Omelia (24-05-2009)
mons. Vincenzo Paglia


È’ la domenica dell'Ascensione. La liturgia ci annuncia questo mistero con le parole dell'evangelo di Luca (24,46-53). Gesù dopo aver dato le ultime istru­zioni agli apostoli radunati nel cenacolo, esce con lo­ro verso Betania e sale sino al monte degli Ulivi. Giunto sulla cima, benedice i discepoli, si stacca da lo­ro e sale verso il cielo. La narrazione si sviluppa in appena tre versetti, ep­pure questo episodio rappresenta un momento crucia­le per la vita di Gesù e per la storia dei discepoli. Lu­ca lo narra due volte. La prima per chiudere il suo Vangelo e la seconda per aprire il libro degli Atti degli Apostoli (è la prima lettura della santa liturgia di og­gi). L'autore sembra voler dire che l'Ascensione, se da una parte indica la chiusura della vita pubblica di Ge­sù, dall'altra vuoI significare una sua presenza più profonda nella vita dei discepoli tanto da essere l'ini­zio, quasi il fondamento, di tutta la storia seguente del­la Chiesa. «Salire al cielo» vuol dire andare più in alto della vita degli uomini, sino a giungere alla presenza di Dio. Nella lettera agli Ebrei si descrive questo mistero: «Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). Ge­sù è salito al santuario del cielo, un santuario non fat­to da mani d'uomo, come invece sono le nostre chie­se. Eppure ogni volta che celebriamo la santa liturgia siamo come coinvolti nel mistero stesso dell'Ascen­sione. Ogni domenica, quando ci disponiamo davanti l'altare, non siamo accolti alla presenza di Dio? Non viviamo assieme a Gesù il mistero dell' Ascen­sione? L'ambone non è simile a quel monte da cui Ge­sù parla ai suoi e dal quale li benedice? E la nube che lo avvolse, non possiamo paragonarla forse alla nube d'incenso che circonda l'altare e che avvolge il pane santo e il calice della salvezza mentre vengono eleva­ti al cielo?

Ma l'ascesa al cielo non vuol dire che Gesù si sia al­lontanato dai discepoli. Significa piuttosto che egli ha raggiunto il Padre e che si è assiso accanto a lui nella gloria. E’ quindi entrato in un rap­porto definitivo con Dio. La Sua presenza è quindi più ampia: è diffusa come il cielo copre la terra. Il Signore, ascendendo al cielo, comprende e avvol­ge tutti. L’ascensione non è, quindi, un allontanarsi, semmai è un avvicinarsi più profondo e coinvolgente. Se così non fosse non si comprenderebbe la gioia dei discepoli. Come è possibile gioire mentre il Signore si allontana? Eppure scrive Luca: «Dopo averlo adorato, i disce­poli tornarono a Gerusalemme con grande gioia» (Lc 24,52). Gli apostoli non solo non sono tristi per la separazione, addirittura sono pieni di gioia.

Cos'è accaduto? Quel giorno i discepoli hanno vis­suto una profonda esperienza religiosa; hanno cioè sperimentato che il Signore era ormai definitivamente accanto a loro, con la sua parola e il suo Spirito; una vicinanza certo più misteriosa ma non per questo meno reale della prima. Senza dubbio sono tornate loro in mente le pa­role che avevano sentite da Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20). In quel giorno dell' Ascensione le hanno comprese fino in fondo: in qualunque parte della terra, in qualunque epoca, in qualunque ora, si radunano as­sieme due o più discepoli del Signore, egli sta in mez­zo a loro. Da quel momento in poi la presenza di Ge­sù sarebbe stata ancor più larga nello spazio e nel tem­po; per sempre avrebbe accompagnato i discepoli, do­vunque e comunque. Di qui il motivo della grande gioia. Nessuno al mondo avrebbe ormai potuto allon­tanare Gesù dalla loro vita. La gioia dei discepoli ora è anche nostra. perché possiamo vivere quel che loro sperimentarono.

I due angeli possiamo paragonarli alle Sante Scrittu­re, al Primo e al Nuovo Testamento. Esse ci vengono incontro mentre stiamo con la testa a fissare il cielo del nostro egoismo, dei nostri sogni. delle nostre fan­tasie. No, non è questo il cielo che dobbiamo guarda­re. «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cie­lo?». Potremmo sentirci dire: «Uomini e donne di og­gi, perché state a guardare il vostro cielo?» (At 1,11). E la domanda che le Scritture ci rivolgono ogni dome­nica, per rompere i confini ristretti dei «nostri» cieli. Quello di Gesù è più largo, è ampio come il mondo e profondo come il cuore degli uomini, avvolge il volto dei deboli, copre le terre martoriate dalla guerra, si stende sul letto dei malati, copre le piazze o le strade ove vivono i senzatetto. Questi e tanti altri sono i cie­li che gli angeli ci invitano a contemplare. In questo giorno il Signore Gesù ci dona la grazia di salirvi as­sieme con lui: ci avvicineremo a Dio e agli uomini.