Omelia (21-06-2009)
mons. Antonio Riboldi
Perché siete così paurosi?

‘Non riesco a capire - mi scrive uno di tanti di voi, che avete ormai intessuto un meraviglioso dialogo di vita (ed è la cosa più bella) - come faccia lei a essere sempre tanto sereno in quello che scrive e, quando ho avuto il dono di ascoltarla, trasmettere, sia pure con la precisa visione del male che è nel mondo, spargere a larghe mani un raro ottimismo della vita. Io ogni giorno, quando inizio la mia giornata, mando a scuola i figli, li vedo crescere sempre più difficili, ho come l'impressione che all'angolo ci attenda una cattiva notizia, che mandi in briciole l'ottimismo’.
Per questa cara persona e per tutti coloro che mi scrivono chiedo sempre, nella preghiera, tanta serenità, di cui tutti hanno bisogno, come leggo nelle tante vostre lettere.
La spiegazione della paura, di questo essere sempre all'erta, come sentinelle pronte a contrastare ciò che potrebbe farci sprofondare nel timore, è nella nostra natura debole, nella nostra fragilità. Scrivevano i vescovi, dopo il Convegno di Verona, del 2007:
"In un'epoca che coltiva il mito dell'efficienza fisica e di una libertà svincolata da ogni limite, le molteplici espressioni di fragilità sono spesso nascoste, ma mai superate. Il loro riconoscimento, scevro da ostentazioni ipocrite, è il punto di partenza per una Chiesa consapevole di avere una parola di senso e di speranza per ogni persona che vive la debolezza delle diverse forme di sofferenza, della precarietà, del limite, della povertà relazionale. Gesù Cristo infatti ci mostra come la verità dell'amore sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della sofferenza e della stessa morte nella resurrezione. La vera forza è nell'amore di Dio che si è definitivamente rivelato e donato a noi nel mistero pasquale. Con la forza del Vangelo occorre diffondere una cultura e una prassi dell'accoglienza della vita, e curare forme di volontariato".
In altre parole sempre dobbiamo lasciare la certezza, in quelli che avviciniamo, che il nostro 'essere vicini' non è solo 'un modo di dire', ma è vivere la parte del buon samaritano che sa fermarsi e almeno lasciare, in chi è in difficoltà e soffre, la sensazione che non è solo, ma c'è qualcuno che si impegna a condividere il suo sforzo per ritornare alla serenità.
Quanti miracoli si possono compiere in questo senso.
Come pastore da tanti anni, con due terremoti alle spalle, Belice ed Irpinia, ho davvero conosciuta la profondità della nostra fragilità e il limite della sofferenza, e so quanto è davvero medicina il sapere che non si è soli nel superare il baratro inatteso. Ma è necessario voler 'spendere' la propria serenità. Non potrò mai dimenticare l'esperienza del Belice, subito dopo il terremoto.
Mia cura, anzi mio solo scopo della vita, fu stare vicino a tutti, cercare di fare capire che si era perso un passato, ma c'era posto per il futuro, per la certezza del grande bene della vita salvata e la speranza.
Mi accompagna sempre la storia di uno che amava definirsi 'ateo a tutto campo', definendo i cristiani che incontrava 'imbecillì. Ebbe bisogno, dopo il terremoto, di un aiuto per la sua casa in campagna... 'ma senza che lei mi dica di farmi cristiano, io non svendo la fede'. Venne tre volte, sempre ripetendo lo stesso ritornello, cui rispondeva sempre il mio sorriso. Quel sorriso, quella mano tesa per avere salva la vita fu la porta che lo aprì alla fede e divenne 'un cristiano fierò.
Ripeteva spesso Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura!" ed era il suo stile di vita ovunque si recasse. Sapeva che con lui camminava, parlava, sosteneva la fatica, Cristo, suo grande 'Pane di vità. E non fu colto dalla paura neppure dopo l'attentato.
Quelli che sanno di essere in compagnia di Gesù non si fermano nelle difficoltà. Sanno che la natura umana è fragile in tutti i sensi, ma con noi, 'sulla nostra barca, in un lago - la vita - che alterna momenti di calma a furiose tempeste, c'è sempre Dio, che a volte sembra solo 'indifferente' a tutto, 'dormendo a poppa su un cuscino'...
Ed è davvero così, per le tante esperienze vissute da pastore, quando incontro chi si trova nella tempesta.
Quello che racconta oggi il Vangelo di Marco, è un brano di vita umana di sempre:
"In quel giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: Passiamo all'altra riva. E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo, si sollevò una grande tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non ti importa che siamo perduti? Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Tàci! Calmati!: Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?
E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono? (Mc 4, 35-41).
Il richiamo di Gesù, a chi è nella bufera o nella paura, è per tutti: Non avete ancora fede?
Vorrei dire le stesse parole a quanti mi leggono e sono come spaventati dalle improvvise tempeste che si abbattono sulla vita, o in famiglia, o attorno a noi.
Come vorrei, in questo momento, essere vicino a tanti temono 'le tempeste della vità e sono smarriti, per ripetere le parole di Gesù: 'Perché avete paura?’.
E’ bello leggere la riflessione che Paolo VI fa su Gesù che affronta la sofferenza, che era il prezzo da pagare per la nostra salvezza:
"Un aspetto di chiara evidenza è la pazienza: Gesù nella sofferenza non si lascia sfuggire alcun lamento; nella sofferenza tace. Nella Sacra Scrittura Giobbe, il paziente tipico, ha delle parole estremamente amare, non sa nascondere, direi, la disperazione a cui la sofferenza lo ha portato. 'Oh, diceva, la notte nella quale sono stato generato si cancelli dalla storia!'. Gesù invece è un eroe, che non si è piegato alla sofferenza. Gesù interiormente resta invulnerabile: non si lascia schiacciare dalle umiliazioni e dalle sofferenze. É il segreto del silenzio di Gesù. Con il silenzio ha difeso la sua cella interiore proprio colui che è definito la Parola. Come nella musica la paura fa capire il brano che è stato eseguito e lo stacca da quello che seguirà, così il silenzio di Gesù mette in risalto enorme le rare parole che il Signore ha pronunciato durante la passione. Si vede la sorgente e l'interiorità del suo dolore. Gesù non lo sciupa. Gesù lo accumula, lo attrae, lo gusta fino alla fine e parla più con se stesso che con gli altri, fino a che un gemito, l'unico, qualcosa di assoluto ed estremo, inconcepibile, viene strappato dalle sue labbra: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'.
Devono essere state parole impressionanti se l'evangelista le ha voluto conservare nel linguaggio originario, nel quale Gesù si era espresso sulla croce. Gesù in quel momento sente lo strazio della sua abiezione interiore; sente che le sue due nature, umana e divina, sono lacerate interiormente. Perché Gesù soffre così? Quale lezione viene da questa estrema sofferenza?
La meditazione di questa sofferenza ci insegna la difficile arte del saper soffrire, di rendere meritevole la nostra sofferenza. Che grande cosa!".
Il dolore a volte ci fa diventare egoisti, strappa lamenti, ci rende cattivi. Gesù invece nella sua estrema sofferenza ha avuto cuore, tanto cuore per noi. Ed era il grande prezzo del dolore per conoscere la vera felicità, se si ha fede.
In un mondo di sofferenze come il nostro, forse non sappiamo fare del dolore la strada verso la serenità e la felicità, anzi rischiamo di trasformare le sofferenze, le disgrazie o le tante calamità, in un tempo di tenebre. Ma non è così.
Dobbiamo dire grazie a chi soffre con amore e come offerta, perché sono coloro che danno un altro volto al futuro, quello di Dio.
Non sono certamente gli errori e le vanità del nostro tempo a farci sognare, ma è questa immensa moltitudine che soffre, ama, si fa offerta sacrificale a Dio.
Vorrei ricordare in proposito quello che all'inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II diceva quel grande Papa buono, che era Giovanni XXIII:
"Nell'esercizio quotidiano del nostro ministero pastorale ci feriscono alle volte l'orecchio suggestioni di persone pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni essi non vedono che prevaricazioni e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto di quelle passate, è andata peggiorando e si comportano come se nulla abbiamo imparato dalla storia che è nostra maestra di vita...
A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. Nel momento storico presente, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per di più al di là delle loro stesse aspettative, si volgono verso il compimento di disegni superiori ed inattesi".
Sembra una conferma del Vangelo di oggi. Gesù, svegliato dal sonno sulla barca, dice al mare: 'Tàci! Calmati!' e il vento cessò e il Maestro, rivolto ai Suoi, a noi, muove il rimprovero:
‘PERCHÉ SIETE COSÌ PAUROSI? NON AVETE ANCORA FEDE?’.
Mi pare giusto fare nostra la preghiera del salmo 131:
"Signore, il mio cuore non ha pretese,
non è superbo il mio sguardo,
non desidero cose grandi, superiori alle mie forze:
io resto tranquillo e sereno.
Come un bimbo in braccio a sua madre,
è quieto il mio cuore dentro di me".