Omelia (07-06-2009) |
don Daniele Muraro |
Il Libro "Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te" ci ha detto la prima lettura. Sono le parole di Mosè nel deserto al popolo in procinto entrare nella terra promessa. Per Mosé, come per tutti gli antichi le cose importanti erano quelle arcaiche, non quelle recenti. Di fronte alla rivelazione di Dio però anche Mosè deve cambiare idea: "Dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra e da un’estremità all’altra dei cieli" quella era la prima volta che un Dio avesse parlato direttamente con un popolo, comunicando la sua scelta e le sue volontà. La chiamata era avvenuta sul monte Sinai in mezzo al fuoco, come dice ancora Mosè, e poi "con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso" eccetera. Da tutto questo l’assemblea del popolo di Israele doveva ricavare un insegnamento da non dimenticare: "Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro." È il fondamento del monoteismo biblico. Esiste un solo Dio, Creatore di tutto e Salvatore. Quelli degli altri popoli non sono dèi, ma vanità, frutto dell’immaginazione e in quanto sculture o dipinti opera delle mani dell’uomo. L’ulteriore novità portata da Gesù è che questo Dio pur restando unico, tuttavia esiste in Tre persone: Padre, Figlio e Spirito santo. A tutti i popoli non solo dovrà essere fatta conoscere questa verità, ma dovrà anche essere loro data la possibilità di aderirvi entrando a fare parte dell’unica Chiesa: "Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo". Dio rimane unico, il suo nome è uno solo, ma le persone sono Tre. La liturgia ce lo fa ripetere rivolti a Dio nel prefazio "Con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza." Queste espressioni provengono dal Concilio di Nicea del 325. Lì era in questione la divinità di Gesù Cristo; alcuni la negavano, come se fosse stato un angelo, per quanto il più nobile di tutti, a incarnarsi. In verità fu lo stesso Figlio di Dio a venire in nostro soccorso, Dio Egli stesso come il Padre. La disputa coinvolgeva anche la realtà della nostra salvezza: a incarnarsi e così essere uomo non fu una emanazione di Dio, un suo luogotenente, ma Dio stesso. Più precisamente i padri a Nicea scrissero così: "Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili. Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre..." Siamo familiari con queste espressioni. In sintesi sono quelle del nostro Credo che infatti si chiama Niceno-Costantinopolitano, perché riporta la dicitura di Nicea ampliata dal Concilio di Costantinopoli del 381. Da allora non è più cambiato. È stata la Chiesa dei martiri a consegnarci questo Credo. Per esso molti hanno sofferto, sono stati perseguitati e anche uccisi. Quello talvolta si recita distrattamente e tutto di corsa è un tesoro di fede e di fedeltà. Il Credo lo troviamo nel Messale ed ogni domenica è stampato nel foglietto disponibile sulle panche. Si realizza così l’antico adagio: "il modo di pregare determina il modo di credere". Se vogliamo andare in cerca di determinare quello che la Chiesa crede, dobbiamo guardare prima di tutto a come la Chiesa prega. E siccome la fede della Chiesa è unica anche il modo di pregare dovrà essere uniforme. La liturgia è il primo catechismo della fede. Ecco perché esiste un libro chiamato Messale con delle preghiere uguali per tutti, pur se tradotte nelle varie lingue locali. Le parole e i riti della Liturgia sono espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo: conformando a quelle parole la nostra mente, noi eleviamo al Signore i cuori. Attraverso i riti e le preghiere della liturgia passa l’intero flusso della fede e della tradizione. La stessa Chiesa non ha alcuna potestà rispetto a ciò che è stato stabilito da Cristo e che costituisce parte immutabile della Liturgia. I sacramenti dipendono da Cristo stesso, che li ha istituiti. In particolare troppo grande è il Mistero dell’Eucaristia perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale. Chi non ne rispettasse il carattere sacro e la dimensione universale, ma assecondando proprie inclinazioni introducesse variazioni sostanziali nel rito, priverebbe i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità. Sono tutte parole di un documento della Chiesa del 2004. L’Eucaristia celebrata è un dono che supera radicalmente il potere dell’assemblea di ottenerlo e anche la potestà del sacedote di disporne a piacimento. Come dice il Canone romano, senza nostro merito ma unicamente per la ricchezza del suo perdono, Dio ci ammette a godere della sorte beata dei santi per mezzo di Cristo nell’unità dello Spirito Santo. Anche il libro dunque ha la sua importanza nella liturgia: non per toglierci la sincerità dell’espressione, ma per favorirla. Il libro con le sue formule ci fa entrare nella corrente di una azione più grande, quella di tutto il popolo di Dio diffuso ormai fino ai confini della terra e in cammino nel tempo. Qui non è più questione di antico o di nuovo, ma di tempo ed eternità, terra e cielo, noi e Dio. Anche sotto questo aspetto, come abbiamo detto, il libro è prezioso: con le sue preghiere infatti ci indica che la liturgia è anzitutto opera divina, cioè come dicevano i padri essa è azione della Trinità stessa. Nella solennità della santissima Trinità uniamo dunque le nostre voci e le nostre menti alla preghiera di tutta la Chiesa ed espremiamo questa comunione anche usando le stesse formule e le medesime espressioni. |