Omelia (17-05-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
L'amore è da Dio perchè noi amiamo Sentirsi snobbati e rifiutati nella propria persona, notare di essere trattati con distacco e diffidenza o anche non essere oggetto dell’attenzione alla pari degli altri, specialmente quando la coscienza non ci rimprovera nulla, è causa di umiliazione e scoramento interiore che non di rado deprime e demotiva nello stesso contatto con la gente; avvertire invece di essere oggetto d’amore, sperimentare in prima persona le attenzioni e le premure da parte di qualcuno, trovarsi nelle condizioni di poter concludere che noi contiamo qualcosa per gli altri suscita sentimenti di consolazione che sollevano, rincuorano e incoraggiano, spronandoci sempre al meglio e motivandoci nelle nostre interazioni e nell’impostazione del nostro lavoro. Chi infatti, in conseguenza di un atto di stima, un complimento, una gratificazione, non avverte lo sprone a dare il meglio di se stesso e a centuplicare il suo valore? Chi non si sente incoraggiato da un sorriso o da una parola gentile ad accrescere il proprio impegno e la propria intraprendenza? Il sostegno morale e la fiducia di qualcuno, specialmente quando occupi una posizione superiore alla nostra, è sempre di sprone a dare agli altri il meglio di noi stessi, perché incute ottimismo e slancio motivazionale. Cosicché sentirsi amati è la prima condizione per comunicare amore agli altri, e possiamo considerare un assioma che tutti gli uomini avvertono il bisogno di essere amati, tutti sentono la necessità di uno sprone, di un incoraggiamento perché fondamentalmente necessitano di essere oggetto di un atto d’amore. Lo sapeva benissimo Giovanni, autore della lettera che noi oggi consideriamo come secondo testo liturgico, quando affermava che "In questo sta l’amore, non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati." L’amore è sempre un fatto di donazione e di gatuità che non dipende in primo luogo da noi, ma di cui siamo stati resi oggetto innanzitutto da Dio, il quale ama incondizionatamente e senza riserve donando se stesso a tutti a piene mani; la manifestazione suprema dell’amore è la consegna che Egli stesso ha fatto a noi di se stesso nel suo Figlio, che nel sangue ha pagato il prezzo dei nostri peccati. Quale vittima di espiazione, Cristo ha manifestato la concretezza affettiva dell’amore divino spargendo il suo sangue per noi e liberandoci da ogni sorta di condanna e di schiavitù, manifestando al contempo che solo Dio può essere capace di questo amore riconciliante e sacrificale. L’amore di Dio nei riguardi dell’uomo non è dovuto e a motivo delle proprie insufficienze l’uomo sarebbe di per sé suscettibile di condanna essendo tanta e tale la distanza nella perfezione fra l’umano e il divino ed enumerandosi in gran misura le colpe che ci caratterizzano, eppure Dio in Cristo ha voluto scontare tutte le nostre colpe, addossarsi tutte le nostre pene, pagare la gravità dei nostri peccati. Per dirla con Paolo, Cristo ci ha "giustificati", il che vuol dire ci ha messi in grado di poterci definire giusti davanti a Dio. Lo stesso apostolo appena menzionato aggiunge infatti: "Quando eravamo peccatori Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito." Precisando però in seguito: Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi." (Rm 5, 6 – 8). In sintesi, la prova del nove che Dio ci ama è data dal fatto che Cristo è morto per noi, perché se è vero che nessuno sarebbe contento di dare la propria vita per un nemico e al massimo si farebbe uccidere per una persona dabbene, è altrettanto vero che, al contrario, Cristo ha dato la vita PROPRIO per i suoi nemici, per gli ingiusti, i peccatori e i reprobi e di conseguenza il suo sacrificio attesta che l’amore per gli uomini è reale e indubbio. Con tutto questo si vuole però sottolineare semplicemente che solo Dio è capace di amore gratuito e disinteressato e che i nostri sforzi non saranno mai in grado di raggiungere tanta capacità di donazione gratuita. Giovanni aggiunge nel suo Vangelo che tale amore divino è anche espressivo della comunione che Dio ha con sé medesimo, poiché fa dire a Gesù che "come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi", che sintetizza la relazione coeterna fra il Padre e il Figlio che nello Spirito Santo si amano e sono una cosa sola (Gv 10, 30) e in tale dinamica di comunione amorosa veniamo inseriti anche noi. Il Padre e il Figlio si amano nello Spirito Santo non solamente in relazione a se stessi, ma soprattutto in vista della nostra salvezza. Ma la certezza di essere stati resi oggetto di amore da parte di Dio deve essere la motivazione irrinunciabile per cui anche noi ci sentiamo spronati e incitati a vivere l’amore come prerogativa irrinunciabile. La nostra incapacità di amore il prossimo, che è pari alla competenza che ci ritroviamo spesso nel creare tensioni e divisioni fra di noi anche in ambito ecclesiale, scaturisce effettivamente dalla mancata presa di coscienza o dalla carente riflessione su questa certezza: siamo stati resi oggetto d’amore da parte di Dio in Cristo; egli ci ha riscattati e redenti e attraverso lo stesso Cristo fatto uomo per noi ci assorbe nella comunione di amore intratrinitaria. Sono sempre stato convinto che se si considerassero maggiormente determinati argomenti di fatto ritenuti inani e avulsi dai nostri programmi di catechesi, se ci si dedicasse con maggiore attenzione alla lettura personale e comunitaria della Bibbia, alla riflessione sul mistero trinitario e sull’amore di Dio in Cristo incarnato e ci si innamorasse di determinati temi come quelli suddetti, ebbene ci sentiremmo tutti davvero motivati a realizzare la comunione e la condivisione reciproca fra di noi; scomparirebbero almeno in parte attriti e dissapori, incomprnsioni e cattiverie reciproche. Quello che si medita, infatti, a lungo andare viene sempre messo in atto. A ragione Giovanni afferma che chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. La certezza di essere stati amati non può non comportare che con molta gioia e vincendo preclusioni e reticenze, ci prodighiamo nel vedere Dio nel fratello che ci si presenta sotto l'aspetto immediato del consanguineo o del vicino, come pure del bisognoso, dell'avversario e finalmente del nemico. Riconoscere Dio nel fratello è la concretizzazione più immediata del nostro concedere che Dio ci ami e del corrispondere fattivamente al suo amore nei nostri riguardi, sicché non si può in alcun modo legittimare la riluttanza e la carenza nell’amore al prossimo ma piuttosto va considerato che l’amore è la nostra fede in atto. |