Omelia (28-06-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Fra magia, fede e miracoli. Anche se la conclusione del v. 15 è poco felice nel senso che si vuole intendere, il cap. 38 del libro del Siracide è quanto mai attuale e significativo: "Onora il medico come si deve secondo il bisogno; anch'egli è stato creato dal Signore. Dall'Altissimo viene la guarigione, anche dal re egli riceve doni. La scienza del medico lo fa procedere a testa alta, egli è ammirato anche tra i grandi. Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza. Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele" (Sir 38, 1 – 4; 6 – 7). Dicevamo, il brano è molto attuale soprattutto perché ai nostri giorni non è affatto raro che si ricorra a fattucchiere, maghi ed esorcisti al presenziare del minimo disturbo insignificante o di malattie che potrebbero trovare soluzione semplicemente con l’intervento della scienza medica. Anche nell’ambito della vita ecclesiale ci si rivolge ai sacerdoti, specialmente a quelli dotati di carismi e di particolare tatto e condiscendenza, per ottenere ad ogni costo la guarigione da un’infermità mentale fisica propria o di altri, omettendo opportuni ricorsi al medico o allo specialista competente credendo di poter trovare soluzioni semplici e immediate ai propri problemi; ci si affida anche ai pranoterapisti e ai magi, agli inovini e non rara è anche la divinazione pur di trovare sollievo ai comuni assilli di natura psicologica e senza per nulla voler colpire i movimenti carismatici cattolici, non è raro il caso che determinati gruppi pentecostali siano di fatto frequentati da chi cerca solo illusioni e fughe alienanti in conseguenza anche di disturbi psichici. Si confonde non di rado la religione con la superstizione e c'è anche chi si "rifugia" nella preghiera e nella prospettiva della religione per fuggire l'impegno delle cure terapeutiche senza considearare che in molti casi la sola limitazione alle pratiche religiose senza il ricorso alle cure mediche può comportare un ulteriore aggravio per lo stesso disturbo. Come afferma invece il suddetto passo del Siracide, a guarire dai nostri mali e dalle nostre infermità è certamente il Signore e a Lui solo si deve il dono della salute e l’esasperazione della scienza non è mai vantaggiosa, come pure insulsa e meschina è la presunzione di autosufficienza di certi periti in campo sanitario; ciò però non pregiudica la legittimità, e non di rado la necessità urgente della medicina, soprattutto perché proprio questa è lo strumento con cui Dio opera ordinariamente le nostre guarigioni e prorpio la scienza è il luogo in cui Dio, nell'ordinarietà ci viene in aiuto, quando questa venga praticata secondo determinati canoni di eticità e nel vero perseguimento del bene dell'infermo. Ad infondere sapienza, scienza e prudenza ai nostri medici (per chi ci crede) è infatti lo Spirito Santo che è anche l’artefice fondamentale delle nuove conquiste della scienza e della tecnica nelle singole intuizioni e nelle conclusioni dei periti. Dio guarisce attraverso la competenza e la retta coscienza dei medici e occorre pertanto ricordare a noi stessi, fra le altre cose, il grande rapporto di reciproca intesa che può concorrere fra la scienza e la fede ciascuno nel proprio ambito di competenza ma nel rapporto di vera simbiosi nel raggiungiemnto dell'obiettivo del bene dell'uomo. Ci sono dei casi, però, in cui Dio interviene direttamente attraverso procedure straordinarie come i miracoli. Una di queste è quella descritta dall’evangelista Marco nella liturgia odierna a proposito della donna emorroissa: di tutti i 27 episodi miracolistici raccontati dagli evangelisti 14 sono relativi alle guarigioni; di questi ultimi il presente episodio è forse l'unico in cui si descrive nei dettagli il previo ricorso di un miracolato alle cure dei medici: anche se con la conseguenza di risultati sempre più disastrosi e deprimenti, questa donna per 12 anni si era affidata ai periti e l'emorragia non si era affatto placata. Adesso, avendo sentito parlare di Gesù, ha la certezza che, solo toccando il suo mantello, otterrà la guarigione. Secondo alcuni critici il fenomeno con cui avviene la soluzione dell’atrocissimo dramma di questa donna ha del portentoso tipico dei comunissimi magi e taumaturghi che anche all’epoca di Gesù popolavano la zona, soprattutto per quella strana "forza" che esce da Gesù non appena viene toccato. Si tratterebbe secondo alcuni di un portento straordinario dell'occulto che non distinguerebbe Gesù dagli altri taumaturghi di tutti i tempi. In realtà il concetto esprime la potenza di Dio di cui il Figlio è ricolmo e di cui fa dono ad altri. Per farla breve, Gesù si accorge che qualcuno, chissà chi, ha avuto fede in lui come nel Dio Signore onnipotente e ne ha subito le conseguenze benefiche. Ed è proprio questo che fonda la differenza fra la magia e l’intervento miracoloso di Gesù: la fede. Questa donna, dopo l’inutilità dei continui consulti medici, si abbandona a Gesù riconoscendolo come il Signore della vita e della salute fisica e morale, che ha potere sul male e perfino sulla morte e che nelle parole e nelle opere mostra la misericordia del Padre; ragion per cui (altra differenza che in tutti gli altri racconti di miracoli) non è neppure necessario interloquire con lui: basta toccare la frangia del suo mantello: l’onnipotenza di Dio e la misericordia di Dio prescindono anche dalla nostra presenza al suo cospetto e anzi nella fede siamo certi che il Signore stesso presenzia lui per primo, pronto ad intervenire a nostro vantaggio. La fede è la virtù caratteristica propria di chi riconosce il Signore in ogni circostanza della propria vita e si abbandona al suo volere, sottomettendo tutto se stesso con l’ossequio dell’intelligenza e della volontà, vivendo la sua Parola, senza porre limiti alla sua misericordia; essa è il dono che Dio stesso ci ha elargito e che noi coltiviamo che ci permette di individuare la sua presenza in tutte le circostanze della vita anche attraverso esperienze che ci sono ostili o avverse. La fede è la caratteristica propria di chi non dispera ma si da alla speranza e all’abbandono fiducioso, confidando sempre nell’interveto risolutore di Dio. Tutto questo però senza omettere di attribuire alla ragione e al buon senso il dovuto spazio che ad essi competono e allontanando ogni sorta di ingenuità e di bigottismo labile e inconcludente: Dio nei nostri riguardi può anche l’inverosimile, ma sempre quando la nostra fede, anziché fuggirle, tenda ad assumere coraggiosamente le sfide e le lotte comuni della vita ed è solo in conseguenza di questo che si può sperare nel miracolo: esso avviene infatti in conseguenza di una fede reale e provata. Procacciare invece un prodigio come unica e immediata soluzione ai nostri mali, eludendo l'impegno e la lotta del vero discepolo e miscononscendo il valore del realismo e della razionalità rischia solamente di condurci alla mera idolatria illusoria e inconcludente. Che differenza vi sarebbe infatti fra la fede in Dio e le pratiche magiche e occulte quando ogni cosa potesse risolversi attraverso miracoli e interventi prodigiosi? Dove avremmo noi i nostri meriti e le nostre ricompense e dove mai potremmo esercitare la virtù e la costanza se dovessimo pretendere che malattie, indigenze e le precarietà di ogni ordine avessero la loro soluzione nei fenomeni soprannaturali? Non sarebbe troppo piatta e incolore la nostra vita quando vi fosse immediatezza nell’adempimento divino di ogni grazia di cui facciamo richiesta? Certo, il nostro Dio può ogni cosa, ma il senso di ogni miracolo va ricercato nelle parole conclusive che Gesù rivolge all’emorroissa risanata: "La tua fede ti ha salvata", espressione che si ripete anche a proposito di altri interventi gesuani di guarigione. Il capitolo 11 della Lettera agli Ebrei esalta la fede come "fondamento delle cose che si sperano, prova di quelle che non si vedono" ed enumera una lunga serie di avvenimenti tipici della Scrittura nei quali tale virtù ha sempre offerto conseguenze vantaggiose per chi l’ha esercitata. Si tratta però sempre della fede indiscussa nel Dio che la Bibbia proclama fautore della storia e della vita che "non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano" (Sap 1, 13 I Lettura), che tutto sostiene nell’essere motivato dal solo Amore e che pertanto padroneggia anche la morte, come nel caso della fanciulla dodicenne risuscitata alle parole "Talità Kum", nelle quali Gesù prefigura la vittoria definitiva della sua resurrezione, manifestando ancora una volta l’evidenza della realtà del Regno nella concretezza dell’amore di Dio Padre. Questo secondo miracolo a cui assistiamo rievoca episodi come quelli della fede della vedova di Zarepta che ottiene la resurrezione del proprio figlioletto per aver riconosciuto in Elia il profeta araldo del Signore (1 Re 17, 10 - 24) o della Sunamita il cui pargoletto viene richiamato alla vita da Eliseo, anchéegli inviato messaggero dal Signore (2 Re 4, 8 - 37); in questo caso però è Gesù Via, Verità e Vita che mostra la propria affermazione indiscussa sulla morte perché la vita abbia sempre la prevalenza. E ancora una volta garantendo che la fede (Giairo) ha le sue debite ricompense. |