Omelia (21-06-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il suo sonno? E' solo un annuncio al coraggio Eliu aveva già rimproverato Giobbe per la sua tracotanza nel voler giudicare il Signore collocandosi quasi al suo posto. "Perché ti lamenti di Dio, se non risponde ad ogni tua parola?" Dio parla in un modo o in un altro, ma non si fa attenzione." Gli aveva detto il giovane amico che interveniva per ultimo nel dibattito (Gb 33, 13 – 14). Adesso invece è lo stesso Signore che parla a Giobbe "dal mezzo del turbine" per affermare la sua potenza e la sua signoria sconfinata e per rivelare a Giobbe la differenza fra i piani di Dio e le aspettative dell’uomo. In un certo qual modo Dio si atteggia con Giobbe come Eliu, cioè lo invita a riscontrare la sua presenza e il suo messaggio in ogni circostanza, anche nelle occasioni particolarmente difficili e ostili, quando sembra che Dio lo abbia abbandonato. Si, perché nel corso della nostra vita, non importa quanto spiritualmente fondati e motivati possiamo essere, non mancano mai le circostanze nelle quali avvertiamo come l’impressione che Dio ci abbia abbandonati, specialmente quando le difficoltà ci assillano e siamo combattuti in noi stessi a motivo dei contrasti che siamo costretti a sopportare. Almeno una volta sarà capitato a tutti di mettere in discussione l’amore di Dio e la sua bontà, soprattutto quando eravamo soggetti ad ingiustizie, soprusi e cattiverie di altrui provenienza o eravamo vessati da visite sgradite ed impreviste come lutti e malattie, che ci portavano a dubitare: " Ma perché a me e non ad altri che lo meriterebbero?". Perché de ve soffrire sempre il giusto e il perverso sempre avere la meglio? Perché siamo costretti a lottare e ansimare contro situazioni insostenibili in famiglia o sul lavoro, mentre ad altri, per di più avulsi dalla vita di fede e di speranza, tutto sembra procedere senza fastidio alcuno? Sono domande legittime che spesso ci poniamo e che hanno interessato anche non pochi uomini della Bibbia. Il Quoelet e lo stesso Giobbe, che osa sfidare il Signore per le sue calamità, ne sono solo un minuscolo saggio. E anche i discepoli di Gesù sono tormentati da questo interrogativo quando, mentre imperversa la bufera, Gesù dorme saporitamente sul cuscino a poppa: "Non ti importa che moriamo?" gli obiettano concitatamente in preda al panico. Strano che Gesù dorma indisturbato nel bel mezzo di quel fortunale che ha scosso ripetutamente l’imbarcazione minacciando di ribaltarla e provocandone l’allagamento.... I suoi discepoli lottano contro il vento e le intemperie, trattenendo a stento la barca sulla chiglia e Gesù dorme saporitamente. E’ evidente che il suo sonno non è casuale o fatalistico, ma tende ad una sana pedagogia nei loro confronti, perché atto a saggiare la costanza della loro fede in lui, la loro speranza e perseveranza anche nelle circostanze della assenza diretta. Il suo atteggiamento verte ad educare i discepoli alla lotta e all’utilizzo delle proprie forze, perché se è vero che Dio ci aiuta ciò non vuol dire che si sostituisce a noi togliendoci le castagne dal fuoco e in ogni caso ha l’intenzione di risvegliare nei suoi la certezza che la sua presenza è veramente continua ed efficace, anche quando le circostanze dimostrano il contrario. Dopo che il Maestro sarà risorto avverrà che Egli assumerà la pienezza della gloria divina per sottrarsi alla loro percezione sensoriale (Ascensione); i suoi discepoli dovranno abituarsi alla sua assenza fisica, tattica e materiale e percepire la sua presenza invisibile attraverso altri segni visibili e comunque sempre nell’ambito della fede e dell’abbandono fiducioso, specialmente in tempi ostili di persecuzione; ma come potranno assumere siffatti parametri di percezione se non si saranno abituati già sin d’ora a percepire la sua presenza sotto altri aspetti che non siano circoscritti alla materia e alla sensorialità? Occorre che i discepoli – tutti, anche quelli dei nostri giorni – si industrino nel fervore di una fede in atto che non si appoggi su eccessive certezze e sicumere come la presenza fisica e tattile del Signore ma che proceda non senza il concorso delle nostre forze, della nostra stessa fatica e la capacità di vedere il Signore anche laddove sembra che non lo si possa trovare. Proprio come dice Eliud: Dio parla sempre anche se non sempre nella stessa procedura, quello che occorre è prestargli attenzione. Il sonno di Gesù invita a riscontrare insomma la sua presenza attiva e indubbia anche quando essa non risulti immediatamente evidente, anche quando dovesse sorgere il dubbio sulla sua assistenza o addirittura sulla sua inesistenza: non sono rare le occasioni in cui il dubbio ha la meglio sulla fede e in cui la sfiducia e lo scoraggiamento prendono il posto della gioia e della speranza, questo soprattutto quando l’angoscia ci opprime, la solitudine ci avvince nella difficoltà e l’insuccesso sembra prevaricare sulle conquiste immeritate degli altri. Sono i casi tipici di chi è costretto, ad esempio, a soffrire l’assillo dell’assistenza del figlio o di un genitore autistico, infermo Dio mente o ridotto all’insufficienza motoria, mentre gravano i debiti, le entrate sono irrilevanti e non ci si può concedere una distrazione o uno svago; di chi si trova, lui da solo, con il minimo della pensione o del salario a dover mantenere l’intera famiglia compreso il figlio portatore di hanicap o altro parente ridotto allo stato vegetativo; di chi improvvisamente perde il lavoro, unica risorsa di mantenimento, mentre i figli studiano e la moglie non percepisce sussidio; di chi è costretto a subire i torti dei superiori senza possibilità di reazione... Per non parlare delle situazioni di fame, di miseria e di abbandono che colpiscono migliaia di vittime tutti i giorni e altri contesti nei quali, inspiegabilmente e senza alcun preavviso anche giovanissime vite umane vengono stroncate. E non di rado proprio in quei nuclei familiari in cui si vive la bontà, la mansuetudine e il timore di Dio... Queste e altre vicende ledono lo spirito e corrompono l’animo togliendo lo spazio alla tranquillità e alla concentrazione, quindi la disperazione conduce alla domanda "ma dov’è Dio?"; "Non gli importa che moriamo?" Eppure è proprio questo il terreno in cui va maggiormente alimentata la costanza della nostra fede e in cui si chiama in causa la nostra adesione spontanea e fiduciaosa nella preghiera e nella serenità: nel saper scorgere la presenza del Signore nell’abbandono al suo amore e alla sua bontà mentre Questi continua a crocifiggersi con noi mentre siamo tentati di abbandonare il campo, avendo anch’egli peraltro gridato "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?"; Il torpore di Gesù a poppa è la garanzia che nonostante il Signore ci sembri avulso e indifferente, in realtà sostiene la nostra lotta a mani nude, pronto a scongiurare i nostri pericoli e disagi proprio come quando sgrida il vento, il mare dominando tutti i fenomeni cosmici e atmosferici. Se il mare infatti esprime la varietà della vita e la multiformità delle nostre esperienze, il dominio di Gesù sulla tempesta rievoca la garanzia che Lui è sempre dalla nostra parte, anche se non di rado ci invita alla tenacia e alla costanza e che non lascia nella solitudine chi tutto affronta nel suo nome e nella forza che da lui scaturisce. |