. Pasqua arrivò come festa e come gioia all'improvviso, alla sola presenza di Gesù di nuovo in mezzo a loro. I profeti avevano visto da lontano che il Messia, il Figlio di Dio, era il "principe della pace". Anche alla sua nascita, gli angeli lo cantarono: "Pace in terra agli uomini". E lui stesso lo dice: "Vi lascio la pace, la mia pace, non come la dà il mondo". Anche nell'angoscia, sul monte degli ulivi dinanzi alla maestà di Gerusalemme, Gesù con le lacrime agli occhi, rimproverò il suo popolo: "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace!". Siamo finalmente convinti che la pace ha a che fare con la fede? E che credere è già risorgere?

Per essere risorti occorre indossare la "veste bianca" (questa è la Domenica in albis) di una mentalità rinnovata, secondo il Vangelo. Solo così si può gioire anche nel donare i propri beni e condividendo la fede con la gente semplice (la lettura degli Atti). Si gioisce sempre, si è in qualche modo convinti della gioia, perché prima c'è la gioia di un incontro: "Mentre erano chiuse le porte venne Gesù e disse: Pace a voi! Mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore".
Finalmente i discepoli si lasciano convincere, aprono gli occhi. Prima, avevano timore, erano nel lutto e piangevano. Anche noi, oggi, vogliamo incontrare il risorto perché, se ci guardiamo attorno e spingiamo lo sguardo anche un poco più in là, non vediamo altro che timore, lutto e pianto. La fede ci tocca qui. Il risorto ci incontra e ci raggiunge proprio in questa situazione di paura, di inerzia lacrimosa, di incredulità. Qui l'incontro, ma non si ferma qui; il risorto ci coinvolge nella sua missione: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Si guarisce dalla paura andando e aprendo il cuore e gli occhi degli altri.

L'annuncio e l'augurio di Pasqua non si esauriscono in un giorno. Il tempo di Pasqua è lungo, dice la liturgia, fino a Pentecoste. La vita e la storia ci dicono che il tempo di Pasqua dura finché c'è ancora chi vive nel timore, nella fame, nella violenza, nella guerra. Insomma, nella paura della morte. Per vincerla, ci vuole lo Spirito Santo, la forza di Dio, la sola capace di toccare e cambiare le menti e il cuore degli uomini. La Risurrezione, però, non è solo speranza, è già certezza, esperienza vissuta e partecipata. In questa domenica in vesti bianche risuonano più chiare che mai le parole dell'apostolo Paolo: "Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia". Se la pace è il nome di Dio, l'inimicizia è quello del peccato, il cemento che edifica tutti i muri di separazione.

"Dio uno e trino, Padre, Figlio e Spirito, fa' che la resurrezione del Figlio dai morti alla vita eterna significhi vita nuova per ogni singolo credente, vita nuova per la totalità della chiesa e attraverso la chiesa per tutta la creazione. Impotenti, chiediamo che la potenza di questa resurrezione ci sollevi dalla nostra debolezza, che la grazia della resurrezione ci aiuti a rinunciare a questa vecchia vita che finora abbiamo creduto la nostra. Permetti, Signore, che ci lasciamo condurre in alto con te e che abbiamo l'ardire di cercare, con te, di uscire dalle nostre tombe". (Adrienne von Speyr)

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca