Omelia (31-05-2009) |
don Maurizio Prandi |
La "lingua nuova" della misericordia Si conclude, con questa domenica, il tempo di Pasqua e si conclude anche il percorso che abbiamo cominciato circa i segni della misericordia divina che la liturgia della parola domenicale ci ha proposto. Domenica scorsa sintetizzavo nella promessa che Gesù fa della sua presenza (sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo) il segno della cura di Dio per i suoi figli. Per quello che riguarda questa domenica di Pentecoste sento nel dono delle lingue da un lato un segno di continuità rispetto alla solennità dell’Ascensione e dall’altro mi pare proprio un bel segno di misericordia in quanto concerne la comunicazione, la relazione, la comprensione... diceva il vangelo di sette giorni fa' che nel nome di Gesù i discepoli parleranno lingue nuove, cioè diranno la verità, parleranno onestamente, senza nessun secondo fine e solo per annunciare il vangelo. Anche oggi prima lettura e vangelo insistono sulla "lingua da parlare" e quando questa è la lingua del vangelo ecco che il miracolo (come sottolineo tutti gli anni), si compie nelle orecchie degli uditori che diventano improvvisamente capaci di comprendere le opere e le meraviglie di Dio. La particolarità di questo segno secondo me non sta nella straordinarietà del parlare una lingua sconosciuta, ma nell’annunciare la bellezza e la verità del vangelo e questo lo si fa "nello Spirito" che ci guida a tutta la verità (dice il vangelo). Gesù ci chiede di parlare la lingua che abbiamo imparato da lui stesso, che è la lingua del vangelo, una "lingua nuova" che nel mondo non si parla. La lingua nuova del vangelo dice, ad esempio, "Beati i poveri in Spirito, perché di essi è il Regno dei cieli" (Mt 5,3). È questo che sentiamo dire frequentemente o che annunciamo come chiesa? Perciò è una lingua strana. Ancora più strana è quella che dice: "Beati i miti, perché possederanno la terra" (Mt 5,5); perché nel nostro mondo sembra invece che siano i prepotenti che possiedono la terra, che governano ed esercitano la loro forza. Questa è dunque una lingua nuova. È parlare la lingua del perdono, della riconciliazione, della mitezza, dell’amore, dell’umiltà, della purezza di cuore, della trasparenza, dell’onestà... anche se costa molto. Non è una lingua romantica, non ha niente a che fare con il romanticismo; è una lingua dura e difficile da parlare, che costa un prezzo alto, perché quello che l’ha parlata per primo è andato a finire in croce. Ma è la lingua che è capace di unificare i cuori degli uomini. Inoltre, è una lingua che può essere parlata semplicemente con la bocca, ma è soprattutto una lingua che si parla con la vita, con un modo diverso di accogliere e incontrare le persone e di costruire la società degli uomini. Mi piace davvero tanto questa sottolineatura che prima lettura e vangelo fanno sulla lingua... e mi domando allora che lingua parlo io con i miei parrocchiani, se quella della passione per il Regno di Dio o quella dei pistolotti moralistici... che lingua parlo con i bambini del catechismo, con gli anziani, con gli ammalati. Ma anche: che lingua parla la chiesa alla quale appartengo? Per "intercettare" gli uomini e le donne di oggi basta essere presenti mediaticamente? Basta tornare a parlare il latino (lingua nuova?) del Concilio di Trento? Forse basta dare fiducia a quello Spirito che, come dice il ritornello del salmo responsoriale di oggi può rinnovare la terra. Il giorno di Pentecoste è al suo compimento (finalmente la traduzione ci da una idea precisa di ciò che avviene) ed è bello che al compimento della Pentecoste (e quindi anche della Pasqua) corrisponda questo ingresso, nella vita delle persone, del Regno di Dio, del suo mistero, delle sue meraviglie. E guardando al testo, dove il calco dal greco e dal latino ci dice: erano tutti insieme nello stesso (la parola luogo non c’è...), possiamo dire che il compimento, il dono dello Spirito avviene quando nella chiesa siamo non soltanto riuniti, ma anche unanimemente orientati a Dio. La prima lettura oggi ci suggerisce un atteggiamento liturgico vero e proprio: non basta la riunione in un luogo (una chiesa ad esempio), ma è necessario anche l’essere un cuor solo. Il compimento avviene quando si è orientati e il compimento è la Legge Nuova dello Spirito che, ricordate, due domeniche fa abbiamo visto scendere su una assemblea di stranieri, di pagani riuniti ed orientati ad accogliere la parola di Pietro. Tutti gli anni lo ripetiamo, ma credo sia sempre utile sottolinearlo: la festa di Pentecoste era in origine "la festa della mietitura, associata al giorno delle primizie" e celebrava la promulgazione della Legge al Sinai. La Pentecoste, per il cristiano è allora la sostituzione della Legge, dei comandamenti, con lo Spirito Santo che si insedia (è questa la giusta traduzione del posarsi delle lingue di fuoco) sugli apostoli. Ed ecco che la prima conseguenza della manifestazione dello Spirito è l’universalità, la totalità, la (con buona pace spero di tutti i politici), multietnicità: vivevano giudei provenienti da tutte le nazioni del mondo... erano giudei, ma di tante origini diverse, cioè lì sono rappresentate, (secondo Luca la cui ottica è l’universalità della salvezza), tutte le genti: la chiesa è nata universale! Il profeta Gioele dando voce a Dio dice: Effonderò il mio spirito su ogni uomo e diverranno profeti i vostri figlie le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. E’ un testo che è una domanda per noi cristiani e per la nostra chiesa, chiamata a credere che su ogni uomo, su ogni donna è effuso lo spirito. Desidero appartenere ad una chiesa che ascolta tutti e si rallegra per le profezie dei figli e delle figlie, per i sogni degli anziani, per le visioni dei giovani. Desidero appartenere ad una chiesa che dice: ecco, queste profezie, che vengono anche dalle persone più semplici, umili e a volte dimenticate, sono il segno che lo Spirito di Dio opera ancora oggi nel mondo. |