Omelia (14-06-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Alleanza e comunione Dopo aver ascoltato e annunziato i comandamenti del Signore, che il popolo solennemente giura di osservare, Mosè offre a Dio un sacrificio di comunione, uno dei tanti previsti dell’antica Alleanza e descritti nei primi capitoli del libro del Levitico, attraverso il quale il popolo tende ad instaurare speciale intesa con Dio in un profondo rapporto d’intimità e di relazione filiale. Il costitutivo di questo atto sacrificale è l’immolazione del giovenco e l’utilizzo del suo sangue, in parte versato sull’altare, in parte asperso sul popolo. Con il primo di questi due atti si vuole intendere che il sacrificio ha come destinatario primo il Signore, a cui esso viene offerto; aspergere anche il popolo sottende invece che questo rito non si esaurisce a una dimensione verticale, ma assume rilevanza anche nell’orizzonte del popolo d’Israele: Dio e il popolo hanno in comune il sangue del giovenco, sicché ambedue realizzano la comunione e la mutua relazione di alleanza perenne. Questa è voluta dal Signore non già per una sua soddisfazione personale o per un mero esercizio del potere incontrastato suo proprio, ma per una necessità intrinseca in cui versa Israele: peccatore, non irreprensibile e atto alle ripetute infedeltà, il popolo infatti non può fare a meno della comunione mutua e spontanea con il suo Dio. Il sangue del giovenco esprime pertanto il vincolo di comunione sacrificale che il popolo instaura con Dio e anche gli stessi Israeliti, nel vivere le reciproche relazioni, ne vengono interessati. Andiamo adesso alla pagina del vangelo odierno, nella quale si descrive da parte di Gesù e dei discepoli la consumazione del lauto pasto che festeggia l’antica liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica. Dopo essersi manifestato a tutti come la Parola del Dio vivente, annunciatore degli "arcana" del Regno di Dio e aver manifestato essere in parole e in opere il Figlio di Dio, Gesù offre anch’egli un sacrificio avente come elemento di realizzazione il sangue. Questa volta non di vittime animali, ma sangue Suo, quello che a breve scaturirà dal suo costato trafitto e che si spargerà sul legno della croce; esso apporterà il riscatto dei peccati in tutti gli uomini e in ciò stesso realizzerà la comunione definitiva uomo – Dio in un rapporto chiamato Nuova Alleanza: nel sangue di Cristo infatti l’uomo è salvato e comunica con Dio Padre in conseguenza dell’ascolto della sua Parola. . Una comunione definitiva, intima, colloquiale e inscindibile che Gesù realizza connettendo la terra al cielo e manifestando l’intensità dell’amore salvifico del Padre; come afferma la Lettera agli Ebrei, che sostituisce le membra di Cristo alle vittime animali, qualificandolo come nuovo tempio del nuovo culto, attraverso il Sangue di Gesù la libertà di "entrare nel santuario cioè di vivere l’intensità della comunione con Dio" (Eb 10, 19); e altrove: "... Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città." (Eb 13, 12) e la giustificazione del popolo non può che avere come conseguenza la salvezza e l'inizio della mutua comunione con Dio in Cristo e poiché nell'antico Israele il sangue era sinonimo di vita avviene in tutto questo che si realizza fra di noi e con lui una comunione vitale definita. Anche quando Gesù spirerà sulla croce avverrà che in seguito al lancio della spada del centurione, dal suo costato scaturirà acqua e sangue (Gv 19, 34), la prima simbolo della salvezza che ci proviene dal battesimo, l’altro del sacramento dell’Eucarestia. E appunto in questo sacramento avviene che Gesù ripresenta sull’altare il sacrificio che egli medesimo realizzò una volta per sempre sul Golgota: nella celebrazione della Messa, le parole "Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue, fate questo in memoria di me" commemorano l’avvenimento della cena nella stanza al piano superiore della casa ammannita con sontuosi tappeti, quando Gesù, così esprimendosi, annunciava l’imminenza del suo sacrificio di alleanza e invitava a che esso venisse ripresentato in perpetuo fino al giorno della sua venuta ultima. Infatti, secondo questo suo mandato, ogni volta che assistiamo a una celebrazione eucaristica ci viene ripresentato lo stesso sacrificio di estrema donazione che il Signore realizzò per la nostra causa e noi assistiamo, sia pure nella fede e nella concentrazione dello spirito, alla realizzazione della definitiva alleanza nel sangue fra Dio e l’uomo essendone ogni volta coinvolti, perché l’Eucarestia è in ogni caso comunione nostra con Dio in Cristo e comunione anche fra di noi. Non è solamente una memoria (anamnesi) quella che facciamo del sacrificio eucaristico, ma anche una sua ripresentazione che avviene nella comunione che realizziamo con Lui e fra di noi nell’atto di culto. Ma soffermiamoci anche sulle prime parole di Gesù, quelle proferite mentre ostenta il pane ai suoi discepoli: "questo è il mio Corpo", che nel linguaggio originale significa espressamente "questo sono io": Sono io che mi offro volontariamente come vittima sacrificale di espiazione dei peccati dell’umanità e che mi dono come cibo spirituale per tutti. Sono io che realizzo la comunione fra di voi e con me in un vincolo armonico e indissolubile e che mi offro anche come alimento di vita unico e insostituibile e che vi invito a nutrirvi costantemente di me per avere in voi la vita piena e non vivere nell’illusione e nella chimera del peccato. Queste parole danno quindi qualche garanzia in più oltre alla ripresentazione del sacrificio suddetto, perché affermano che questa comunione si realizza concretamente e negli effetti immediati, per mezzo del banchetto eucaristico al quale tutti siamo invitati ogni Domenica. Come infatti Gesù aveva espressamente affermato in precedenza "In verità, in verità io vi dico che se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno... " Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. (Gv 6, 53 – 54; 56) e in questo caso il "mangiare" intende il "masticare" concreto, il nutrirsi effettivo del Cristo nostro pane di vita e dove potremmo noi nutrirci della sua carne se non nel sacramento dell’Eucarestia nel quale Egli ci attende e ci si concede come alimento di vita? Dove poterci nutrire del suo Corpo se non nella comunione che ogni domenica (anzi ad ogni Eucarestia) realizziamo fra di noi e con Lui nella celebrazione del Sacrificio Eucaristico?. Era necessario allora che Gesù pronunciasse quelle parole finali aggiuntive "fate questo in memoria di me", affinché ogni volta che la comunità umana fosse riunita nel suo nome avvenisse la ripresentazione del suo sacrificio e il suo concedersi nelle sembianze del pane e del vino e con ciò stesso la realizzazione dell’agape, della comunione e della condivisione gioiosa con lui e con i fratelli. Alle parole del sacerdote infatti avviene che le sembianze del pane e del vino restano immutate, ma la sostanza muta per diventare quella del Corpo/Sangue di Cristo: il pane sembra pane, ma è il Corpo del Signore; il vino sembra vino (colore, sapore) ma è il sangue del Signore. La Messa è dunque un’occasione privilegiata di compartecipazione e di comunione fraterna voluta dal Signore stesso, una circostanza di incontro con Lui e fra di noi e un condividere il banchetto dello stesso Cristo Corpo che si fa mangiare nelle sembianze del pane; nell’’Eucarestia noi troviamo l’espressione della Chiesa che è comunione prima ancora di essere missione, è il consolidamento dell’unione e della condivisione attorno al banchetto festoso che è l’Eucarestia e per questo da parte di tutti si dovrebbe vivere la domenica non nell’aspettativa di una fredda coazione esterna sotto pena di peccato ma nella letizia che scaturisce dall’incontro con il Pane Gesù Cristo e con i fratelli, nell’assimilazione del Suo Corpo che è per noi fonte di vita, motivazione e slancio nel nostro quotidiano e costanza nell’arricchimento del nostro oggi materiale e spirituale. Quale Corpo del Signore che si da a noi, l’Eucarestia è la promessa di costante appoggio del Signore in tutti gli ambiti della nostra vita, sostegno nella prova ed efficace conforto nel dolore e nella prova che mostra sempre la sua efficacia quando la si assimila e la si vive e la si porta agli altri nel fervore della fede e della speranza. Nel Sacramento di comunione e di salvezza tuttavia vi è ancora una garanzia rassicurante, che è quella della presenza permanente di Cristo in mezzo a noi e a contatto immediato con Te che si riscontra tutte le volte che, anche al di fuori del culto, facciamo ingresso in una chiesa o in una cappella: lì il Signore presenzia costantemente laddove sono custodite le particole eucaristiche e si mostra sempre disposto e solidale con noi nelle nostre necessità di raccoglimento spirituale. Ne deriva allora che pregare in un luogo riservato esclusivamente a Gesù è ben differente che farlo a casa propria o in un altro posto differente, perché solo in determinati luoghi espressamente consacrati a questo vi è la presenza certa, effettiva e sostanziale che si riscontra nel tabernacolo: il Corpo di Cristo che ci attende continuamente e resta sempre a disposizione del nostro raccoglimento e della nostra volontà di intimità divina propriamente cristiana. E anche in questo si esprime la comunione di tutta la Chiesa. |