Omelia (21-06-2009)
don Maurizio Prandi
Le tempeste della vita

Abbiamo passato un tempo davvero lungo (tutto il tempo di Quaresima e di Pasqua) a meditare sul volto di Dio. Possiamo prenderci allora, per questi mesi estivi, il tempo per riflettere, andare alla ricerca del nostro volto. Un volto che, (ce lo dicono la liturgia di questa domenica e la parola di Dio), è come solcato da due estremi che rischiano di allontanarci da Dio e di considerare la fede come qualcosa in fondo di secondario, laterale. Questi due estremi sono il successo e la paura così ben tenuti insieme dalla preghiera Colletta: Rendi salda o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia.
E’ davvero interessante la lettura che la liturgia fa della nostra vita; non soltanto sono tempesta tutti quegli avvenimenti che potremmo considerare come negativi, ma tempesta nella nostra vita sono anche i successi. Mi viene da dire questo: il successo è tempesta perché ubriaca, esalta, ti fa pensare onnipotente, arrivato e ti fa dimenticare presenze importanti. Nel successo ci siamo noi (è soltanto merito nostro...), il risultato magari brillante che abbiamo ottenuto e cominciamo a pensare di poter fare da soli o come vogliamo noi perché soltanto così la prossima volta andrà meglio (come dire che la migliore garanzia per un buon risultato siamo noi stessi). Rendi salda la fede, perché non ci esaltiamo nel successo... rendi salda la fede, perché possiamo sentire la tua presenza costante nella nostra vita, perché anche nel successo possiamo riconoscere la tua opera e appoggiare su te la nostra vita e i nostri giorni, altrimenti confideremmo soltanto su di noi, sulle nostre forze, sulle nostre capacità e costruiremmo la nostra casa sulla sabbia.

La liturgia della Parola insiste sulle tempeste della vita e anche lì sottolinea la presenza di Dio, Dio che parla in mezzo all’uragano, Dio che in Gesù seda la tempesta. Allo stesso tempo però sottolinea anche, con quella dei discepoli, la nostra difficoltà a vedere, riconoscere questa presenza. Ci aiuta quindi ad entrare nel mare della nostra complessità, nel mare delle nostre paure. Erano un po’ ubriacati dal successo i discepoli... Tutti ti cercano... avevano appena accompagnato Gesù nella predicazione e tanti, tantissimi si erano avvicinati a Lui e a loro. Forse questo ha offuscato il loro cuore e la loro vista e la "paura di morire" ha preso il sopravvento sulla "certezza della presenza". Recentemente in un’altra omelia ho detto che la paura è l’emozione che forse viviamo con maggiore frequenza e maggiore intensità: potrebbe essere bello dirci quali sono le nostre paure.
Martedì scorso al campo scuola con i ragazzi delle superiori abbiamo provato a farlo: la paura di morire, della solitudine, di non essere all’altezza, di essere scartato, di non essere riconosciuto, visto, considerato, la paura di non farcela, di prendere una decisione, la paura del futuro, la paura di cambiare. Pensando a me, trovo che l’invito che fa Gesù ai suoi discepoli: Passiamo all’altra riva è proprio in ordine ad una novità, ad un cambiamento, ad un salto di qualità. Lo dico con le parole di don Pozzoli, passate all’altra riva, lasciate la riva della prudenza umana, delle vecchie e tranquille abitudini, avventuratevi piuttosto in terra straniera, sulla riva dell’incontro, del dialogo, dell’amore sempre più largo. Sento che quello che fa Gesù è un invito ad aprire la vita, mentre le paure chiudono questa nostra vita. Nella domanda che Gesù fa ai discepoli, leggo il volto di un Dio che, come ci racconta il vangelo, attraverso il suo angelo continuamente invita a non temere, a non avere paura... non temere Maria, non temere Giuseppe, non abbiate paura (ai discepoli durante le apparizioni pasquali)...
Rispetto alle nostre paure c’è un Dio che quando entra nella vostra vita dice sempre: non avere paura. Non avere paura perché io sono con te. Non avere paura perché tu vali per quello che sei. Non avere paura perché tu sei importante per me. Non avere paura perché io ho fiducia in te. Non avere paura perché ce la puoi fare. Non avere paura perché io ti voglio bene. Non avere paura perché come te non c’è nessuno e mai ci sarà. Non avere paura. Che differenza tra Dio e gli uomini sulla paura! Le settimane scorse dicevo che la paura è una fortissima alleata degli uomini quando sono senza scrupoli e senza valori... facendo leva sulla paura si tengono legate le persone, nei più svariati campi... Dio invece sempre invita a non temere. Per poter vivere abbiamo bisogno di parole che ci aiutino ad uscire dalle nostre paure e il primo che pronuncia queste parole nella nostra vita è Dio.
Al tempo stesso credo che abbiamo anche la grande responsabilità di imparare anche noi a pronunciare queste parole, per noi e per gli altri. Abbiamo bisogno di sostenerci reciprocamente con parole che ci facciano uscire dalle nostre paure, che rischiano ripeto, di chiudere la vita perché la paura paralizza. La paura fa scappare. La paura ti porta sempre a nasconderti. La paura ti fa arrendere. La paura ti fa rinunciare al meglio di te. La paura è un tormento. La paura ti perseguita. La paura ti fa vedere tutto come ostile e nemico. La paura fa pensare sempre al peggio. In questo senso le parole di Gesù sono davvero fondamentali per la nostra vita interiore: soltanto la fede vince la paura. Ma non in modo automatico, o meccanico, ad esempio: se faccio quel fioretto, Dio in cambio mi fa questa grazia... oppure: se vado a Messa tutte le domeniche Dio non si arrabbia con me o se faccio il bravo non mi punisce... no! Questo è un commercio da un lato ed aver paura di Dio dall’altro. Aver fede è qualcosa di diverso: è fidarsi di un Dio che sembra assente, è fidarsi di un Dio che sembra dormire, è credere che nonostante le apparenze Dio è partecipe delle nostre vicende con tutto il suo amore.