Omelia (21-06-2009)
Il pane della domenica
Dio, non t'importa che moriamo?

Chi è costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?

È un’esperienza che ci capita di fare, e non una sola volta nella vita; forse qualcuno l’ha appena vissuta o la sta tuttora vivendo: ci capita di stare con persone che affrontano una sofferenza che sembra senza scopo, irrimediabilmente assurda, senza senso. Anche noi ci siamo trovati o possiamo trovarci in tali situazioni. Qualcuno che amiamo si ritrova malato di cancro davanti alla morte nel fiore degli anni, o ha perduto un figlio in un incidente stradale, o è stato abbandonato dalla persona amata. Nella nostra vita ci possono essere momenti in cui, a causa di una delusione negli affetti, negli affari o nella carriera, temiamo di essere inghiottiti dal vuoto e ci sembra che ogni luce si spenga, ogni varco si chiuda e ogni forza si esaurisca, perché Dio se ne è andato. E dal cuore esplode il grido: «Dove sei, Dio?».

1. Quella notte sul lago in tempesta i discepoli di Gesù hanno fatto un’esperienza terrificante. Fino allora avevano conosciuto un Maestro travolgente: capace di infiammare le folle, tenero e potente con i malati, vigoroso e imbattibile nella lotta contro i demoni, autorevole come nessun altro quando parla dell’amore di Dio, capace di incatenare con quel suo sguardo magnetico uomini muscolosi e massicci come loro. Ma adesso si trovano in mezzo alla burrasca, sotto un cielo nero pesto, su una povera barca che volteggia impazzita, trascinata su e giù dalle onde schiumose di un lago diventato improvvisamente intrattabile e ringhioso come un mastino inferocito. Loro - i compagni di Gesù - il lago lo chiamano mare e fin da piccoli hanno imparato a temerlo perché solo a prezzo di molto sudore concede qualche pesce da vendere, mentre non si sazia mai di sottrarre giovinezza e salute - e non poche volte perfino la stessa vita - a quei poveri diavoli di pescatori dei villaggi circostanti. Per questo il mare per loro è simbolo del male, soprattutto quando scoppia l’uragano e il lago di Cafarnao rassomiglia a un enorme ossesso scatenato.
Ma ora, nel cuore in subbuglio dei discepoli, alla paura si aggiunge l’angoscia: come mai, mentre essi tremano di spavento, il Maestro dorme sonni beati, a poppa, tranquillamente adagiato su un cuscino? Sicurezza invincibile per la propria sorte personale, comunque vadano le cose? Indifferenza superiore e distaccata per la sorte di quegli uomini che, pure, per lui hanno lasciato lavoro e famiglia? Dal petto dei discepoli in preda al panico esplode il grido accorato: "Maestro, non t’importa che moriamo?". Ecco il virus del sospetto che ha aggredito la loro mente e ha scatenato la tempesta dell’angoscia nel loro cuore: mettono in dubbio che a Gesù importi veramente di loro, della loro vita e incolumità. Con quel rimprovero spudorato gli apostoli dimostrano di non fidarsi di Gesù, di non credere fino in fondo nel suo amore, nella sua volontà disinteressata di prendersi cura delle persone a lui affidate, nella sua premura gratuita nei confronti degli amici, soprattutto quando versano, come ora, letteralmente in... brutte acque.
A rabbi Gesù, invece, importa della vita dei suoi compagni, e come! In lungo e largo nel vangelo brilla la incessante, instancabile generosità del Maestro, che preferisce sempre il bene dei suoi al proprio successo e alla propria incolumità personale. Costantemente antepone la vita dei discepoli alla propria. Quando verranno per arrestarlo nel Getsemani, l’unica preoccupazione sarà per i Dodici: "Se è me che cercate, lasciate che questi se ne vadano" (Gv 18,8).
Ecco quindi la risposta del Maestro al grido angosciato dei compagni di traversata, una risposta da par suo: pronta e autorevole, solenne ed efficace, rapida e risolutiva. "Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: ‘Taci, calmati!’". Questo stile di intervento da parte di Gesù lo conosciamo già. Infatti ritornano qui due verbi che abbiamo incontrato nel primo "miracolo" di Gesù - in realtà si è trattato di un esorcismo - da lui operato in quella giornata-tipo di Cafarnao. Il primo verbo è "sgridare" rivolto al vento infuriato, come l’indemoniato della sinagoga. L’altro verbo è rivolto al mare, al quale Gesù comanda di tacere, letteralmente di "mettersi la museruola", espressione tipica, perché in ebraico e in arabo il vento o il mare non "urla", come diciamo noi, ma "abbaia", quasi fosse un cane rognoso.
Dunque il mare si comporta come un energumeno spiritato?, e Gesù lo tratta come solo un esorcista esperto e infallibile, qual è lui, sa fare. Neanche stavolta manca il colpo; e il risultato non si fa attendere: "Il vento cessò e vi fu grande bonaccia". Ma Gesù è rimasto colpito al cuore dall’incredulità dei discepoli; di qui il suo rimprovero: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?". La lezione è chiara: il contrario della paura non è il coraggio, ma la fede!

2. Siamo partiti dalla nostra vita per andare alla Parola; ora dalla Parola torniamo alla vita. Oggi la nostra si presenta come la cultura dell’incertezza. Siamo perennemente in ansia: per le malattie in agguato, per i possibili rovesci finanziari, per l’incubo di insuccessi matrimoniali, professionali o anche pastorali. Soffriamo di una profonda insicurezza, nonostante - o proprio per questo, almeno in Occidente - siamo più protetti e garantiti. Abbiamo cure mediche più efficaci, trasporti più sicuri, territori più e meglio difesi. Oggi noi possiamo controllare tante cose: la fertilità delle donne e la nascita dei figli, le forze della natura, l’andamento dell’economia. Ma paradossalmente è proprio la cultura del controllo a generare angoscia. Dopo l’11 settembre ci siamo scoperti tutti più indifesi e vulnerabili. E spesso ci sembra di essere esposti al naufragio: quante volte ci sembra di dover affrontare - nella traversata della vita - tempeste paurose che rischiano di travolgerci?!
L’unica forza che può salvarci è la fede-fiducia in Dio, il quale è infinitamente più sapiente, più potente, più benevolo di noi: "Gettate in lui - raccomandava s. Pietro - ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi" (1Pt 5,7). "Un giorno - narra un apologo molto caro a M.L. King, e spesso citato da V. Bachelet - la paura bussò alla porta; la fede andò ad aprire: non c’era nessuno".
Ora la santa cena ci ripropone il dono d’amore che il Signore Gesù fece di se stesso, "nella notte in cui veniva tradito", nel momento in cui le forze del male stavano per inghiottirlo, segno che egli è in mezzo a noi, vivo e operante, anche quando sembra che dorma. Sapremo trovare nell’eucaristia la forza e la fiducia che ci permettono di affrontare le tempeste della vita?

Commento di mons.Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008