Omelia (19-04-2009) |
don Daniele Muraro |
Le candele e il cero pasquale Siamo nella seconda domenica di Pasqua e non dopo Pasqua, perché la Pasqua del Signore è un evento che non si può superare. Il Signore ci sta davanti e ci aspetta. Egli si rivela a noi in modo che anche noi possiamo essere illuminati dalla novità della sua Resurrezione. Per volontà del papa Giovanni Paolo II, questa è ora denominata anche la "domenica della Divina Misericordia", come parlò Gesù a santa Faustina Kowalska. Nel quadro fatto dipingere su sua indicazione, due raggi escono dal cuore del Signore a rappresentare l’acqua e il sangue scaturiti il venerdì santo. Il raggio bianco simboleggia l’acqua che purifica le anime; quello rosso, il sangue che è la vita delle anime. Sono raggi di luce perché escono dal cuore del Signore risorto. E proprio sull’elemento della luce nella liturgia mi voglio soffermare in questa predica. Infatti molti sono i riferimenti alla luce in questo tempo di Pasqua, soprattutto attraverso il Cero Pasquale. Ogni anno durante la Veglia Pasquale il Cero viene preparato di nuovo. Vi troviamo segnata una croce al di sopra e al di sotto della quale stanno due lettere, l’alfa e l’omega, ossia la prima e l’ultima dell’alfabeto a greco. Cristo si colloca al principio e alla fine della storia umana. In aggiunta possiamo trovare incise ai lati della croce le quattro cifre dell’anno corrente. I cinque grani di incenso infissi sulla croce invece richiamano le cinque piaghe gloriose alle mani, ai piedi e al costato del Signore. Egli le conserva anche dopo la sua resurrezione, come abbiamo sentito nell’episodio dell’apparizione a Tommaso. Nella Veglia pasquale il buio tutto intorno accresce la suggestione del Cero acceso al fuoco nuovo appena benedetto: "La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito" e portato in processione nelle navata della chiesa dove per tre volte risuona l’annuncio: "Cristo luce del mondo! Rendiamo grazie a Dio". È la liturgia della luce. Il nuovo cero viene paragonato alla colonna luminosa che accompagnava il popolo ebreo nel cammino dell’esodo. "Pur diviso in tante fiammelle non si estingue il suo vivo splendore, ma si accresce nel consumarsi della cera... Ti preghiamo dunque Signore che questo cero, offerto in onore del tuo nome per illuminare l’oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne... Si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto: Cristo tuo Figlio, che resuscitato dai morti fa risplendere sugli uomini la sua luce serena..." Si tratta di una cerimonia unica durante l’anno quanto suggestiva; il cero pasquale resta poi esposto fino a Pentecoste, ma ritorna sull’altare ogni volta che si celebra l’inizio e la fine di una vita cristiana. Infatti viene usato al momento del battesimo e ad esso il papà del bambino battezzato è invitato ad accendere la candela: "a voi genitori è affidato questo segno pasquale, fiamma che sempre dovete alimentare, abbiate cura che il vostro bambino, illuminato da Cristo viva sempre come figlio della luce...". Il battesimo stesso viene chiamato illuminazione, poiché dice un autore del secondo secolo "coloro che comprendono queste cose sono illuminati nella mente." Secondo le lettere di san Paolo il battezzato, "dopo essere stato illuminato" (Eb 10,32) è divenuto "figlio della luce" (1Ts 5,5), e "luce" egli stesso (Ef 5,8). Il Cero poi si usa nella liturgia delle esequie. "Perché cercano la luce gli occhi dell’uomo che muore?" si chiede il poeta. "Più luce" sono le ultime parole attribuite al grande autore tedesco Goethe. Venire alla luce è sinonimo di nascere, essere rischiarati dalla luce del Risorto anticipa la speranza della Resurrezione. "Svégliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà" si trova scritto in san Paolo. In mezzo a questi due estremi dell’esistenza terrena la luce della fede ci accompagna e le processioni all’aperto con le candele accese ce lo ricordano. La stessa cera che si consuma è un richiamo alla vita che passa, però irradiando luce e dispensando calore al prossimo. Nel libro dell’Apocalisse troviamo nominate le sette lampade accese davanti al trono di Dio, simbolo dei sette spiriti di Dio, cioè dello Spirito santo. Fino a sei candele possono venire accese sull’altare durante le celebrazioni. La collocazione di sette candelieri è riservata alla celebrazioni presiedute dal Vescovo, che gode della pienezza del dono dello Spirito santo. La luce del sole entra nelle nostre case attraverso i vetri delle finestre. Non le è possibile passare se gli scuri glielo impediscono. Gesù entra nel Cenacolo a porte chiuse. La sua illuminazione è interiore. Fin da subito egli dona ai suoi lo Spirito santo che è luce per la mente e fuoco per l’anima. Lo Spirito santo permette di vedere oltre le apparenze e di interpretare gli avvenimenti alla luce della fede. San Tommaso assente alla prima apparizione durante la Domenica di Pasqua manca di questo Spirito santo e infatti non crede. C’è bisogno di un intervento speciale del Signore per farlo entrare nel mistero della sua Resurrezione. "Vivete come figli della luce!" è l’instancabile esortazione della Scrittura in questo tempo pasquale. La vista della candele che brillano sulla mensa e del Cero Pasquale sull’altare ravvivino la luce della fede e dell’amore di Dio accesa dentro noi con il battesimo e confermata nella santa Cresima. |