Omelia (24-05-2009) |
don Daniele Muraro |
La musica e il canto "Ascende il Signore tra canti di gioia!" abbiamo ripetuto come versetto del salmo fra le letture. Il salmo è il numero 46 e va letto in collegamento con il precedente 45. Nel salmo 45 di fronte all’assalto di un nemico straniero l’autore aveva detto che Dio è capace di scendere dal cielo e intervenire. Nel salmo 46 lo stesso salmista descrive il ritorno vittorioso del Signore in cielo: tutti i popoli sono invitati a festeggiare Dio di Israele cantando inni in suo onore. Il potere di Dio si estende su tutta la terra, ma la sua dimora sta in alto, nel cielo, dove Egli trova assiso come su di un trono. Il salmista precisa anche un centro geografico che per così dire collega cielo e terra: si tratta di Gerusalemme con il suo tempio, e lì sono invitati a radunarsi i capi dei popoli. Larghezza, altezza e centro, queste tre dimensioni spaziali le troviamo in tutte le letture di questa solennità dell’Ascensione, e riguardano Gesù e i suoi discepoli. Dopo quaranta giorni di ripetute apparizioni Gesù si stacca definitivamente da quelli che lo conoscevano e che Lui aveva radunato, e viene elevato al cielo. La scena si svolge poco fuori Gerusalemme, sul monte degli Ulivi. Di più il racconto non ci dice se non che una nube sottrasse il Signore alla vista di quelli che l’avevano accompagnato. Esiste dunque una dimensione verticale, al di sopra di noi, propria di Gesù seduto alla destra del Padre. Si parla anche di una dimensione orizzontale, ed è quella della missione che Gesù affida ai suoi discepoli nel momento del congedo. La sua larghezza abbraccia il mondo intero: "dappertutto" si dice, "fino ai confini della terra". Non manca nemmeno il centro di questo movimento e si tratta sempre di Gerusalemme: "mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa, e (solo dopo) fino ai confini della terra". Per questo la "Città santa" conserva un valore tutto speciale per noi cristiani, ce lo ha ricordato anche il recente viaggio di papa Benedetto. Come in un cono di luce Gesù salito al cielo illumina tutta la terra. Per fare questo però Egli ha bisogno della collaborazione dei suoi Apostoli. In certe raffigurazioni dell’Ascensione il pittore coglie il momento in cui la nube nasconde agli occhi degli astanti il Signore già elevato in alto. Solo i suoi piedi rimangono visibili: fino a quel momento è stato Gesù a camminare avanti a loro, d’ora in poi sarebbe toccato ai discepoli ciascuno per conto proprio di mettersi in cammino. Oltre a Gesù e ai discepoli nella scena intervengono anche due angeli che ammoniscono gli spettatori ancora intenti a guardare in su: "Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo". Salendo al cielo Gesù ha mutato condizione e non tanto luogo: è tornato da suo Padre, ma Egli non è lontano da ciascun uomo e in particolare da chi crede in Lui. Anzi, se Gesù con il suo corpo mortale poteva essere solo in un posto, ora per il fatto che Egli è entrato nella eternità di Dio Egli può essere vicino a tutti contemporaneamente. La prova ce l’abbiamo nelle due frasi messe una dopo l’altra in conclusione del Vangelo: "Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto", ma non finisce qui perché nel frattempo "il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano." Il fatto che il Signore sia salito al cielo, non ci autorizza dunque a non pensare più a Lui, piuttosto anche noi siamo impegnati a raggiungere la misura della sua pienezza. Ce dice san Paolo in conclusione della seconda lettura. La dimensione orizzontale della missione non deve mai far dimenticare quella verticale. Solo chi è unito al Signore tramite una preghiera intensa e prolungata può essere un suo valido testimone. Il ricordo del Signore perciò non è mai fuori posto, né la preghiera rivolta a Lui, anche quella solenne che si serve della musica e il canto. Infatti è proprio quando ci rivolgiamo a Dio cantando che la nostra preghiera acquista più vigore. Come si ricordano le ammonizioni prima del Santo cantando noi ci uniamo ai Cori degli Angeli. Con il canto la preghiera acquista un'espressione più gioiosa, l'unità dei cuori è resa più profonda dall'unità delle voci, gli animi si innalzano più facilmente alle cose celesti, e tutta la celebrazione prefigura più chiaramente la Gerusalemme del cielo. Nel canto i fedeli esperimentano una esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell'intervento salvifico di Dio. Il canto nella Messa non può essere delegato solo al Coro. Un Coro ben preparato ha la funzione di trascinare l’Assemblea nella lode di Dio attraverso l’armonia delle voci. Il canto e la musica in chiesa non possono mai ridursi ad una mera esibizione di bravura fine a se stessa. Non dobbiamo dimenticarci che siamo ancora in viaggio, verso quella pienezza di cui dicevamo prima. Sant’Agostino a questo proposito ha delle espressioni che non possono non colpire chi sulla terra si sente tuttora in cammino verso la patria del cielo: "Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità... Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina." |