Omelia (26-04-2009)
padre Ermes Ronchi
Un Dio che si fa vita quotidiana

«Non sono un fantasma». Il lamento di Gesù giunge fino a me: chi sono io per te? Qualche i­dea vaga, la proiezione di un bisogno, un’emozione, un sogno troppo bello per essere vero?
Per aiutare la mia fede pro­nuncia allora i verbi più semplici e più familiari: «Guardate, toccate, man­giamo insieme!». Si fa umi­le e concreto, ci chiede di arrenderci a un vangelo concreto, di mani, di pane, di bicchieri d’acqua, di briciole; a un Dio che ha deci­so di farsi carne e ossa, ca­rezza e sudore, un Dio capace di piangere.
Il primo gesto del Signore è, sempre, una offerta di co­munione: «toccatemi, guardate». Ma dove oggi tocca­re il Signore? Forse lo tocco quando Lui mi tocca: con il bruciore del cuore, con u­na gioia eccessiva, con una gioia umilissima, con le piaghe della terra, con il dolo­re o la carezza di una crea­tura.
La gente è il corpo di Dio, lì lo posso toccare.
«Avete qualcosa da man­giare?». Mangiare è il segno della vita; farlo insieme è il segno più eloquente di un legame rifatto, di una co­munione ritrovata, il gesto quotidiano della vita che va e continua. Lui è l’amico che dà sapore al pane. E mi assicura che la mia salvez­za non sta nei miei digiuni per lui, ma nel suo mangia­re con me pane e sogni; la sua vicinanza è un conta­gio di vita. Lo conoscevano bene Ge­sù, dopo tre anni di strade, di olivi, di pesci, di villaggi, di occhi negli occhi, eppu­re ora non lo riconoscono. Perché la Risurrezione non è semplicemente ritornare alla vita di prima: è trasfor­mazione.
Gesù è lo stesso ed è diverso, è il medesimo ed è trasformato, è quello di prima ed è altro.
«Aprì loro la mente per com­prendere le Scritture». E il re­spiro stretto del cuore en­tra nel respiro largo del cie­lo, se ti fai mendicante affa­mato di senso, se leggi con passione e intelligenza la Parola. Perché finora ab­biamo capito solo ciò che ci faceva comodo. Siamo sta­ti capaci di conciliare il Van­gelo con tutto: con la logica della guerra, con l’idolo del­l’economia, con gli istinti.
«Nel suo nome saranno pre­dicati a tutte le genti la con­versione e il perdono». Il per­dono è la certezza che nul­la e nessuno è definitiva­mente perduto, è il trionfo della vita, riaccensione del cuore spento, offerta mai revocata e irrevocabile di comunione.
Cristo non è un fantasma, è vestito di umanità, è sangue vivo dei giorni, è il sangue della primavera del mondo. Ha braccia anche per me, per toccare e farsi toccare; capace, tornando, di ren­dere la mia speranza amo­re.