Omelia (01-06-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
Ascensione: il nostro oggi e il nostro domani

Tutte le volte che mi capita di andare in vacanza dai miei (il che capita solo due o tre settimane all'anno) allorché mi capita di rivedere parenti e amici che da molti anni non avevano avuto occasione di incontrarmi non posso fare a meno di riscontrare il loro entusiasmo e la loro contentezza per la mia presenza. E ricordo anche quando, dodici anni fa, decidevo di lasciare il mio paese d'origine per intraprendere a Roma il cammino formativo verso il sacerdozio nell'Ordine dei Minimi: sebbene i miei e altri fra parenti e conoscenti fossero convinti della necessità della mia partenza per la realizzazione dei miei progetti, non mancarono di mostrare senso di smarrimento e di "vuoto" a motivo della mia dipartita, soprattutto perché capivano appunto che la vita religiosa mi avrebbe tenuto quasi sempre lontano da casa.
Ebbene, credo che in fondo proprio questo avvertivano gli apostoli nel constatare che Gesù ascendeva al cielo: essi erano convinti che il loro Signore, sia pure sotto modalità differenti, sarebbe comunque stato con loro fino alla fine del mondo, così come aveva annunciato (Mt 28, 19) e tuttavia erano stati catturati dallo sconforto e dal senso di solitudine e di disorientamento. Fino a quando la rivelazione angelica non risolleva il loro animo con la comunicazione del ritorno futuro di Gesù: "Tornerà, così come lo avete visto salire al cielo".

Secondo alcuni studiosi, proprio l'aspettativa del ritorno di Gesù avrebbe inizialmente motivato lo slancio missionario degli apostoli nell'opera di evangelizzazione: si pensava insomma nei primi tempi che il ritorno del Signore nella maniera visibile fosse realtà imminente e pertanto si era tutti spinti nell'attività missionaria; in tutti i casi, la prospettiva della seconda venuta fu certamente motivo di gioia degli apostoli, nel momento in cui l'angelo dava loro tale notizia.
La fede ci insegna che infatti Cristo tornerà nella gloria per la gioia di quanti hanno creduto in lui, anche se su questo ritorno visibile nessuno può congetturare date o scadenze di tempo; questo tuttavia non vuol dire che gli apostoli furono animati e rincuorati "soltanto" dalla consolazione che un giorno lui sarebbe tornato: superato lo sgomento iniziale, cominceranno a considerare che l'ascensione di Gesù non avrebbe comportato affatto la sua assenza ma che anzi avrebbe sottolineato la Sua vicinanza in mezzo a loro.
Infatti, che cosa vuol dire Ascensione? Semplicemente che Gesù fa ritorno verso la completa dimensione della divinità, essendo assiso assieme al Padre e allo Spirito Santo e che la sua umanità non è smentita ma assunta nella gloria, il tutto compendiato nelle parole di San Paolo: "Che cosa significa "asceso" se non che prima "discese"? (I Cor); e questo lo qualifica come Dio e re di tutto l'universo... Un Dio e re che sarà sempre con noi, partecipando delle nostre vicende e delle nostre sofferenze, così come delle nostre gioie ed esultanze. Un Dio e re che attraverso i sacramenti dispenserà –proprio lui- la sua grazia e potenza salvifica a ciascuno dei credenti, comunicando il coraggio, la forza e la costanza nella prova.

Per questo l'Ascensione non deve costituire motivo di dubbio e/o perplessità intorno alla sua presenza, ma piuttosto è un'occasione unica per la quale noi si possa essere inculcati di coraggio e sicurezza di spirito: i problemi del nostro quotidiano, le nostre angosce giornaliere, le delusioni, gli insuccessi e le mancate realizzazioni... a chi affidare tutto questo se non a Colui che, morto e risorto ha promesso e adesso dimostra di accompagnarci nella nostra storia?
In situazioni di precarietà e di sconcerto come la malattia, il dolore, la solitudine a cui tanta gente è costretta, la titubanza e la paura nell'incamminarci verso i propositi futuri, questo dovremmo tenere presente: Gesù è in mezzo a noi e ci invita alla calma, alla riflessione, alla pazienza e alla perseveranza! In più, in forza dello Spirito Santo ci offre anche il discernimento e la capacità di conseguire tutte queste virtù. Non ha forse lui stesso sperimentato l'abbandono del Padre sulla croce, pur sapendo che Questi non lo aveva affatto lasciato solo? E non è per caso risorto, dopo la morte di croce, sempre in virtù della presenza benevola e salvifica del Padre?
Certo, tu non vedrai il Signore accanto a te così come si vede tuo marito o tuo fratello (ossia in modo tangibile ed immediato) ma se nella prospettiva della fede e della speranza aprirai il cuore a Lui, certamente noterai la sua continua presenza... Come potremmo del resto esercitare le suddette virtù teologali (fede e speranza) se Cristo ci comparisse materialmente di fronte tutte le volte che lo invochiamo o se in modo prodigioso soddisfacesse nell'immediato tutte le nostre richieste?
Meglio invece progredire nella perfezione umana e spirituale affrontando ogni sorta di prova nella consapevolezza di essere assistiti da un Dio-Uomo dalla presenza attuale impossibile a verificarsi in via sperimentale ma senz'altro indubbia e consolante!
In più, la certezza di cui agli inizi non è affato smentita: Egli ritornerà nella gloria nella forma visibile... E questo non può che farci ravvisare che in Cristo risiede anche il nostro futuro. Mai averne paura! Anche quando questo dovesse mostrarsi come un grosso punto interrogativo o come un'atroce incognita: se Cristo tornerà, vuol dire che Lui è il futuro dell'uomo e non solo nel senso della fine dei tempi, ma anche per quello che riguarda l'avvenire e tutti i nostri "domani" che Lui ben conosce e predispone per la nostra realizzazione...