Omelia (24-05-2009) |
don Maurizio Prandi |
La misericordia? Una presenza! Oggi celebriamo l’Ascensione di Gesù. Ascensione, che vuole dire salita; ma quale salita è quella di Gesù? Semplicemente è il passaggio da questo mondo a Dio. L’umanità di Gesù, di Gesù uomo, che appartiene alla nostra storia, al nostro mondo, che è uno di noi, Gesù di Nazaret che è vissuto al tempo di Augusto e di Tiberio, ebbene, quell’uomo concreto con la sua umanità è entrato nella bellezza e nello splendore della vita di Dio. Che è uno di noi dicevo... non so se vi è capitato di vedere mercoledì scorso la trasmissione Che tempo che fa alla quale è stato invitato anche il card. Dionigi Tettamanzi. ebbene anche lui si è commosso alle parole di Erri de Luca registrate nel cimitero di Lampedusa sulle tombe degli extracomunitari raccolti in mare. Siamo gli innumerevoli... nessuna polizia può farci offesa più di quanto siamo stati offesi; faremo i servi, i figli che non fate, nostre vite saranno i vostri libri di avventure... siamo i piedi, e vi reggiamo il peso, spaliamo neve, pettiniamo prati, battiamo tappeti, raccogliamo il pomodoro e l’insulto, siamo il rosso e il nero della terra, un oltremare di sandali sfondati, il polline e la polvere nel vento di stasera... uno di noi, a nome di tutti ha detto: "non vi sbarazzerete di me... va bene, muoio, ma in tre giorni risuscito e ritorno. Uno di noi che è entrato nella vita di Dio perché la sua vita è stata coerente nell’amore e nel dono: non si è preoccupato di difendere se stesso, ma si è preoccupato di donare se stesso agli altri. Per questo il traguardo, il culmine della sua vita è l’ingresso nel mistero di Dio ed è ciò che noi chiamiamo l’ascensione. Dice il Libro degli Atti degli Apostoli che quando i discepoli sono diventati testimoni dell’Ascensione hanno incominciato a guardare il cielo. E un angelo ha detto a loro: «perché state a guardare in cielo?» (At 1, 11); non è quello l’orientamento della vostra vita, ma è in mezzo agli uomini quello che voi dovete portare e che dal cielo avete ricevuto, quello che dal Cristo risuscitato e glorificato vi è stato trasmesso. La nostra vita ha questo valore: dobbiamo continuare l’opera del Signore. Ma non la continuiamo semplicemente con la nostra buona volontà perché non ci riusciamo. Dal momento in cui Gesù fu levato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo, comincia il nostro essere chiesa. Nella festa nella quale dal Cristo ci viene indicata la meta del nostro cammino, ci viene anche detto che noi non dobbiamo guardare in alto e che comunque il Cristo è sottratto al nostro sguardo. Questo vuol dire che ciò che siamo chiamati a fare, siamo chiamati a farlo qui, senza vivere di nostalgie, impastandoci della stessa umanità della quale si è impastato Gesù. La condizione dei cristiani è la condizione di coloro che sanno che il Cristo li ha preceduti, ma sanno anche che il Cristo è stato sottratto ai loro sguardi. E’ importante anche questa dimensione, questa ferita, questa fatica che possiamo chiamare: assenza. Proprio per questo il Signore ci trasmette il suo Spirito, perché con il suo Spirito possiamo continuare a fare quello che lui ha fatto e comprendere che credere nel Signore non vuol dire prendersi delle rivincite (è questo il tempo in cui ricostituirai il regno d’Israele?) ma essere testimoni di lui ovunque. Se c’è qualcosa che le letture di oggi cercano di trasmetterci è proprio questo stile di testimonianza semplice e radicale, staccato, svincolato da ogni tentazione di spettacolarizzazione e grandezza: il trionfo di Gesù è il nascondimento in una nube che lo "toglie" ai discepoli, la promessa che lui fa non è in relazione al potere, alla forza, alla ricchezza, ma alla sua presenza: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (abbiamo ascoltato nel versetto del canto al Vangelo). Già lo scorso anno ricordo, tanto mi sono soffermato su questa promessa non di chissà quale vittoria, ma di una presenza. Mi piace però (influenzato qui dall’aver rivisto alcuni appunti presi durante un incontro con d. Daniele Simonazzi) aggiungere questo: c’è uno stretto legame tra Risurrezione e Ascensione al cielo del Signore Gesù. Con l’Ascensione si vuole sottolineare questo compimento del movimento che Gesù ha compiuto, di discesa (incarnazione, passione e morte) e di ascesa (risurrezione e ascensione al cielo), movimento che ha lo scopo di recuperare tutto il mondo alla comunione con Dio. In questo percorso Gesù, dal massimo della sua distanza da Dio (la morte), arriva al massimo della sua comunione (l’Ascensione): in Lui, anche la nostra umanità arriva alla comunione con il Padre. Secondo il nostro modo di pensare Gesù è in cielo: invece no. Egli è in cielo e in terra. L’Ascensione non è una diminuzione, ma un aumento della presenza di Gesù. Se non fosse asceso in cielo (se non fosse cioè entrato nella dimensione del Padre) noi dovremmo andare a cercarlo a Gerusalemme; invece noi lo incontriamo in ogni luogo. Gesù che ascende al cielo ci rinvia alla sua presenza sacramentale: a noi che restiamo nel mondo, egli non sottrae la sua presenza, ora però decifrabile attraverso la varietà, la molteplicità e la semplicità (acqua, pane, vino, olio...) dei segni che ad essa rinviano, nella fede. E’ proprio sulla scorta di tutto quello che abbiamo detto che nella seconda lettura S. Paolo invita a rispondere alla chiamata del Signore non prevaricando, dominando o imponendo, ma di comportarsi con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza. Soltanto così potremo, come è scritto da chi ha concluso il vangelo di Marco (è una chiara aggiunta al testo originale quella che si legge nella liturgia di oggi) cacciare i demoni, ovvero smascherare tutto ciò che inganna e ci vuole distogliere da Dio è protagonismo, sete di denaro e di potere, aggressività... parlare lingue nuove, cioè dire la verità, parlare onestamente, senza nessun secondo fine, tenere in mano i serpenti, cioè riuscire ad attraversare a testa alta malignità e cattiverie, imporre le mani, cioè avere la passione di curare, di farsi carico, di condividere. |