Omelia (21-06-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Chi è costui ? Dopo l’ampio spazio giustamente dedicato alla celebrazione della Pasqua con quanto le si connette, riprende la liturgia del tempo cosiddetto ordinario. Una tale denominazione può trarre in inganno, facendo pensare a un tempo meno importante, a una sorta di riempitivo tra le grandi celebrazioni della Pasqua e del Natale. Non è così; anzi, il tempo ordinario, centrato com’è sulla conoscenza di Gesù, è la premessa necessaria per celebrare Natale e Pasqua con cognizione di causa, cioè cercando di conoscere sempre meglio chi è il Bambino nato a Betlemme poi morto e risorto. Sembra quasi enunciare il tema della conoscenza di Gesù, la frase conclusiva del vangelo odierno: di fronte all’ennesimo comportamento inatteso del loro Maestro, i discepoli meravigliati "si dicevano l’un l’altro: Chi è dunque costui?". Nel vangelo secondo Marco, su cui si impernia il secondo anno del ciclo liturgico triennale, l’episodio si colloca a breve distanza dagli esordi della vita pubblica di Gesù, ma già dopo fatti clamorosi: ha risanato un epilettico (per tutti, un indemoniato), ha guarito e perdonato i peccati del paralitico calato dal tetto, ciechi e zoppi e innumerevoli altri malati erano ricorsi a lui e non ne erano rimasti delusi. Eccolo ora compiere qualcosa di nuovo. Per tutto il giorno, sulle rive del lago di Tiberiade, egli ha parlato alla folla accorsa attorno a lui: tanta, da suggerirgli di rivolgersi loro da una barca ormeggiata presso la sponda; al tramonto congeda i suoi ascoltatori e dice ai discepoli di traghettare sulla riva opposta. Nel linguaggio corrente allora il lago era chiamato "mare di Galilea", anche perché del mare assume talora l’aspetto minaccioso; chi è stato da quelle parti sa che il lago, solitamente placido, certe sere è investito all’improvviso da un vento impetuoso, capace di sollevare onde preoccupanti. Anche quella volta "ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non t’importa che siamo perduti?" A quel punto, ecco il prodigio: poche parole, un gesto imperioso e "il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché avete paura? Non avete ancora fede?" Dai numerosi miracoli cui avevano assistito, i discepoli avrebbero già dovuto capire che il loro Maestro non era un uomo come gli altri; egli aveva poteri straordinari, e li usava non per farsene vanto, o per stupire, ma sempre e soltanto a beneficio di chi poteva trarne giovamento. Dunque avrebbero dovuto avere fiducia in lui, avere fede. Le sue parole sottintendono che non si deve avere paura, nelle tempeste che si scatenano dentro o intorno a noi, perché egli non abbandona chi si fida di lui. La necessità della fede è l’insegnamento essenziale di questo episodio; anche se si trovasse nella bufera, chi guarda alla vita come lui ha insegnato, qualunque cosa capiti ne salverà sempre l’essenziale, non farà mai naufragio. Chi è dunque costui? Alla domanda di quei primi discepoli si può rispondere: egli è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E, aggiunge San Paolo, se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? La salvezza assicurata a chi crede è quella essenziale, la vita eterna. Ma già in questa vita se ne hanno clamorosi esempi, in positivo e in negativo. In negativo: quante vite fanno naufragio, in mancanza di fede; quanti, seguendo vie diverse da quelle da lui prospettate, rovinano se stessi e seminano rovine intorno a sé! In positivo: quanti, fidandosi di lui, non hanno conseguito fama o ricchezza o potere, ma ugualmente hanno valorizzato al meglio la propria esistenza, colmandola di bene per sé e per gli altri. |