Omelia (21-06-2009)
don Marco Pratesi
Il mare in fasce

La breve lettura si trova all'inizio del primo discorso col quale Dio risponde alla contestazione di Giobbe riguardo al problema della sofferenza umana (38,1-40,5). Introdotto dal v. 1 (il Signore parla dall'uragano, come nelle grandi teofanie), Dio risponde facendo a sua volta domande. Il nostro brano è parte di una serie di quattro domande: la prima (vv. 4-7) riguarda la creazione della terra, la seconda (8-11, la nostra pericope) del mare, la terza (12-15) lo spuntare del giorno, la quarta (16-21) l'abisso tenebroso e la morte.
Il discorso di Dio mira nel complesso a mostrare che Giobbe - l'uomo - non ha titolo per valutare nell'insieme l'opera di Dio ed emettere un verdetto sul progetto complessivo che ci sta dietro: "Chi è mai costui che oscura il mio progetto con parole da ignorante?" (v. 2).
I quattro elementi su cui vertono le domande sembrano disposti a coppie antitetiche: terra e mare, luce e tenebra. L'uomo non ha la capacità di penetrare efficacemente la realtà né nel suo aspetto luminoso, solare, positivo, né nel suo lato scuro e negativo.
Il mare evoca per eccellenza una forza incontenibile, straripante, estranea, ingestibile, sempre sul punto di inghiottire il mondo umano e la vita. Dio però lo ha chiuso in limiti precisi e invalicabili e anzi - immagine singolare - il mare è presentato di fronte a lui come un neonato, che Dio avvolge in fasce, in questo caso molto particolari: nube e oscurità. Dio domina completamente il mare e la sua forza. Chi può dire altrettanto? "Dominare" significa afferrare e tenere in pugno, sia nel senso di comprendere che di gestire. L'uomo non ha di per sé questa capacità, e quando lo dimentica "oscura" il progetto di Dio, non in se stesso ma nella propria vita e nella propria coscienza.
Tutto ciò Dio lo ricorda a Giobbe non per opprimerlo col senso di inferiorità e imporre la propria supremazia, ma per chiedergli fiducia. L'esatta presa d'atto dei propri limiti serve per edificare il rapporto Dio-uomo su basi autentiche, veritiere. Il progetto di Dio non si limita comunque a questa pur necessaria e indispensabile umiltà, non finisce qui. Un giorno il Dio che "parla dall'uragano" si farà infante, e poi uomo che comanda al mare. Conoscienza e potenza sono sì legate, ma non come vorrebbe l'umana illusione di onnipotenza: conoscendo l'umiltà di Dio, partecipiamo al suo potere. Solo allora "sapere è potere": nell'umiltà fiduciosa il mare anche per noi diviene un neonato in fasce.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.