Omelia (26-04-2009) |
Marco Pedron |
Le vie del Risorto Questo vangelo è simile a quello di domenica scorsa dove c’erano le due apparizioni, una con Tommaso e l’altra senza di lui. Prima di questo vangelo c’è l’episodio molto conosciuto dei due discepoli di Emmaus. I due discepoli raccontano la loro esperienza e gli apostoli che il Signore è apparso anche a Pietro. Allora: i due discepoli di Emmaus arrivano dalla loro incredibile esperienza e raccontano di come loro lo abbiano visto e riconosciuto; anche Pietro racconta un suo incontro con il Signore, ma quando Gesù arriva loro rimangono perplessi e stupiti. Non vi pare strano? Perché? Cosa ci vuol dire tutto questo? E’ chiaro quello che vuol dire Lc: l’esperienza del Signore Risorto, cioè il sentirlo vivo, presente nella tua vita, è un’esperienza che ciascuno deve fare per sé. E infatti Gesù dice: "Toccatemi, guardate le mie mani, i miei piedi". Si tratta cioè di toccare, di percepire, vedere con il cuore, di rendersi conto che davvero Lui è vivo, che Lui c’è, che Lui agisce. Non basta che gli altri mi raccontino. Non basta che io sappia che alcune persone hanno rivoluzionato la propria vita. Non basta che io veda la luce negli occhi di chi lo sente vivo o la passione nell’anima di chi ce l’ha dentro. Non basta che io veda le persone guarite dalle loro malattie solo perché Gli hanno dato fiducia. Non basta che io veda la felicità negli occhi di chi non l’ha mai avuta dopo l’incontro con Lui. Non basta nulla se io non ho il coraggio di toccare, di lasciarmi coinvolgere, di mettermi in gioco io. Tutto non basta se io dubito. La gente dice: "Sarà!? Sarà anche vero, ma... Sì, sì, belle parole... Fortunato lui! A me certe fortune non capitano!... Mi piacerebbe che fosse così... dev’essere anche vero ma io non sento niente!". E perché la gente dubita? Perché non ne ha fatto esperienza, perché non l’ha incontrato, perché non l’ha toccato, perché non si è lasciata coinvolgere. Perché quando una cosa l’hai vista, sentita, quando ti ha cambiato la vita, ti ha fatto guarire, ti ha fatto riscoprire la tua bellezza, la gioia dell’amore, la felicità, quando tu torni a sentirti vivo e a sentire la vita dentro di te dopo aver vissuto come un morto e con la morte dentro, o peggio ancora con la disperazione, allora non ci sono più dubbi, tu lo sai per certo: "Lui è vivo". La fede è un’esperienza e un incontro. Altrimenti rimane un’ipotesi, una possibilità, un dubbio. Ricordo un uomo che diceva: "Io non ho dubbi. Io so che lui c’è. Io volevo uccidermi. Ho tradito mia moglie, ho avuto un figlio con un’altra donna; mi sentivo perso, disperato, nell’abisso. Che senso aveva ancora vivere? Ma poi ho incontrato Lui che mi ha detto: anche se hai sbagliato io ti amo ancora, anzi di più". Ho creduto a quelle parole e mi sono trasformato. Il dubbio non nasce a caso. E’ come trovarsi per al prima volta di fronte al mare. Allora ci sono due possibilità: dubitare o sperimentarlo. Il dubbio inizia a dire: "E se poi è troppo freddo? E se è troppo caldo? E se non ti piace? E se ci sono le meduse? E se arriva un’onda anomala? E se viene un vortice? E poi non so nuotare. Chissà se mi piace! Ma cosa sarà poi di così eccezionale il mare!". Poi inizi a dirti: "Ma sì posso starne anche senza; posso farne anche a meno", ma la realtà è che ne hai paura. E concludi: "Ma sì, in fin dei conti, non mi piace neanche tanto; a me non serve". Alcune persone dicono: "Io non sono fatto per queste cose! Cose belle, ma non per me!". Ma se non ci hai neppure provato! Se poi il dubbio è forte ci aggiungi: "Non capisco chi va al mare; è proprio stupido; detesto il mare". Non è che lo detesti, è che hai avuto paura e non ci hai neppure provato. L’altra voce dice: "Ma buttati in acqua!". Buttarsi in acqua vuol dire entrarci, sentirla, sentire l’effetto che ci fa', scoprire che il mare è bello, scoprirne i pericoli e le potenzialità, scoprire che ci piace; un po’ alla volta, andandoci io, passo dopo passo, ecc. Se vuoi sapere cos’è il mare ti devi bagnare! Se vuoi sapere cos’è la vita, devi vivere. Se vuoi sapere chi è Dio, lo devi toccare. Altrimenti hai idee su Dio, sulla vita e sul mare. Ma solo idee. E con l’idea del cibo non si mangia: si muore di fame! Il dubbio non si lascia coinvolgere. Il dubbio è la pigrizia (o la paura) che blocca. Siccome vivere, sperimentare, mettersi in gioco è coinvolgente, uno preferisce dubitare. Finché uno dubita, finché uno pensa, finché uno si fa tutte le "pare" del mondo intanto non agisce. Dubitare è avere tanti pensieri, è un bel modo per non lasciarsi coinvolgere, per non volerlo toccare. Lc descrive la difficoltà degli apostoli di credere: non credevano ai loro amici; non credevano a Gesù – e ce l’avevano davanti! -, non gli credevano neppure dopo aver visto le sue ferite e dopo che aveva mangiato con loro; facevano fatica a credergli anche quando Gesù spiegava loro il senso di tutte le cose. In questa difficoltà Lc esprime che la fede è un cammino, una strada, un itinerario, una gradualità, un passo dopo passo, un divenire lento. Noi siamo quelli del "tutto e subito", del "detto e fatto". Ma non funziona così per le cose dell’anima o del cuore. Noi vorremmo essere come il telecomando della tv o il pulsante che accende il computer: basta schiacciarlo e in un secondo tutto si apre. Ma non funziona così! Tutto è graduale nell’anima. Ed è importante che sia così. Ma che motivazione ci sarebbe se in un attimo potessimo credere? La gradualità, la perseveranza, l’evolvere giorno dopo giorno, dice quanto vogliamo una cosa (quanto cioè siamo motivati) e ci permette di gustare giorno per giorno ogni cosa, ogni passaggio, ogni situazione. "Ma quanto tempo ci vorrà? Ma è difficile! Ma ci vuole tempo! Io vorrei essere già là!, già arrivato; ma io sono indietro! Io non ci arriverò mai! Ma, mi fa male! Ma, ho paura!". Tutte frasi che dicono che non abbiamo tanto voglia di compiere questo cammino, che vorremmo evitarci la fatica e l’impegno personale del cammino. Ma Lc descrive anche le strade per arrivare al Signore. Il vangelo dice che "Gesù apparve in mezzo a loro". Solo una volta, a Maria Maddalena, Gesù appare alla singola persona. Nelle altre apparizioni c’è sempre un contesto comunitario. Ci sono, cioè, più persone. Ciò che qui si descrive è ciò che dovrebbero essere le nostre comunità e le nostre famiglie. La prima strada, come domenica scorsa, è l’incontro con le proprie ferite. Gesù mostra ai discepoli le mani e i piedi feriti. Le mani e i piedi erano il segno della sofferenza (a Tommaso domenica scorsa aveva mostrato anche il costato, il cuore trafitto). Le mani rappresentano il fare, l’agire, il costruire, il realizzare. Molte persone credono che "non ci sia più niente da fare che tutto sia compromesso, ormai!". Ma non è vero! Una donna, cinquant’anni, ha detto: "Padre, mi sento finita. Sento di non aver realizzato nulla e ciò che è peggio è che ormai è troppo tardi per tutto". Ma non è vero. Le tue mani ferite possono guarire. Certo, se inizi a dire: "Troppo tardi; alla mia età?; ma se non ci sono mai riuscita!", allora è davvero la fine. Molte persone hanno delle cose che vorrebbero fare, ma dicono: "Come mi sarebbe piaciuto fare quella cosa lì nella mia vita!". E cosa aspetti ad iniziare? Conosco un sessantenne che ha cominciato a suonare il piano dieci anni fa. Certo non sarà mai Ludovico Einaudi ma suona in chiesa, lo chiamano ai matrimoni e soprattutto lui si sente realizzato. Una donna ha iniziato a studiare psicologia a quarantacinque anni. E si è laureata! E, cosa ancor più incredibile, ha pure trovato lavoro! Certo, se tu inizi a dire: "Ma che ci faccio in mezzo a tutti questi ventenni? Ma mi vergogno!", allora è la fine. Il papà di una mia amica ha cambiato lavoro a cinquant’anni. Non è meraviglioso? Certo, se tu inizi a dire: "Ormai è troppo tardi; ormai ciò che è fatto, è fatto!", allora veramente non si può fare più niente. In una parrocchia un uomo, sessant’anni, confessandosi ha detto: "Padre, io non ho mai realizzato niente di buono nella mia vita. Ho vissuto per me; ho accumulato soldi e gli ho sperperati malamente. Mi rendo conto di non aver fatto nulla di buono. Non ho passioni e non so fare nulla. Non ho hobbies e non ho amici. Ma vorrei dare un senso, almeno un significato alla mia vita". Sapete cos’ha fatto? Organizzava viaggi, pellegrinaggi e settimane per gli anziani. E tutti lo cercavano e lo ringraziavano per ciò che faceva. Non è mai troppo tardi, a meno che tu non abbia deciso che lo sia! Perché se neppure io do voce ai miei desideri, alle mie aspirazioni, a ciò che mi piacerebbe fare o vivere, chi lo farà? Perché dovrebbero farlo gli altri? Perché lamentarmi che sono infelice, che il mondo fa schifo (tradotto: la mia vita) se non faccio nulla? Perché dire che "è troppo tardi" solo perché ho paura di iniziare, solo perché mi vergogno della mia età? Per me è una forza incredibile vedere che le mani ferite, che l’incapacità di realizzare, di costruire, di fare qualcosa, se mi fido del Signore, possono diventare mani gloriose, risorte, sanate. Io posso creare; io posso fare; io posso iniziare; io posso realizzare. I piedi feriti sono l’incapacità di stare in piedi con le proprie gambe, di camminare, di fare la propria strada, di diventare se stessi, di fare dei cammini dello spirito o dei viaggi interiori. Le tre frasi tipiche delle persone sono: "Se avessi tempo!; quanto tempo ci vuole?; ormai!". Un ragazzo a quarant’anni si è reso conto di essere ancora "il figlio di mamma e papà". Si è reso conto di aver vissuto sempre in funzione loro: abita con loro, non si è sposato, non ha un suo pensiero, è insoddisfatto. Se ascolti il dubbio o la mente è la fine perché ti dice: "Ormai!; hai fallito!; vita sprecata". Ma Iddio non ha paura: fidati e inizia a riprenderti la tua vita. E’ uscito di casa e adesso convive con una ragazza. Non tutto è semplice ma finalmente si sente protagonista della sua vita. Una ragazza ha sentito che lei, pur attratta dalla vita matrimoniale, di coppia e dalla maternità, era chiamata a vivere in maniera diversa. Lei vive per essere "un’anima che risveglia le anime". Non fa niente di eccezionale o di straordinario. Ha dei gruppi, li tiene, ed emana un’energia grande che aiuta le persone; è un riferimento per molti. Se avesse ascoltato la mente e tutte le voci: "Ma sei matta!; ma perché vuoi essere diversa da tutti!; ma sposati, e fa’ dei figli come tutte; cosa dirà tua madre!", non sarebbe così felice. Non è sempre semplice, perché altri desideri li sente, ma sente anche di viaggiare nella sua strada e di percorrere il suo cammino. Un uomo, alto, grosso e forte, non è mai riuscito in vita a dire di "no" a qualcuno. Lui non ha mai deluso nessuno (o per lo meno ci ha provato). E’ chiaro che agisce così per non essere rifiutato. Ma è ancor più chiaro che è alla mercè di tutti; tutti ne approfittano e lui lascia fare. Non è autonomo. Ma adesso si è stancato; adesso alla mattina quando si fa la barba e si guarda allo specchio si dice: "A questo mondo ci sono anch’io!". E ha iniziato. Non è fantastico? Non è "resurrezione" vedere, constatare che si può vivere, che si può farsi rispettare, che possiamo plasmare e dare una forma e una direzione alla nostra vita? Se avesse ascoltato la mente e i dubbi non avrebbe avuto scampo: "Ma così deludo le persone!; e se mi rifiutano rimarrò da solo?; ma faccio male agli altri!". Il cuore trafitto è l’amore che viene ferito. Molte persone si sentono in croce, impotenti di fronte alla loro situazione affettiva. C’è chi sente di non amare più il partner e ci sta insieme lo stesso perché ricominciare non è possibile, quindi meglio andare avanti. C’è chi sente di non amare più nessuno, di essere arido, di essere addirittura inacidito o di non credere più nell’amore e nella fiducia. Una donna mi ha detto: "L’amore non esiste, sono tutte balle che la gente si dice!". Forse il tuo amore non esiste! Ma quanto soffrirà una persona così? C’è chi sente di avere il cuore legato, imprigionato dai fatti della vita. Una donna "ne ha prese così tante" da suo padre che non si concede mai, non si da mai a nessuno del tutto e dentro di sé, ovviamente, si sente sola. Vorrebbe tanto parlarne, ma non appena inizi, piange e si dispera, per cui ha concluso: "Se devo solo piangere e basta, tanto vale la pena di lasciare stare!". Un uomo, invece, prova una rabbia feroce ma la comprime dentro di sé. Non sa il perché ma sente che è così (è chiaro che un motivo c’è ma lui ancora non lo percepisce). Il suo terrore è di esplodere con i figli: ha paura di diventare uno di quelli che parlano in tv che ogni tanto "danno di matto" e fanno qualche strage. Chiaramente stare vicini ad uno così compresso è veramente difficile: scatta con niente, ha sempre da dire, è sempre insoddisfatto e nervoso, non sta mai fermo. Lui crede "di essere così e che non ci sia nulla da fare". Ma non è vero! Si può! C’è chi sente che vorrebbe lasciarsi andare, amare, riprovare a innamorarsi, riprovare ad essere vivo o fare delle scelte. Se ascolti la mente e tutti i suoi fantasmi è la fine: "Alla tua età? Cosa dirà la gente? Ma non ti vergogni? E i tuoi figli, cosa penseranno di te? E se sbagli ancora? Ma se non ci sei mai riuscito?". Il Risorto vuole che tocchiamo il suo cuore trafitto perché possiamo credere che anche il nostro cuore trafitto può guarire e da lui può sgorgare vita vera, intensa e luminosa. La seconda strada è l’amicizia, la donazione. Gesù mangia con gli apostoli. In vita aveva mangiato tante volte con loro e con tante altre persone. Enzo Bianchi ha intitolato un suo libro su Gesù: "Il Rabbì che amava i banchetti". Gesù amava stare a tavola, non tanto per "riempirsi la pancia", ma perché a tavola si creavano legami di amicizia, di confidenza, di intimità fra le persone. Adesso lo rifà come allora e gli apostoli lo ri-sentono vivo come allora. Possiamo sentire vivo e chiaro Il Risorto, percepirlo in maniera forte, quando noi tra amici, riusciamo ad aprirci e ad aprire il nostro cuore. Quando parliamo delle nostre cose più intime, quando riusciamo a raccontarci nelle nostre cose più profonde e siamo accolti. Allora ci sentiamo amati, sentiamo la forza della vita pulsare dentro di noi; allora iniziamo a non vergognarci più di quello che siamo; allora troviamo fiducia in noi e in ciò che siamo; allora ci sentiamo interiormente forti. Ma se ascolti la mente che inizia a dire: "Non gliene frega niente a nessuno!; chissà cosa penseranno di te; ma non ti vergogni a dire certe cose!; questa cosa non dirla: non vedi quanto è orribile; se gli altri sapessero; se sapranno questa cosa non ti considereranno più come prima, ecc", allora è davvero la fine. Ma se noi riusciamo a costruire gruppi di persone dove ci si può spogliare, dove si può piangere, essere vulnerabili o semplicemente se stessi, dove si viene accolti non per quello che si nasconde e per quello che si mostra ma per quello che si è, allora noi sentiremo la forza del Risorto, la forza della Vita, la forza che le persone provavano in quei banchetti. In quei banchetti la gente cambiava vita: ma non per quello che mangiava, ma perché trovava la forza di essere se stessa e si sentiva accolta. "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro": letteralmente è "dove due o tre cantano, sono in sintonia, io sono in mezzo a loro". Quando noi ci possiamo liberamente aprire e lo stesso avviene dall’altra parte, allora sentiamo che le nostre anime si riconoscono, si uniscono, si incontrano. Allora possiamo percepire chiaramente che Dio è presente, qui, in mezzo a noi, con noi e fra di noi. Queste sono le comunità del Risorto, quelle che Lui vuole. La terza strada per incontrare il Risorto è la comprensione e la comprensione delle Scritture. Gesù spiega agli apostoli la sua vicenda, cos’è successo e cos’è accaduto. Noi abbiamo bisogno di comprendere la nostra storia, di comprendere il filo rosso che lega le nostre giornate, perché allora troviamo un significato, un senso, un collegamento. Trovare un senso al nostro vivere è fare esperienza del Signore Risorto: si scopre che nulla è per caso ma che tutto ha un senso ben preciso, che tutto avviene per un motivo e che ogni situazione ci parla e parla a noi. E quando si ha un senso per vivere qualunque situazione è affrontabile. Ma Gesù spiega agli apostoli anche le Scritture, la Legge, i Profeti e i Salmi. Noi abbiamo bisogno di capire il vangelo e la Bibbia. C’è molta ignoranza a riguardo. S. Girolamo diceva: "L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo" e il cardinale Martini auspicava che il libro del terzo millennio fosse la Bibbia. Fino al concilio non si poteva neppure leggere! Così oggi c’è ancora chi crede all’esistenza storica di Adamo ed Eva, di Caino e di Abele o dei patriarchi così com’è scritto nella Bibbia. Gesù lo si crede nato a Betlemme (invece di Nazareth), il Magnificat è stato cantato da Maria, l’angelo è fisicamente apparso a Maria nell’annunciazione e così gli altri angeli nell’infanzia di Gesù. I miracoli di Gesù sono dovuti al suo potere soprannaturale perché se Lui voleva, poteva guariva tutti (e perché non l’ha fatto?); le apparizioni sono fisicamente degli incontri con il Signore. Quando si racconta che episodi come la moltiplicazione dei pani sono episodi un po’ "pompati" dai vangeli o che la trasfigurazione è un evento interiore o che la guarigioni più che da Gesù dipendevano dalle persone che cambiavano di fronte a Lui, le persone vanno veramente in difficoltà. Si crede tutt’ora che il vangelo sia la narrazione filmata di quanto Gesù dicesse o facesse, come se ci fosse un giornalista che ne riportasse pari pari ciò che avveniva. Allora io ho bisogno di comprendere, di capire, di andare in cerca della verità. Dobbiamo costruire comunità fondate sul vangelo e non sulla creduloneria; dobbiamo costruire comunità dove la gente crede per adesione dell’anima e per ricerca personale; dobbiamo annunciare la storia di Gesù e dire che nei secoli è stata un po’ fraintesa e resa confusa. Non dobbiamo temere di scandalizzare qualcuno o che qualcuno ci dica: "Ma cosa ci avete insegnato finora?" (il che è anche vero!) perché dove c’è buio, ignoranza, ottusità, lì non si può costruire nulla. La verità vi farà liberi, anche se a volte vi farà male e vi mostrerà un mondo diverso da come lo pensavate. Tornare al vangelo e a Gesù è esperienza del Risorto. Perché il Gesù del vangelo ti infiamma l’anima, ti appassiona il profondo e ti riscalda il cuore. Perché il vangelo non è un libro da leggere ma una persona da incontrare e da far entrare dentro di te. Pensiero della Settimana Meglio oggi Domani non avrà più nove anni. Domani non lo potrai più abbracciare e stringerlo forte forte, e cosa non faresti! Domani non ti chiederà più di rotolarti sull’erba, e lo vorresti così tanto! Domani non verrà più a dormire sul letto con te, ed è giusto così! Domani uscirà con un’altra donna e non sarai più tu l’unica, ed è bene così! Domani non gli racconterai più le storie dei maghi e delle fate. Domani non vorrà più fare i compiti con te, anche se a volte è così pesante! Domani non ci sarà più in casa ad aspettarti quando esci, e te ne starai sola! Domani non ti chiederà più di preparargli i dolci per la festina di compleanno, perché se ne andrà in pizzeria. Domani non lo chiamerai più "il mio bambino", perché non sarà più "bambino" e neanche "tuo". Domani? Forse non ci sarà. Domani? Forse non ci sarai tu. Domani? Forse non ci sarà lui. Domani? Meglio oggi! Abbraccialo, sorridi, canta, sporcati, oggi. Quello che devi fare: meglio oggi. Quello che gli devi dire: meglio oggi. Quello che puoi vivere: meglio oggi. Perché ciò che è perso, è perso. Così domani non avrai rimpianti e lo lascerai andare. Così domani vivrai il domani perché oggi vivi l’oggi. Domani? Meglio oggi. |