Omelia (14-06-2009) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura del Prof. Gigi Avanti Non è sempre facile trovare delle situazioni dell’esistenza che abbiano dei corrispettivi negli episodi di vita narrati dai vangeli, specie se questi ultimi hanno carattere di unicità... come nel caso dell’ultima cena. Quando si trovano è perché si vuole ricavare da tale confronto qualche dritta per camminare senza troppo inciampare sulla strada indicata da Gesù. Anche nel caso del vangelo di questa domenica, conosciuta da tutti come Festa del Corpus Domini, il confronto tra l’esperienza che vive Gesù insieme ai suoi nella circostanza dell’Ultima cena e le nostre esperienze di feste e di cene, non evidenzia immediatamente delle significative analogie che pur tuttavia, ad una attenta confrontazione, esistono. E si possono trovare, queste analogie, semplicemente "leggendo" l’episodio narrato come "metafora" dell’intera vita. Ad esempio, tenendo conto di questo "accorgimento interpretativo" e volendo estrapolare dall’insieme del racconto qualche dettaglio, risalta la conosciutissima figura del "guastafeste". Espressione, quella di "guastafeste", in grado di cogliere una situazione della realtà sufficientemente diffusa. Una figura, quella del "guastafeste", antipatica e da evitare (è il caso di Satana che entra nel cuore di Giuda)... ma che, nel racconto dell’ultima cena, ha anche l’altra faccia, quella simpatica e da seguire... (ed è il caso di Gesù). Sì, perché Gesù, quel giovedì sera a cena, si comporta veramente come un "guastafeste"... Dopo averla minuziosamente preparata ed avviata se ne esce con discorsi spaventevoli e di cattivo gusto ("uno di voi mi tradirà"..."quello che devi fare, fallo subito"...), fa presagire scenari di morte, compie azioni di cattivo gusto per il contesto di una cena festosa (lavanda dei piedi ... sudaticci e maleodoranti)... Insomma cosa aveva in mente di insegnarci, quella sera a cena, avendo voluto fare il "guastafeste"? Tante, tantissime cose... Magari voleva insegnarci a vivere l’intera vita alla maniera di una festa, ma non come noi intendiamo di solito il fare festa. Il fare festa (vivere la vita...) indicato da Lui, infatti, comporta di averlo come ospite fisso... a capo tavola, comporta di conversare familiarmente con Lui, comporta di nutrirsi di ogni parola che esce dalla sua bocca e dal momento che la parola si è fatta carne e poi pane, comporta di nutrirsi di Lui trasformato in cibo per l’anima. Che distanza dalle nostre maniere di fare festa...e di vivere la vita! Magari voleva insegnarci che se la gioia vuole essere il cuore della festa, la gioia di vivere consiste nel non abbuffarsi egoisticamente pensando soltanto a riempirne il proprio piatto, ma consisterà nell’ adoperarci concretamente a servirla a coloro che ci stanno accanto. Magari voleva insegnarci che il cosiddetto servizio, la cosiddetta "carità" è scomoda da esercitare, e che non si fa da seduti, bensì chini davanti al fratello...magari addirittura chini davanti a quello per il quale si nutre meno inclinazione... Magari voleva insegnarci a non illudersi che si possa fare festa o vivere la vita "laicamente", o impegnarsi a voler migliorare le condizioni di vita dei più sfortunati a prescindere da Lui. Infatti in un'altra circostanza già aveva avuto modo di dire "Senza di me non potete fare niente!" Magari voleva insegnarci a tenere alta la guardia perché il "nemico" trova sempre il sistema per turbare il nostro cuore e per fiaccare la nostra anima, anche nel bel mezzo di una situazione normalissima come quella di una cena tra amici... insinuando dubbi, ammiccando, deridendo la nostra fede... Magari voleva farci capire che la vera festa sarà quando siederemo a tavola per non rialzarci più per sparecchiare...finalmente a tavola dove gusteremo la vera specialità della vita dal forte sapore d’amore... E i posti a sedere saranno tutti numerati perché Papà ama tutti i suoi figli e sarà bello vederlo aggirarsi tra i tavoli imbanditi con il suo dolce sorriso quando ci riconoscerà uno per uno... magari ammiccando di tanto in tanto a Mamma. |