Omelia (05-07-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
"Ascoltino o non ascoltino... In patria o fuori casa, noi annunciamo!" La persecuzione dei cristiani è un fenomeno che si constata, sotto vari aspetti, anche ai nostri giorni. Dai vilipendi delle chiese cattoliche in Oriente che vengono distrutte o date alle fiamme, alle carcerazioni di vescovi e di sacerdoti nei paesi ideologicamente ostili al cristianesimo, fino ai barbari assassinii di missionari, suore e religiosi nei paesi in cui vige l’integralismo e l’intolleranza religiosa, l'odio religioso nei confronti di tanti nostri fratelli assume rilievi simili a quelli della prima cristianità. In determinate nazioni il solo essere cristiani comporta disagio, costringe alla clandestinità e rende oggetto di persecuzione; questo specialmente quando la testimonianza e la radicalità evangelica apporta i suoi risultati nella conversione di nuovi neofiti. Ma come osservava tempo addietro la nota di un vescovo, la persecuzione anticattolica non si verifica solamente nelle culture estranee alla nostra, ma va interessando sempre più anche l’Occidente e le nostre aree geografiche e anche l’Italia è interessata ai nostri giorni da uno spietato anticlericalismo che si riscontra soprattutto nei fenomeni della propaganda atea (vedi i famosi manifesti sugli autobus) e della compagnia dello "sbattezzo", fenomeno quest’ultimo che sta avendo non pochi consensi visto che nelle Curie Diocesane è notevole il numero delle richieste di annotazione di misconoscimento del proprio battesimo e della fede cattolica. Basta frequentare un attimo (come a volte fa il sottoscritto) i blog e i siti non confessionali o sedicenti "neutrali" per notare che molto spesso la materia della religione e della spiritualità si riduce alla critica e alle insinuazioni nei confronti del papa e dei vescovi, non di rado sui argomenti banali e con motivazioni ridicole e insignificanti: c’è chi desidererebbe addirittura che la Chiesa taccia e non si esprimesse su determinati argomenti, avanzando scuse inconsistenti e immotivate come quella della presunta ingerenza ecclesiastica, dimentico che la libertà di espressione e di pensiero è uno degli imperativi propri della stessa laicità. Perché questo fenomeno di anticlericalismo e di spietatezza anticristiana? Ammettiamolo apertamente: non sono stati pochi i casi in cui da parte di noi clero e di fedeli impegnati e convinti vi siano state incoerenze fra il Credo professato e la sua messa in pratica nella testimonianza di vita; non di rado vi è stata anche non poca ipocrisia da parte nostra nell’annunciare un messaggio che non abbiamo puntualmente reso credibile con i fatti e non sempre vi è quel fervore di carità e di amore verso il prossimo che dovrebbe caratterizzare la nostra vita, essendo la carità la nostra fede in atto (Rm 13, 10). Non sono stati rari i casi in cui, in determinati nuclei familiari, vi sia stata una grande esasperazione nell'inculcare valori etici e cristiani con eccessiva esagerazione, al punto che essi sono stati subiti anziché assimilati con convinzione e questo ha condotto a una rivalsa nei confronti di tutta la Chiesa. Tuttavia ad animare tale accanimento contro i cristiani è soprattutto un certo "fastidio" che determinati messaggi incutono alla parte non credente, soprattutto quando questi acquistano consensi all’interno della massa: la malcelata volontà che abbiano riscontro sul sociale i soli propositi laicisti, il desiderio che solo determinate scelte vengano messe in atto indipendentemente dall’etica e dalla cultura religiosa e il sottaciuto timore che certi enunciati pontifici possano incidere sulla collettività inducono ateisti e anticlericali alla protesta e alla riprovazione contro chi non fa altro che esprimere il proprio parere relazionandosi al Vangelo e alla Tradizione. Insomma si tratta di una sorta di vigliaccheria e di intolleranza che si traducono in un fanatismo ateo miscredente equivalente a quello delle Sette e di altri movimenti religiosi. Quando un messaggio è scomodo e fastidioso e ci è di ostaocolo ai nostri propositi, qualsiasi pretesto diventa valido e legittimo pur di mettere a tacere chi lo sta proferendo, eppure proprio un laico anticlericale come Voltaire affermva "Non condivido quello che dici, ma lotterò fino alla morte pur di defendere il tuo diritto di dirlo." Questo avviene ai nostri giorni, ma avveniva anche al tempo dei profeti, della cui esperienza ci da un saggio la Prima Lettura odierna tratta dal libro del profeta Ezechiele: questi viene inviato non già ad un popolo sconosciuto dove in un certo qual modo potrebbe costituire una novità e ottenere un certo seguito, bensì al popolo di Israele, che è "di dura cervice", atto cioè al diniego e alla ripulsa delle divine esortazioni. Il profeta deve attendersi pertanto la replica, le ostilità e le avversioni di chi tenderà a combatterlo oltre che non ascoltarlo; destino questo a cui anche il povero Geremia deve sottoporsi essendo questi gettato addirittura in una cisterna per essere stato latore di uno scomodo messaggio di provenienza divina; come pure dovranno sottoporvisi gli apostoli e lo stesso Signore Gesù Cristo che, se ben ricordiamo, per un suo insegnamento subì perfino le rimostranze dei discepoli ("Questo linguaggio è duro, chi può mai comprenderlo"?), i quali lo allontanarono lasciandolo solo con i dodici. In quell’occasione, senza per nulla scomporsi né alterarsi, si rivolse a questi ultimi domandando: "Forse volete andarvene anche voi?" Rispose Pietro: "Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna." (Gv 6, 50 – 67). Sono poi innumerevoli i riferimenti evangelici che fanno cenno ai tentativi di cattura di Gesù da parte di coloro che volevano ucciderlo in seguito a un suo discorso "inaspettato" Ci si aspetterebbe che le cose vadano meglio quando si parla a casa propria, nella propria terra di provenienza, e invece come ci spiega la pagina del vangelo di oggi, le avversioni dei compatrioti sono ancora più pungenti che in luoghi sconosciuti: il profeta che reca il messaggio divino nel suo luogo di origine viene infatti ascoltato ancor meno che altrove e le sue parole vengono osteggiate più che nelle terre lontane. Quando nella formazione alla pastorale nei seminari e nelle facoltà teologiche si fa riferimento a questo passo, quasi mai lo si cita correttamente, poiché ci si esprime sempre con terminologie del tipo: " Nessun profeta è accetto nella sua patria" e simili, banalizzando così il senso reale del testo. Esso invece suona: "Un profeta NON E’ DISPREZZATO CHE NELLA SUA PATRIA e in casa sua." Il che vuol dire che un messo trova disprezzo e riluttanza PROPRIO nella sua terra di origine, più che in altri posti. La motivazione è evidente: il lavoro pastorale in altre terre, come prima affermavamo, comporterà sempre le sue pene e le sue sconfitte e non sarà esente da dolori e persecuzioni avversarie, tuttavia non resterà disperso e in un certo qual modo avrà sempre una certa incidenza: profetizzare invece fra la gente che ci conosce fin dall’infanzia, che ha seguito le tappe della nostra fanciullezza e adolescienza, che ha condiviso con noi tante cose anche intime e personali e che adesso è abituata a trattarci con familiarità, non potrà che ottenerci la conseguenza di essere osservati secondo l'aspetto della mera umanità e della posizione sociale. Proprio i nostri concittadini difficilmente prenderanno quindi in considerazione la parola del profeta che è in noi e anzi argomenti del tipo di quelli dell'evangelizzazione, come pure alla disciplina e alla normativa ecclesiastica ci verranno sempre ripudiati appunto perché proferiti PROPRIO dalla nostra bocca. Che cosa avviene, del resto, quando un maestro o un professore si mostra eccessivamente amichevole e confidente con gli alunni? Che otterrà la loro stima e la loro compagnia, che sarà da essi considerato un piacevole "compagnone", ma verrà anche deriso e sbeffeggiato tutte le volte che esrciterà il suo ruolo di insegnate. Nessuno lo prenderà sul serio come tale, appunto perché si era proposto in termini di amicizia e di apertura troppo confidenziale. Questo avviene sempre e comunque a proposito del profeta che parla in casa propria. In ogni caso, seppure le difficoltà del messaggero di divini annunci sono rilevanti, ci è sempre di esortazione e di incoraggiamento lo sprone del Signore che ad Ezechiele rivolge questa garanzia: "Ascoltino o non ascoltino, sapranno che un profeta è in mezzo a loro". L’essere combattuti e ostruiti da avversari non deve generare in noi la tendenza alla resa e all'abbandono, ma incuterci maggiore coraggio e fiducia in Chi sta lavorando in noi e in Colui nel quale dipendono i risultati della nostra missione; per cui le avversità piuttosto che monito alla rinuncia devono diventare sprone alla perseveranza e alla fiducia, anche nella consapevolezza che proprio le avversità e le inimicizie sono la prova concreta che il nostro lavoro viene svolto davvero alacremente e al contrario, l’assenza di critiche e di insinuazioni, dovrebbe preoccuparci sulla possibilità che il nostro ministero sia condotto poco adeguatamente. Le contrarietà e le persecuzioni a cui si è soggetti sono infatti la garanzia che il nostro lavoro è efficiente perché il nostro annuncio sta dando fastidio ad altri e sta comportando sdegno e scontento nei nostri avversari e questo è già il fondamento della nostra vittoria. La Parola di Dio in ogni caso non può restare incatenata. |