Omelia (24-05-2009)
Suor Giuseppina Pisano o.p.


"Il Signore Gesù, dopo, aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio."; con poche parole l'evangelista Marco, che quest'anno ci accompagna di domenica in domenica, dà notizia dell'ascensione del Signore al cielo; nessuna descrizione dell'evento, come, invece, leggiamo, nel racconto di Luca e nel libro degli Atti, che oggi la Chiesa propone come prima lettura.
Marco, secondo il suo stile sobrio ed essenziale, racchiude l'evento in due sole espressioni: "fu assunto in cielo", e "sedette alla destra del Padre", due azioni in cui è concentrato, simbolicamente, il significato profondo della Pasqua: il Cristo per la potenza divina che è in lui, ha vinto la morte ed è entrato nell'eternità, dalla quale era venuto, inviato dal Padre, per la redenzione dell'uomo; ora, la missione del Figlio di Dio è compiuta, ed è compiuto anche il tempo della sua presenza visibile tra gli uomini, ed egli ritorna al Padre.
Nel lungo discorso di addio, durante l'ultima cena coi suoi, Gesù aveva detto loro: "Figlioletti miei, ancora un poco sarò con voi. Mi cercherete, ma dove io vado, voi non potete venire" (Gv.13,33); il Cristo storico, l'uomo Gesù, come ogni altro uomo, doveva lasciare la scena di questo mondo, per ritornare là, da dove era venuto; là nella pienezza di Dio, dove lo sguardo dell'uomo non può spingersi; nell'eterno infinito, l'assolutamente Altro, che è solo gloria, quella gloria che il Figlio aveva, prima che il mondo fosse creato, e in questa gloria, divina ed ineffabile, egli ora sta, con quell'umanità assunta nel tempo dalla Vergine Maria, e che è, anche, la nostra umanità.
È' una verità importante per noi, una verità consolante, che rischiara la nostra esistenza di uomini, pellegrini nel tempo, che in Cristo, uomo e Dio, già, abbiamo raggiunto la gloria eterna; scrive Sant'Agostino: "... Egli è disceso dal cielo per la sua misericordia, e non vi è salito, se non lui, mentre noi, unicamente per grazia, siamo saliti con lui... perché l'unità del corpo non sia separata dal capo" ( dal Discorso sull'Ascensione).
Il nostro destino, dunque, è già compiuto in Cristo, anche se, ancora, noi viviamo nel tempo, ma non separati da lui, sempre invisibilmente presente tra noi, conforme alla promessa fatta, di restare con noi, ogni giorno, sino alla fine del mondo (Mt. 28,30).
In questo tempo di Pasqua, abbiamo parlato della vite, quella mistica, feconda vite, che è Cristo stesso, al quale noi restiamo legati come tralci; abbiamo parlato di una dimora, in cui stabilirci, e l'abbiamo individuata nell'amore che Dio ci offre; sappiamo, dunque, di non esser soli, ma intimamente legati al Signore Gesù, il Salvatore risorto, nostro capo, nel quale il Padre, da sempre, ci ha scelti, e ci ha scelti, come abbiamo letto la scorsa domenica, perché andiamo per le strade del mondo, a portare un frutto duraturo quale è l'annuncio della salvezza, e le opere dell'amore; ed è quel che il passo del Vangelo di oggi ci ricorda con le parole del Signore: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura».
Si chiude, ormai, il tempo della presenza visibile del Cristo, e si apre quello della sua nuova presenza, attraverso l'opera e l'azione della Chiesa, di cui Egli è il capo: un capo glorioso, mentre le membra, ancora vivono nel tempo, nella Storia, dove lo manifestano vivo ed operante; e queste membra siamo noi, che compiamo le stesse opere del nostro Signore e Maestro: Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio; noi, oggi siamo i suoi testimoni e gli annunciatori del Vangelo che salva, che libera, che illumina e che risana.
"Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura"; è l'impegno dell'amore operoso, della carità fattiva, attenta a tutti, senza alcuna discriminazione; è l'impegno della Chiesa santa, della quale siamo membra vive, quella Chiesa che è madre si piega sugli ultimi, che cura ogni piaga del corpo e dello spirito, che soccorre ogni bisogno, che ascolta, che conforta, che corregge, e che indica la via sicura, quella che reca le orme dei passi di Cristo redentore, unica via di salvezza.
"Allora essi partirono e predicarono dappertutto..."; con queste parole, l'Evangelista ci dà un'indicazione preziosa: l'ascensione di Cristo, la sua assunzione nella gloria, è, si, un evento grande che apre al nostro cuore gli spazi infiniti della contemplazione, ma questa, se è autentica, non è evasione dagli impegni che la fede in Cristo comporta; anche noi, come gli Undici, siamo portati, e siamo felici, di fermare il nostro sguardo sul Signore pienamente glorificato accanto al Padre, ma anche a noi, come a loro, qualcuno dice: «perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno, allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo» (At.1,11); il Cristo ritornerà, per raccogliere il frutto di quella simbolica semina di salvezza, che ora passa attraverso le nostre mani di discepoli fedeli e operosi.
Lo sguardo rivolto al Cristo, che ascende al Padre, è, dunque, uno sguardo che ci radica nel segmento di storia in cui viviamo, con l'impegno di combattere il male che in essa si trova, mediante la Parola del Vangelo, aiutati dalla forza dello Spirito, animati dall'amore che da esso proviene, e che ha il potere, non solo di neutralizzare le insidie, ma anche quello di illuminare le menti e trasformare i cuori, perché si aprano alla fraternità e alla solidarietà, le sole capaci di instaurare, nel mondo, la giustizia e la pace.
È, questa, la nostra "ascensione", la salita di quel simbolico monte che ci eleva dalla terra al cielo, una salita, spesso faticosa, ma animata, sempre dalla gioia e dalla fede nella parola del Cristo che ci ha lasciato, come sua eredità il comandamento dell'amore che non conosce limiti, quell'amore, che talvolta, costa, ma che ci ricongiunge a Dio, che ci fa sentire il Signore Gesù presente ed operante con noi, e ci dà la grazia di testimoniarlo a tanti, che, forse, non riescono a vederlo, ma che hanno, tuttavia, uno struggente bisogno di Lui.