Omelia (26-04-2009)
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Commento su Luca 24,35-48

PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE

Vi è mai successo di veder morire un sogno?
Vi è mai capitato di sentirvi sconfitti, delusi, arresi, di fronte ad eventi più grandi di voi che spazzano via ogni speranza?
Vi è capitato mai di provare il tradimento di un amico o di una persona cara su cui avevate riposto delle aspettative, forse sbagliate, ma in cui avevate confidato?
O ancora peggio, vi è mai successo di avere condiviso con altri il sogno della costruzione di un mondo migliore ed avere lottato, e magari avere sacrificato, anche delle cose importanti, per ciò che ai vostri occhi è sembrato possibile e realizzabile e poi accorgervi che la realtà è molto più dura. e che tutto quello in cui avete sperato, che avete sognato, che è stato teorizzato, che magari ad un certo punto sembrava a portata di mano, si allontana inesorabilmente e sembra venire eliminato via dalla logica più umana e più realista che sia...?
Vi è mai capitato di sentire l'amaro in bocca per gli errori vostri e degli altri, di avere la sensazione di non trovare più la forza per proseguire un cammino che sembra molto meno sensato di come vi era apparso prima quando tutto l'ideale, la collaborazione, l'amicizia erano ancora in piedi... quando immaginare qualunque sviluppo positivo nel vostro procedere con altri sembrava ancora possibile, quando ancora pensavate di avere con altri una idealità comune?
Potrei dire per riassumere:
vi è mai capitato di pensare di avere fallito e di essere in quello stato psicologico di elaborazione per cui è ancora troppo presto per ricominciare e le mente torna sempre sui propri passi cercando di elaborare gli eventi accaduti e cercandone una ragione, una giustificazione, una conseguenza, senza però mai vederci veramente chiaro perché anche il cuore è ancora coinvolto e non riuscite ad essere pienamente lucidi?
Se vi è capitato, sapete di che cosa sto parlando, ma se non avete mai vissuto tutto questo, provate comunque ad immaginare questi stati d'animo...
Dopo queste domande iniziali, a cui vi chiedo di dare una risposta silenziosa dentro il vostro cuore riconsideriamo il brano del Vangelo che la liturgia ci propone in questa Terza Domenica del Tempo di Pasqua (Luca 24,35-48).
Gli undici sono riuniti, Gesù è morto crocifisso, tutto sembra perduto.
Il Vangelo di Luca non ci dice nulla dello stato d'animo degli apostoli, ma è facile immaginarlo: confusione, senso di sconfitta e paura... ( in un brano parallelo l'evangelista Giovanni sottolinea che l'apparizione di Gesù avviene in un luogo in cui "le porte erano chiuse per timore dei Giudei" (Gv 20,19)
Tornano i discepoli da Emmaus e raccontano una storia strana, quasi incredibile; dicono di avere incontrato Gesù "lungo la via" e di averlo riconosciuto "nello spezzare il pane".
Cerchiamo di immaginare la scena.
Certo, alcune donne della comunità erano andate alla tomba ed hanno riferito di avere trovato il sepolcro vuoto e di avere incontrato un angelo che aveva chiesto loro perché cercassero fra i morti colui che è vivo. Anche Pietro, personaggio autorevole in quanto primo degli apostoli e di sesso maschile, quindi per la mentalità dell'epoca, più attendibile senz'altro delle donne, ha trovato il sepolcro vuoto. Eppure tutto sembra anche incredibile... Gesù è morto.
Ed ora questi due discepoli che narrano questa storia per lo meno singolare di un Gesù che non è morto, che ha camminato con loro, che ha spezzato il pane, che si è fatto presente e prima di sparire dalla vista, con la riflessione sulla Parola, fatto "ardere il loro cuore".
A conferma del racconto dei due discepoli di Emmaus succede che:
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
"Pace a voi", con queste parole di saluto Gesù annuncia agli apostoli la sua vera natura: infatti questo è il saluto messianico per eccellenza, l'augurio che stabilisce il dono duraturo del Messia, la pace.
E' apparizione reale, vera, concreta.
E' la prova che Gesù certamente è morto sulla croce, come ultimo fra gli ultimi, ma è la conferma che egli è "il primogenito dei risorti"
E' la verifica che le sue promesse avevano un fondamento.
E' la dimostrazione che chi è partito alla sua sequela non ha investito in uno dei tanti ciarlatani o presunti messia che affollavano Israele.
La sua resurrezione è diversa da quella del giovane uomo di Naim o da quella di Lazzaro.
La sua resurrezione non legata ad un fattore biologico o chimico, per questo è sottratto (e ci sottrae per sempre) dalla morte: con Lui entriamo nel Regno dell'amore.
Il Signore, nel suo apparire, appartiene ad un'altra realtà ed è per questo che i discepoli non lo riconoscono immediatamente e tendono a pensare ad un fantasma cioè ad uno appartenente al "regno dei morti".
Come l'esperienza umana è limitata, come le vie del Signore non sono le nostre vie, così i suoi pensieri non sono i nostri pensieri. Nella nostra esperienza umana siamo portati a incasellare tutto: Gesù è morto, quindi, ragionano i discepoli, può essere solo un fantasma!
Eppure Gesù aveva preannunciato nel suo ministero pubblico, che tutto ciò che si sarebbe compiuto: dalla morte dolorosa ed umiliante alla gloria del Messia.
Ma gli apostoli sono ancora increduli (annota l'evangelista, "per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore"). Penso che anche noi lo saremmo stati al posto loro, per cui il Signore decide di dare loro dei segni tangibili: egli si può fare toccare (Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi), è capace ancora di mangiare (Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.), è in grado di stare coi suoi e di parlare con loro: egli è il Risorto.
Gesù, il Risorto, spezza il pane coi suoi, come hanno raccontato i discepoli di Emmaus, come succede in tutti gli altari del mondo per tutti i tempi.
E' Gesù eucaristia, pane vivo, presenza eterna in mezzo a noi, presenza nella nostra storia collettiva.
Gesù, il Risorto, lascia ai suoi apostoli il modo di comprendere la Scrittura "aprì loro la mente per comprendere le Scritture" e lascia a noi il modo di comprendere la Parola: Lui stesso.
Solo più tardi (nel cenacolo per la Pentecoste) gli apostoli riceveranno lo Spirito Santo che permetterà una comprensione reale degli eventi legati alla presenza, alla morte, alla resurrezione del Signore; è lo stesso Spirito Santo che ci fa Chiesa in cammino verso il Regno di Dio.
Gesù, il Risorto, come ai discepoli di allora, dice ancora a noi: "il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni".
Questo suo "testamento spirituale" che impatto può avere nella nostra vita personale, perché evidentemente nella esistenza della Sua Chiesa un senso lo ha avuto, e lo dimostrano secoli e secoli di storia dell'umanità in cui la Chiesa ha provato con tenacia a seguire la strada tracciata dal Suo Signore: è la storia a darne conto.
Ragioniamo quindi a livello individuale: ognuno di noi qui ed ora, con la sua storia, il suo "io", il suo procedere, può riflettere più intimamente sugli spunti che accenno, magari approfondendoli durante la settimana come riflessione personale.
Cristo è morto patendo.
Questo è facile da immaginare ed anche da capire; in fondo anche chi non è credente può ammettere con facilità che è esistita una persona di nome Gesù, che in un certo momento storico, ben definito, fu ucciso in maniera violenta ed umiliante.
La differenza per chi è credente è in quel "per noi" che recitiamo nella frase del "credo" ("Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto "): in queste cinque lettere si compendia un primo tassello della nostra eventuale fede.
Gesù è l'agnello immolato, il Redentore morto per riconciliare a Dio tutti gli uomini.
Non è uno dei tanti morti uccisi nella storia umana, è colui che, senza peccato, si è caricato i nostri peccati fino a distruggerli sul legno della croce.
E' Risorto il terzo giorno "dai morti".
Questo è molto più difficile da immaginare razionalmente, se ci si crede, ci si crede per fede.
Una fede che non ci si può imporre da soli... una fede che ci può essere trasmessa, si può accettare, si può coltivare (con l'Eucarestia, la preghiera, la Parola, la vita comunitaria e gli altri sacramenti).
Una fede che deve permeare la nostra vita.
Una fede che è grazia ma che è anche ricerca incessante, lavoro su se stessi, sete di Dio.
Una fede che ci dice che non siamo mai soli.
Una fede che ci racconta che con la Pasqua, si accende la speranza e la morte non esiste più perché Cristo ha vinto.
"e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme".
Conversione e perdono nel Suo nome: per ognuno di noi la possibilità di iniziare in qualunque momento un cammino che ci porta a Dio. Cambiare il cuore, cambiare la testa, cambiare la vita.
Non essere più peccatori, non essere più lontani da Dio ma avvolti nel Suo amore.
Conoscere la misericordia di Dio e assaporarne il perdono, dopo ogni sacramento della riconciliazione, sentendo il cuore lieto per l'esperienza vissuta, per il nuovo cammino intrapreso.
Sentirsi rinascere, grazie al modificare i propri comportamenti, in linea con ciò che ponendosi all'ascolto sembra possa essere gradito a Dio .
Questo ci dona il Risorto e lo dona ad ognuno di noi, gratuitamente, senza condizioni, senza distinzioni di alcun tipo.
Nella libertà completa (il Signore lascia ai suoi la predicazione, non impone niente a nessuno ci pensate? La salvezza viene proposta non imposta....) ognuno può decidere o meno di aderire alla sequela.
Di questo voi siete testimoni.
Mi sembra che non ci sia alternativa, se tutto quanto detto è vero per noi, come potremo tacere?
Se abbiamo incontrato il Risorto come potremo non raccontarlo a tutti? Come potremo non portare testimonianza con la vita ma anche con le parole ed il servizio?
Se abbiamo fatto l'esperienza dell'amore di Dio, per forza saremo suoi testimoni... E se non lo siamo come facciamo a non esserlo? Che cosa ci blocca? La testimonianza dovrebbe essere una delle nostre ragioni di vita...
Torniamo alle domande che vi ho posto in forma retorica all'inizio della mia riflessione prima di soffermarmi sul Vangelo.
L'esperienza della delusione è esperienza umana, il declinare degli ideali pure, l'amicizia tra le persone a volte può essere preziosa, a volte risentire dei limiti delle persone medesime, a volte essere falsa.
La morte è condizione che accomuna ognuno di noi, succederà a tutti, ed anche se facciamo finta di niente, spesso e volentieri, essa getta un'ombra di fragilità sulle nostre vite.
L'idea del fallimento di ciò che facciamo è esperienza che spesso è legata al nostro essere peccatori e dal fatto che anche chi ci circonda è peccatore, simile a noi.
Gesù in questa Pasqua ci offre la sua pace.
Ci da la sicurezza che noi siamo parte della Sua Chiesa e ci dice che in Lui possiamo avere una fiducia totale ed illimitata.
Ci fa capire che Egli è l'unico, che se noi vogliamo stare insieme a Lui, non ci abbandona mai .
In questo Tempo Pasquale ci ricorda che Lui è il Risorto e ci viene incontro per riempire il nostro cuore della Sua presenza.
Se c'è Lui, non c'è delusione, non c'è frustrazione, non c'è abbandono, non c'è tradimento, non c'è solitudine.
In Lui e mediante Lui e solo in Lui si compiono tutte le promesse.
Con Lui non c'è morte ma solo vita, vita eterna.
Gesù in questo Tempo Pasquale ci ricorda che egli è la nostra speranza.
A Colui che era, che è e che viene, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen