Omelia (31-05-2009) |
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Come ci siamo detti domenica scorsa, stiamo attraversando l’ultimo pezzettino del tempo di Pasqua, ed è un tempo pieno di feste e di solennità, ogni domenica ne abbiamo una diversa da celebrare. Domenica scorsa la Chiesa ci ha invitati a ricordare l’Ascensione del Signore, il ritorno definitivo di Gesù Risorto al Padre, con una missione impegnativa, ma affascinante, consegnata ai suoi discepoli e perciò, lungo il tempo, affidata anche a noi: annunciare il Vangelo fino ai confini della Terra. E il Maestro Risorto ci ha anche detto quali sono i segni prodigiosi che accompagnano coloro che credono in Lui: scacciare il male dal cuore, rendendo l’anima libera da ogni cattiveria; parlare lingue nuove, cioè saper dialogare con tutti, entrare in comunione con ogni persona che incontriamo; guarire i malati, non dalle malattie del corpo, ma da quelle del cuore: dalla solitudine, dalla tristezza, dalla sfiducia, dalla paura... Bene, queste promesse stupende che Gesù ha pronunciato, cominciano a diventare realtà proprio nel giorno di Pentecoste. Che significa questa strana parola? Vuol dire che sono trascorsi cinquanta giorni dalla Pasqua. Pentecoste è una festa del popolo d’Israele, una festa che già si celebrava al tempo di Gesù. Per questa festa importante, a Gerusalemme si radunava tanta folla, gente di ogni città e paese, persone che arrivavano anche da molto lontano. Gli apostoli, che una settimana fa hanno salutato per l’ultima volta il loro Maestro Risorto, pensano che con tutta quella confusione non è proprio il caso di andare in giro. Per via della folla, ci sono in città anche molte più guardie, molti più controlli... non è prudente farsi vedere, con il rischio di essere riconosciuti come amici del Rabbi di Nazareth. Dopotutto sono passati solo cinquanta giorni da quando il loro Maestro è stata crocifisso: potrebbe toccare la stessa sorte anche a loro. Sanno bene che i capi del popolo li stanno cercando, perché vogliono mettere a tacere tutti gli amici di Gesù, tutti quelli che lo seguivano, che stavano con lui. Perciò i Dodici e gli altri discepoli, se ne stanno tutti insieme, al sicuro. Con loro c’è anche Maria, la madre di Gesù. Sono preoccupati per lei, ci tengono che non venga scoperta e riconosciuta. Ma lì, tutti riuniti in quella casa tranquilla, si sentono in salvo. "Lasciamo che passi la festa – si dicono tra loro – Poi decideremo cosa fare" Qualcuno pensa di certo all’incarico grande e importante che ha affidato il Maestro nel salutarli: portare la Bella Notizia a tutti, fino ai confini della Terra... ma come fare? dove trovare la forza e il coraggio per parlare, per annunciare la bella notizia? Dove trovare le parole per parlare alla folla? Non sono mica di quelli che hanno studiato, loro! sono pescatori, gente semplice... Ma il Maestro e Signore ha detto che devono andare in tutto il mondo e annunciare il Vangelo a ogni creatura!... Sì, vero, verissimo... ma per ora la paura è più forte di ogni altra cosa. Con questi pensieri e questi timori, arriva e trascorre il giorno di Pentecoste. Ormai è quasi il tramonto, quando accadono segni strani, prodigiosi, inaspettati: ce li racconta con molti particolari, il brano della Prima lettura, tratto dagli Atti degli Apostoli. Per prima cosa "Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano." Così, di colpo, un rumore forte, fragoroso, attraversa l’intera città di Gerusalemme: lo sentono tutti e se ne stupiscono, perché non c’è mica il temporale! Sembra che ci sia una tempesta di vento, perché di fatto le porte e le finestre della luogo dove sono radunati gli amici di Gesù si spalancano d’un tratto: la forza del vento penetra dappertutto, rinfresca l’aria, porta il profumo della primavera, e si fa sentire ovunque, riempie ogni stanza, ogni angolo, la casa intera. Sono ancora stupiti e magari anche un po’ rintronati per il fragore del vento quando un nuovo prodigio li sconvolge: "Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro". Lingue di fuoco, fiammelle, insomma, come quelle delle candeline: solo che si muovono nell’aria. Si dividono, diventano numerose e vanno a posarsi vicino alla testa di ciascuno dei presenti. Se ne restano così, un po’ sospese nell’aria, senza bruciare nulla, senza scottare nessuno. Un segno luminoso e caldo, personale, perché nessuno dei presenti resta senza la sua fiammella danzante. Come una lieve carezza di luce e tepore, che rassicura, consola e comincia a infondere una nuova forza ed un coraggio che mai avrebbero sognato di possedere. E non è ancora finita: "cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi." Si accorgono, cioè, che ciascuno è diventato capace di parlare lingue straniere, lingue diverse dalla propria, lingue che non ha mai studiato! Non si devono sforzare, non ci devono neppure pensare: le parole sgorgano facili, leggere. È un regalo straordinario dello Spirito Santo, che rende visibile la promessa fatta da Gesù nel giorno dell’Ascensione: i discepoli, i suoi amici, coloro che credono nella sua Risurrezione, sono in grado di parlare lingue nuove. La cosa splendida è che in Gerusalemme, per via della festa, c’è veramente tanta gente che arriva da posti lontani e che resta stupita e felice nel sentire parlare la propria lingua! Non so se a voi è capitato di viaggiare all’estero, di trovarvi in paesi dove non si conosce la lingua. A me è capitato e ricordo in particolare quando sono stata in Germania, a Colonia, per la Giornata della Gioventù. Io non parlo assolutamente il tedesco, non conosco che una o due parole, e i suoni di questa lingua per me sono completamente incomprensibili. Ebbene, per una settimana, mi sono trovata ad abitare con altre due ragazze, presso una famiglia tedesca. Loro era gentilissimi con me, capivo che mi dicevano cose carine dal tono della loro voce, ma era impossibile per noi parlare, dialogare, condividere! Che gran fatica riuscire a far capire che occorreva un cerotto oppure che in bagno era finita la carta igienica! Viene da sorridere a raccontarlo qui, ora, ma vi assicuro che non era così divertente, in quel momento. Mi sentivo come intrappolata nell’incapacità di comunicare, di capire cosa mi veniva detto e di far capire ciò che avevo nel cuore. Penso che per molta della gente che era andata a Gerusalemme per la Pentecoste, partendo da paesi lontani, la sensazione era simile alla mia. Molto felici di essere finalmente giunti a Gerusalemme, davvero contenti di non perdere una festa così importante, ma anche dispiaciuti di non poter comunicare con gli altri, affaticati dal cercare di capire e farsi capire. In mezzo a questa difficoltà, ecco che d’improvviso cominciano a sentire le voci degli apostoli e di tutti i discepoli, che parlano nelle loro stesse lingue. Ma che meraviglia! Ci si riesce a comprendere perfettamente! Stanno raccontando di questo loro Maestro, Gesù, che è stato messo a morte e che invece è vivo, risorto! Stanno spiegando che i profeti e la Scrittura Sacra, da sempre hanno parlato di lui, hanno annunciato che sarebbe giunto per salvare tutta l’umanità: questa promessa di Dio si è compiuta! Stupiti e commossi, tutti gli stranieri presenti a Gerusalemme si mettono in ascolto: all’inizio c’è soprattutto la voglia e la curiosità di ascoltare questi giudei che parlano in tante lingue diverse. Poi si accende l’interesse per le cose splendide che vengono raccontate, per il meraviglioso dono che Dio ha fatto al mondo attraverso il suo Figlio, Gesù. Il brano degli Atti degli Apostoli termina qui, con tutta la sua carica di stupore e di mistero. Veramente, quando si tratta dello Spirito Santo questo accade di frequente: non riusciamo a pensare allo Spirito, a come può essere, a qual è il suo aspetto. La stessa parola di Dio non ce lo descrive in un solo modo: è un giocherellone che ama cambiare di aspetto. Già solo in questo breve brano, lo Spirito Santo è come il fragore di un tuono, come un vento pieno di energia, come un fuoco danzante, come la forza di comunione che cancella le differenze di lingua. È forza, slancio, coraggio di prendere la parola; consolazione e forza che cancella le paure; è novità, come il vento che spazza via la polvere e le ragnatele; è calore, bellezza, luce, come le lingue di fuoco. No, veramente le nostre parole fanno fatica a descrivere com’è lo Spirito Santo, ma tutte queste immagini, tutte le somiglianze che la Parola di Dio adopera, ci aiutano a capire qualcosa di più su di Lui, ci permettono di farcene un’idea. Ed è un’idea ricca di bellezza, di armonia, di splendore, di forza. Da subito, in queste Eucaristia, e poi per tutta la settimana che ci sta davanti, non sciupiamo le occasioni per pregare lo Spirito Santo, per chiedergli di abitare in noi, nel nostro cuore. Per domandargli di sfiorare con la sua carezza le nostre menti, le nostre labbra, le nostre mani: perché i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni siano sempre secondo il cuore di Dio. Con insistenza, chiediamo allo Spirito Santo di donarci la sua luce, la sua forza, la sua armonia, per crescere anche noi nella capacità di essere in comunione con tutti e con il Padre Buono. Invitiamo lo Spirito d’Amore a travolgerci come il vento impetuoso che ha spazzato via timori e vecchiume in quel crepuscolo di Pentecoste. Facciamoci rinnovare dalla sua energia, lasciamoci colmare dalla sua bellezza, per essere sul serio testimoni del Signore Risorto. Commento a cura di Daniela De Simeis |