Omelia (26-04-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
La promessa portata a compimento anche per noi

Più che il racconto dell’apparizione ai discepoli, il vero culmine del brano evangelico di oggi è il commento finale di Gesù, che dopo aver dissipato ogni stupore e ogni dubbio insito nei suoi con la consumazione di una porzione di pesce arrostito, rammenta loro: "Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni." Un’espressione che richiama immediatamente un insegnamento precedente, sempre riportato in Luca: "Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse tutte queste sofferenze per entrare nella gloria?" (Lc 24, 25 – 26)
Anche se Gesù deve necessariamente mostrare le mani e il costato e consumare (pur non avendone bisogno, nel suo corpo glorificato) una porzione di pesce arrostito per togliere ogni timore e dissipare ogni dubbio, egli si rivolge ai discepoli soprattutto con le espressioni suddette, perché sono proprio quelle che danno spiegazione risolutiva a quanto essi stanno vedendo: che il figlio di Dio soffrisse, fosse torturato e fosse messo a morte era necessario. Una necessità non caratterizzata dall’uomo o dalla storia, ma determinata dal volere divino di salvezza, per la quale il padre aveva impostato che il Figlio subisse patemi e venisse sottomesso alla frustrazione e alla morte di croce ai fini di resuscitare. Il Cristo Salvatore doveva passare attraverso il patibolo, spirare di morte violenta ed essere consegnato alla terra (al sepolcro) perché Dio realizzasse sugli uomini il suo piano di salvezza perché quello e non altro era sempre stato, sin dall’inizio dei tempi, il progetto divino nei riguardi dell’uomo: tutti i particolari della morte e della resurrezione erano stati preordinati e preimpostati come descrivono le Scritture; poiché infatti Mosè, Davide, i profeti e le varie prefigurazioni bibliche parlavano già di qualcosa che era in germe, ossia la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, e che adesso ha trovato compimento il mattino dopo il Sabato, nell’evento della tomba vuota.
Gesù Risorto è insomma l’adempimento delle antiche promesse messianiche, il culmine della rivelazione e il compimento di ogni profezie di cui parlava la Bibbia.
Perché allora si stupiscono i discepoli nel vedere il Signore Risorto e glorificato? Non dovrebbero piuttosto esultare e rendere gloria a Dio per un avvenimento che ci si aspettava e che ora si è definitivamente realizzato? Senza il rischio di esagerare, ci azzardiamo a dire che l’atteggiamento dei discepoli avrebbe dovuto avere le fattezze proprie dei tifosi allo stadio durante un match importantissimo, quando la squadra preferita messe a segno una rete importante e decisiva: tutti quanti si esulta di gioia incontenibile, perché ci si aspettava quel goal che finalmente è arrivato. O almeno lo si sperava con fervore.
Nei discepoli di Gesù c’è gioia, ma si tratta pur sempre di una letizia mista a stupore e a meraviglia, propria di chi crede di vedere un fantasma e il mostrare mani e piedi è la soluzione più conveniente perché finalmente si risvegli in tutti il vero sentire e sperare che è proprio della fede; la verità è che il torpore e la cecità degli apostoli avevano impedito di vedere nell’apparso maestro risorto l’adempimento delle promesse secondo quanto detto dai profeti e dalle Scritture.
Cristo dal canto suo, una volta risuscitato, appare deliberatamente e nella forma convincente e determinata ai discepoli e come dirà poi Paolo comparirà anche a più di 500 persone oltre che a lui medesimo, recando la pace, manifestando il suo innalzamento glorioso, comunicando (Giovanni) il dono dello Spirito Santo e invitando i suoi a "fare discepoli tutti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Le apparizioni, proprio perché molteplici e variegate, sono la riprova della realtà della resurrezione, l’affermazione effettiva di questo mistero indicibile di vita nel mondo degli apostoli, dei discepoli e di tutti gli uomini e hanno pertanto un valore incontrovertibile.
Ma la ragione del loro verificarsi fenomenologico è sempre la stessa: il compimento messianico di quanto descrivono le Scritture, da Abramo a Mosè fino ai profeti e quello che deve colpire nel segno è la centralità di Cristo Signore Messia Glorioso che appare non perché vuole rendere soddisfazione a uomini titubanti ed incerti, ma perché vuole affermare la propria grandezza da Risorto vincitore della morte, capace di superare la prova del supplizio con la vittoria sul sepolcro.
Infatti è proprio sui questo che fa leva il discorso aspro e recriminatorio di Pietro che rende testimonianza dell’evento: prima ancora di rendersi testimone della tomba vuota e delle apparizioni, egli esclama: "Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato", e più avanti (v. 22 e ss) aggiungerà: "Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio vi farà sorgere un profeta come me in mezzo ai vostri fratelli; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. E chiunque non ascolterà quel profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo. Tutti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in seguito, annunziarono questi giorni."
e questo è sufficiente per rendere ragione sul motivo per cui Gesù non era sceso dalla croce ma aveva affrontato il patibolo: la necessità di attraversare il patimento per manifestare adesso il suo innalzamento vittorioso di Signoria vera e di gloria definitiva e pertanto è ora assodato che il vero Messia e Salvatore promesso è proprio lui.
Il tempo della Chiesa, che intercorre fra la Resurrezione – Ascensione del Signore fino alla sua venuta finale nel giorno del giudizio, è il nostro momento, caratterizzato dall’annuncio e dalla testimonianza del Signore risorto che vive immortale e che non conosce sconfitta umana se non la durezza e l’ostinazione del cuore; quello che impomne che noi davvero ci appropriamo, affascinandocene, del mistero del Risorto che sfolgora la sua gloria e che ci chiama sempre a testimoni della sua fiducia e della nostra speranza. Si tratta del tempo che deve connotare tutti i credenti come contrassegnati dalla gioia e dall’esultanza e dallo spirito fervente della missione che lo stesso Risorto ci ha affidato.