Omelia (14-06-2009)
Il pane della domenica
Ecco il sangue dell'alleanza

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue

Tra i tanti ricordi che ci portiamo nel cuore del carissimo papa Giovanni Paolo II, certamente ci sarà la forte emozione che ci prendeva quando di persona o alla TV abbiamo avuto modo di vederlo celebrare la Messa: sembrava così assorto da contagiarci quasi a pelle la sensazione che per lui, più che di un rito, doveva trattarsi di una intensissima esperienza interiore: l’esperienza coinvolgente e spesso sconvolgente del Mistero.
Ecco come lui stesso ne parlava: "Quando penso all’Eucaristia, guardando alla mia vita di sacerdote, di vescovo, di successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti e i tanti luoghi in cui mi è stato concesso di celebrarla (...). Ho potuto celebrare la santa Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare; l’ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città... Questo scenario così variegato delle mie celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico! Perché anche quando viene celebrata sul piccolo altare di una chiesa di campagna, l’Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, sull’altare del mondo. Essa unisce il cielo e la terra. Comprende e pervade tutto il creato".
Non poche volte, invece, nella nostra esperienza la partecipazione alla Messa sembra logorata dall’usura dell’abitudine o risulta appesantita dalla fatica per l’osservanza del "precetto" domenicale. Il dono più grande che oggi lo Spirito del Signore ci possa fare è provare anche noi almeno qualche vibrazione di quel "grato stupore", da cui si sentiva intimamente preso papa Woytjla e che sempre dovrebbe afferrarci quando celebriamo il "grande sacramento".

1. Una parola-chiave per entrare nel mistero della santa Eucaristia è alleanza: l’abbiamo incontrata in tutte e tre le letture appena proclamate. Il libro dell’Esodo ci ha ricordato come Dio, dopo aver liberato il popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto, gli ha proposto la sua alleanza e il popolo ha giurato eterna fedeltà al Signore. Il patto è stato registrato in una sorta di contratto, chiamato "libro dell’alleanza"; Mosè, in qualità di mediatore tra Dio e Israele, ha letto le clausole del patto, e dopo che il popolo si è solennemente impegnato ad osservarle, "prese il sangue (degli animali immolati) e ne asperse il popolo dicendo: "Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!".
Nella concezione ebraica il sangue è il principio vitale, l’elemento più prezioso e misterioso nell’uomo, perché "la vita di ogni carne è il suo sangue" (Lv 17,14). Il sangue sparso metà sull’altare di Dio e metà sul popolo rappresenta dunque la vita: ormai tra il Signore e Israele circola lo stesso sangue, vige un patto di reciproca appartenenza, scorre una relazione bidirezionale di amore.
Quando Gesù arriva all’ultima sera della sua vita, l’antica alleanza è ormai ridotta a una istituzione sclerotizzata, è scaduta a rito puramente formale, di cui già i profeti avevano annunciato il futuro superamento. Ma ormai a Gesù restano poche ore: tutto sembra precipitare irrimediabilmente verso la catastrofe finale. Giuda, uno dei Dodici, sta per andare a tradirlo per trenta denari; Pietro, il primo dei Dodici, in quella stessa notte lo rinnegherà per ben tre volte. È davvero paradossale che l’evangelista Marco collochi il racconto dell’istituzione eucaristica tra il tradimento di Giuda e l’annuncio del rinnegamento di Pietro e della fuga di tutti gli altri discepoli.
Pertanto le parole di Gesù sul pane spezzato e sul sangue versato stanno a dire che egli intende dare se stesso in una libera anticipazione di ciò che sta per essergli strappato (= il dono della propria vita), il suo volersi "dar via", "distribuirsi" spontaneamente, prima di essere "consegnato" da altri. Così Gesù aderisce perfettamente al disegno del Padre, il quale gli chiede di abbandonarsi nelle mani dei suoi persecutori, perché solo così l’Amore può manifestare la sua onnipotenza. La vigilia della sua passione Gesù "decise di quella vita che volevano strappargli a forza; decise di offrire personalmente quel sacrificio che altri tramavano di compiere; decise di far consumare come cibo ciò che i suoi persecutori pretendevano di distruggere" (Sicari).

2. Ma se la morte è di per sé un evento di separazione, come può diventare un segno e un mezzo di riconciliazione? In effetti la situazione che si era creata attorno a Gesù era drammatica e tutt’altro che propizia alla stipulazione di una alleanza: egli stava per morire non come Giovanni Battista, con la gloria del martirio, ma come uno scomunicato nell’ignominia della croce. Come può un delitto così atroce fondare il diritto di una giusta relazione con Dio? Come può tanta ingiusta, crudele violenza trasformarsi in alleanza di pace?
Solo l’amore dell’innocente Figlio di Dio poteva operare una tale stupenda trasformazione: "dopo aver amato i suoi (Gesù) li amò fino alla fine" (Gv 13,1). Infatti Gesù supera lo sconforto dell’abbandono e si offre volontariamente come ostaggio, pur di lasciare andare liberi i suoi; diventa vittima delle trame dei sommi sacerdoti e dell’ignavia di Pilato, ma non invoca né su di loro né sui suoi carnefici la vendetta di Dio; reagisce alla desolazione che prova nel sentirsi abbandonato dal Padre, abbandonandosi a sua volta totalmente nelle sue braccia misericordiose. Ecco la trasformazione che si opera nella morte di Gesù: la trasformazione del suo sangue criminalmente versato in sangue pacificamente donato in segno di alleanza. Come abbiamo ascoltato dalla Lettera agli Ebrei, Cristo "è mediatore di una nuova alleanza", stabilita non con il sangue di capri e vitelli, ma con il proprio sangue, cioè facendo dono di tutto se stesso, della sua vita e della sua morte. L’Eucaristia rimarrà per sempre il memoriale di questa offerta d’amore: nel dono di se stesso fino alla fine, l’amore ha vinto la morte e prodotto una nuova vita: "noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (Rm 5,1).
3. E la nostra Messa? È diventata per noi così abituale che non ci rendiamo più conto della trasformazione radicale che Gesù vi ha operato. Noi pensiamo alla trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo (la transustanziazione), ed è giusto, perché il gesto da lui compiuto su quegli elementi è un gesto sacramentale, in quanto egli se li è appropriati in modo tale che i discepoli incontrino "veramente, realmente, sostanzialmente" Lui, sia pure sotto il velo dei segni. Ma non dovremmo mai dimenticare che tale trasformazione sacramentale suppone quella trasformazione esistenziale che Gesù ha operato con il suo amore cambiando dall’interno l’evento della sua morte nella "nuova ed eterna alleanza".
Ed è proprio qui che si basa il dinamismo eucaristico: l’energia che ci viene offerta dal corpo e sangue di Cristo nella santa Eucaristia ci permette di entrare esistenzialmente nel suo sacrificio di amore. Anche noi possiamo allora partecipare alla trasformazione eucaristica: far diventare - per la prodigiosa "alchimia" della grazia - gli ostacoli occasioni di donazione, le ingiustizie possibilità di perdono, le barriere ponti di comunicazione, il dolore opportunità di amore. E grazie alla Eucaristia, ci sarà donata la forza della trasformazione più straordinaria: quella che cambia l’incomprensione, l’ingratitudine, il rifiuto, ogni male - soprattutto il male ingiustamente subito - in dono volontariamente offerto a Dio Padre, pieno di obbedienza filiale verso di lui, colmo di amore fraterno verso quanti ci fanno soffrire. E troveremo la forza di spezzarci e distribuirci per tutti, anche per i fratelli che non hanno un volto amabile, anche se non ce ne viene nessun utile di ritorno, anche se ci andiamo di mezzo.
E così, di giorno in giorno, fino alla fine, fino alla trasformazione suprema: quando il nostro morire sarà passare nella sua Pasqua, e l’ultima Eucaristia diventerà il "viatico" per andare là dove si ama senza fine.

Commento di mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008