Omelia (03-05-2009) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Il testo del Vangelo di questa quarta domenica di Pasqua, la domenica detta del "buon pastore" è un breve passaggio del discorso, fatto da Gesù, a Gerusalemme, prima che si compissero i giorni dell'ultima Pasqua, quella che precedette la sua cattura, e la conseguente condanna alla morte per crocifissione, una condanna, fortemente voluta dai Giudei: capi, sacerdoti e popolo. Ed è appunto, parlando ai Giudei, che contestavano la sua opera e, sopratutto, il suo insegnamento, che Gesù, si identifica col pastore buono: «lo sono Il buon pastore». «lo sono il buon pastore» afferma categoricamente il Maestro, dando, poi, di queste sue parole, una spiegazione di una ricchezza incontestabile, e di un contenuto di verità inesauribile. «lo sono il buon pastore...»: questo dice di sé il Signore Gesù, utilizzando l'immagine del pastore, un'immagine familiare, in quel tempo e in quella cultura; un’immagine antica, che troviamo in molti dei Libri Sacri, e, tra questi, quello di Ezechiele che, al capitolo 34, riporta le parole dette dal profeta al popolo, che era in attesa di guide affidabili, e non di capi interessati e senza scrupoli, che, nel testo, sono paragonati a lupi voraci, che usano le 'pecore' per sfruttarle, e soddisfare, esclusivamente, i loro interessi di potere. Dio, tuttavia, non abbandona le sue creature, non permette che il suo popolo, il suo gregge, per usare ancora la metafora pastorale, resti troppo a lungo preda di capi senza coscienza, e promette un Salvatore, che il profeta Ezechiele annuncia, appunto, come un Dio-Pastore, il quale verrà, per condurre il suo popolo verso la libertà: "Si! Così dice Dio, il mio Signore: io stesso andrò in cerca delle mie pecore e ne avrò cura, sono le parole del testo, io passerò in rassegna le mie pecore e le trarrò in salvo, da ogni luogo dove furono disseminate, nei giorni nuvolosi e tenebrosi...; sarò io stesso a condurre al pascolo le mie pecore e a radunarle. Andrò a cercare quella perduta e farò tornare quella che si è allontanata; fascerò quella che si è fratturata, e curerò quella malata.....Io salverò le mie pecore..." (Ez 11,16). Questa promessa antica, che è stata, a lungo, il desiderio profondo del popolo eletto, nella pienezza dei tempi, si è realizzata in Cristo Gesù, il Figlio di Dio, il Pastore unico e buono, che conduce i figli di Dio alla salvezza, liberandoli dalla schiavitù del peccato, e dalla soggezione servile ad ogni umana potenza e prepotenza, che, con false promesse, fa', dei poveri, degli ignoranti, e dei deboli, un facile strumento di potere. Anche Gesù, stigmatizza il comportamento di quei capi, che egli, in antitesi al pastore, definisce "mercenari", persone prezzolate, alle quali non stanno a cuore le esigenze del popolo che governano, ma solo il loro personale interesse di potere, e la ricchezza da accumulare; e, tra questi tali, ci sono re, principi, sacerdoti, e anche profeti, falsi profeti di comodo. Sono persone ambigue, che arrivano al potere per vie traverse e che, con inganno, carpiscono la fiducia dei semplici; a loro riguardo, il Figlio di Dio ha parole forti, quando dice: «Tutti costoro, sono ladri e briganti... e il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere...» (Gv 10,8); in più, questi mercenari, quando vedono arrivare situazioni di serio pericolo, fuggono e abbandonano le persone alle loro difficoltà e, forse, anche in mano di capi peggiori di loro. Il buon pastore no, egli "offre la vita per le pecore"; egli è al servizio di quelle pecore che, nella metafora, sono la sua stessa vita, e fuor di metafora, sono tutti quegli uomini che il Padre gli ha dato, perché siano ricondotti alla Sua amicizia e al Suo amore; sono una schiera innumerevole di persone che sempre attendono liberazione salvezza; e sono l'oggetto più prezioso delle attenzioni del Padre. È questo il vero pastore, l'unico buono, egli infatti è il Figlio di Dio, e Dio col Padre; e, lui soltanto può dire quelle parole che dovremmo tener vive nella mente e approfondire nel cuore: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore». Siamo nel Tempo di Pasqua, e quell'ultima battuta: "e offro la vita per le pecore", l'abbiamo contemplata nei giorni della Passione, quando abbiamo seguito, passo dopo passo, la drammatica vicenda di Gesù di Nazareth, il Cristo che muore, perché volontariamente si è consegnato agli accusatori e ai persecutori; muore, invocando il perdono per tutti, tutti quegli uomini che non sapevano quel che facevano, che non sospettavano quale grande Mistero si celasse in quell'uomo sfigurato dalla loro violenza e dal dolore. Gesù muore, in un gesto estremo d'amore, che ci ricorda, ancora una volta, la storia di quel chicco di grano, che, questa volta, consapevolmente, entra nel buio della morte, ed abita, anche se per poco, un sepolcro; ma lui, in era Dio, e la morte non poteva tenerlo in suo potere; ed ecco, risorge, e, la sua vita da Risorto diviene la nostra vita, che, nel segno della fede, si affida a Lui: il buon Pastore "Offro la vita per le pecore..." aveva detto, e, questa vita offerta, non è soltanto quella fisica, la vita fragile, che, per ovvie ragioni si spegne; la vita che gli fu tolta ingiustamente e con grande strazio; la vita che Cristo offre è la sua stessa anima, è il suo spirito, quello spirito che in lui, come Dio, era lo stesso Spirito Santo, il consolatore promesso. Quando Giovanni, parlando della morte di Gesù, scrive: "E, reclinato il capo, spirò", in quel verbo 'spirare', egli indica l'effusione dello Spirito, dono del Cristo morente, del Pastore che non abbandona, neppure per un momento, le sue pecore, ma le sostiene con tutta la forza del suo amore: l'amore di un Dio. "Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre": sono parole dense di significato e ci dicono quale è la conoscenza che Cristo ha di ognuno di noi, noi individui ben identificabili, noi che abbiamo un nome, e, sopratutto, che abbiamo una storia, fatta di attese e di speranze. Il verbo conoscere, in tutta la Scrittura Sacra, è ricco di tutte le sfumature dell’amare, quella straordinaria capacità dell'anima che coinvolge tutte le altre potenzialità della persona: affetto, mente, cuore, volontà e attività. La conoscenza d’amore, non è mai inerte ed esige reciprocità; è questo il legame tra il pastore e le pecore; fuor di metafora, è il legame tra Cristo e i suoi, che credono in Lui, ne accolgono l'insegnamento, e ne ricambiano l’amore; e in Cristo, questa conoscenza della persona è totale: lui, infatti, ci conosce in profondità, ci conosce meglio di quanto noi stessi possiamo conoscerci, e questo, non per giudicarci, ma per condurci alla pienezza del nostro stesso essere. E’ bello, è consolante, inoltre, sapere che questa conoscenza d’amore con Cristo-Pastore, ci immette nello stesso circolo d’amore e di comunione, che lega il Padre e il Figlio, e che è, in definitiva, la vita Trinitaria, dal momento che, come già detto, l’Amore di cui si parla, altri non è, se non lo stesso Spirito Santo, dono del Risorto. L’amore del Pastore, come amore divino, inoltre, non può che essere infinito, dimensione, questa, che si manifesta in quello sconfinato desiderio di salvezza, che Cristo esprime con queste parole: "... ho altre pecore, che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge e un solo pastore". E’ la consegna che Cristo farà a Pietro e, in lui, alla sua Chiesa; a noi che ne siamo il tessuto vivo, e che ancora oggi, anzi oggi più che in passato, dobbiamo impegnarci e adoperarci, assieme a quanti sono nostri 'Pastori', perché si affretti il tempo, in cui ci sarà un solo ovile ed un unico Pastore; tempi, in cui cadranno diffidenze, ostilità e barriere, tempi, in cui, tutti gli uomini che Dio ama, e che Cristo ha redento, saranno capaci di godere del dono dell’amore del Padre. Vivere da risorti è anche questo: accogliere, nelle profondità del nostro cuore di credenti, il desiderio di salvezza per ogni uomo o donna, per i quali il Figlio di Dio è sceso nella carne, e si è consegnato alla morte; il Maestro non ha dato tante indicazioni, ci ha solo consegnato il suo desiderio; come contribuire a realizzarlo, Lui non l'ha detto: ha lasciato a noi, all'inventiva, fidandosi del nostro amore, della nostra capacità di incominciare a realizzarlo, adoperandoci in ciò, con umiltà, fede e carità: la carità di una testimonianza eloquente, e di una parola sapiente, che avvicini, coinvolga e attiri verso Cristo chi è lontano, o, per i motivi più diversi, se ne è allontanato, privandosi della gioia consolante della fede, e dell'esperienza esaltante dell'Amore che salva. sr Maria Giuseppina Pisano o.p. mrita.pisano@virgilio.it |