Omelia (18-05-2003)
mons. Antonio Riboldi
Le radici della vita

Se c'è un aspetto della vita che ci colpisce sempre di più è quello della diffusa solitudine di cui soffrono troppi. Si è vicini, tanto vicini, che a volte si ha come l'impressione di urtarci, più che stare insieme.
Viviamo come se fossimo delle isole. E nello stesso tempo vorremmo quasi immergerci in un mare, che si chiama amare ed essere amati. Perché, è bene ricordarcelo sempre, il Padre ci ha fatto dono della vita per farci conoscere l'infinita bellezza e felicità dell'amore. Dio, dice Giovanni Evangelista, è amore. E l'amore non può generare qualcuno che non sia partecipe di questa meravigliosa realtà.
Non temere – dice Isaia profeta - perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome, e tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno: se dovrai passare in mezzo al fuoco non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare; perché io sono il Signore tuo Dio...Perché tu sei prezioso ai miei occhi perché sei degno di stima, ed io ti amo..Non temere io sono con te (Is. 43nl-5).
Parole che fanno giustizia di tutte le nostre infelicità, quelle cioè che ci fanno pensare di essere soli, come fuscelli abbandonati alla deriva di un fiume...fuscelli che non hanno assolutamente identità, ma sono come spazzatura che l'acqua si porta dove vuole e come vuole.
Ma tutti sappiamo che se siamo infelici, se è tanto difficile entrare in questa ottica del Padre, è perché l'amore non è mai una imposizione, ma è una offerta gratuita e libera, che attende altrettanta gratuità e libertà come risposta.
Ci sentiamo dire tante volte: "Ti voglio bene", "siamo amici". Un giorno un giovane volendo definire questo meraviglioso vincolo d'amore, pare inesistente o difficile, disse: vede quanti siamo? Tanti, qui radunati tutte le sere. Siamo davvero tanti, tutti in cerca di una compagnia che dia respiro ala vita. Stiamo insieme...ci parliamo...ci diciamo a volte tante sciocchezze che nulla hanno a che vedere con lo svelarsi della nostra anima, per trovare compagnia là nell'intimo, dove veramente la vita ha bisogno di una mano sicura, mostriamo un volto sorridente, come se ridere fosse una legge e non una esplosione di felicità...ma la verità è che non conosciamo la bellezza dell'amicizia, quella che è darsi una mano e camminare per sentieri dove possiamo costruire gioia, onestà, bellezza di cuore, come dite voi preti. Abbiamo anzi quasi vergogna di chiamare in causa l'unico che credo possa davvero dirci cosa voglia dire volerci bene, ossia Dio. Ha ragione quel filosofo che affermava, forse riferendosi a frati, ma è vero per tanti, "noi ci incontriamo senza conoscerci, stiamo insieme senza amarci, ci lasciamo senza rimpiangerci". E così alla sera, quando torniamo a casa e siamo soli, non ci rimane che l'insopportabile amarezza di non avere chi ti voglia bene: chi sai che ti pensa e vive per te e non rimane che buttare un fiume di lacrime inutili.
Giovanni l'Evangelista che aveva provato una profonda amicizia con Gesù, tanto che viene chiamato il discepolo che Gesù amava (un amore che non si tira indietro anche alla più dura prova, come la crocifissione dell'amico Gesù sul Calvario) – dice: "Fratelli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con fatti e nella verità. Da questa conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui assicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri...Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (Gv.3,18-20).
Chi di noi ha la fortuna di conoscere l'amore, quello che non ha bisogno di parole, ma sa essere come una contemplazione del cuore, attraverso gli occhi, i gesti, sa che volere bene è come "far parte della vita di chi si ama con tutte le forze, come a prendere linfa da chi si ama.
Non c'è nulla a questo mondo che valga un "ti voglio bene", ma quello vero che è farsi vivere da chi ama. Al punto che si vive, si pensa, si gioisce, si soffre ogni minuto se non appartenessimo più a noi stessi, ma fossimo come una corda di una chitarra che con l'amore compone inni di felicità.
Se poi questa amicizia o amore è farsi una cosa sola con una persona "giusta", "fedele", che conosce le vie della sapienza, quelle che lo Spirito suggerisce e ispira, allora davvero non c'è spazio per il timore: non solo, ma ogni cosa si faccia è come coltivare un giardino di meravigliosi frutti che sono come l'anticipazione del Paradiso.
Ma è difficile trovare questi amici che amino non a parole, ma con i fatti e sappiano avere ali di angelo, che non permettono di infangarsi nelle facili paludi dell'egoismo. Per me è davvero una grande felicità poter chiamare voi che mi leggete "miei amici" e dirvi "vi voglio bene"; un bene che affonda le sue radici nella Parola di Gesù.
Ho avuto modo di conoscere amici per cui vivere era Gesù: ossia Gesù era talmente nei pensieri, nelle azioni, in tutto, da considerare la vita un vero inferno al solo pensiero di stare senza di Lui. Un poco come il bambino che non sa camminare e vede la mano della mamma come la sua sicurezza.
E' quello che ci dice oggi Giovanni nel Vangelo ed è stupendo questo sapere di essere "radicati in Lui".
Gesù disse: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutti...Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui fa molto frutto perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano" (Gv. 15,1-8).
Inquieta e nello stesso tempo esalta l'espressione che Gesù usa per dirci quanto l'essere uniti a Lui è essenziale: "Rimanete in me". Davvero ci inquieta quella sapienza di voler bene, prendendo dimora addirittura in Chi è Tutto. Siamo così abituati a vivere la nostra fede superficialmente, stando alla periferia di Dio, che non riusciamo a volte a comprendere cosa voglia dire "prendere dimora in Dio". Non è più un bussare alla porta dell'amico e poi magari andare a cercare altre porte dove non abita l'amicizia vera, quella del "tralcio che prende il suo vigore dal suo essere frutto di una vite". E questo spiega i tanti fallimenti della nostra fede o fiducia in Dio. Non conosciamo le opere meravigliose che il tralcio potrebbe produrre perché ci manca quel donarsi totalmente a Lui, fino a sentirsi vivi in casa di Dio.
Torniamo allora ad imparare cosa voglia dire accostarci a Gesù come suoi amici capaci di dirGli sinceramente "Ti voglio bene"!
E oggi prego con S. Agostino: O vita per cui vivono tutte le cose, tu che mi doni la vita, vita che si fa la mia vita, vita per la quale vivo, senza la quale muoio:
vita per la quale sono resuscitato e senza della quale sono perduto, vita per la quale godo, senza della quale sono tormentato
vita vitale dolce e amabile.
Ti prego, dove sei? Dove ti troverò, per morire a me stesso e vivere di Te? Sii vicino a me nell'anima, vicino nel cuore, vicino sulla bocca, vicino con il tuo aiuto, perché sono malato, malato di amore. Perché senza di te muoio, pensando a te mi rianimo.
(Da: "Colloquio dell'anima con Dio").

Antonio Riboldi - Vescovo -

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