Omelia (29-06-2009)
Agenzia SIR


Siamo a Cesarea di Filippo, nell'estremo Nord, in zona pagana, il punto più lontano da Gerusalemme. Qui Gesù chiede ai discepoli, con umiltà, "chi sono io per voi?". Gesù non è in crisi di identità, vuole portare i discepoli dentro il suo mistero. È la risposta a questa domanda, infatti, che fa nascere il discepolo. Siamo al tornante decisivo del Vangelo di Matteo: Pietro – a nome degli altri – riconosce Gesù come il Cristo Messia; di più: come il Figlio di Dio. È la professione di fede cristiana, Gesù è il massimo della rivelazione di Dio poiché ne è Figlio. E Pietro, proprio per questa fede, diviene la "pietra" per fare la Chiesa come casa dei figli di Dio.

Gesù fa il primo annuncio della sua morte e resurrezione. Per la prima volta parla della croce, che è scandalo per tutti, anche per Pietro che, in certo senso si mette davanti a Gesù per cambiarne la direzione. Ma Gesù deve andare a Gerusalemme perché lì, con le sue ferite, guarirà le nostre. Per questo Gesù rimprovera Pietro e gli ordina di rimettersi al suo posto, ossia dietro a lui. Questo è il vero senso del rimprovero a Pietro: "Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". Anche il primato di Pietro si spiega e si modella su quello del Signore che è venuto per servire e dare la vita. Certo, Pietro è il primo, nel servizio, nella fede e nell'amore.

Così Pietro è origine di comunione e di unità. La Chiesa è edificata dal Signore su questa pietra. Anch'essa, come Pietro, può presentarsi inadeguata al mistero che porta dentro e dinanzi all'immenso lavoro che Dio le assegna. Se Dio si consegna alla piccolezza e alla fragilità dell'uomo è perché la fede è riposta in Lui. La Chiesa è un dono di Dio. In umiltà e pace essa accoglie tutti i limiti dell'umanità, ma l'inferno non vincerà mai contro questa roccia che, come diceva in un bellissimo commento Origene, ricorda quella "pietra" spirituale che accompagnava e dissetava il popolo di Dio nel suo cammino nel deserto verso la Terra Promessa.

Si chiude l'Anno Paolino, straordinario per la grazia della riscoperta – in tanti – di questo apostolo singolare, senza alcun dubbio il più grande missionario della storia della Chiesa. Alla fine della sua vita, dopo viaggi e peripezie, fu condotto a Roma, dove fu lasciato solo dai discepoli, alcuni erano lontani ad evangelizzare nuovi popoli, qualcun altro aveva lasciato la fede di Cristo; i cristiani di Roma terrorizzati dalla persecuzione, lo avevano abbandonato o quasi, solo Luca era con lui. Paolo presagiva ormai la fine e lanciò un commovente appello a Timoteo: "Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele... Cerca di venire presto da me perché Dema mi ha abbandonato... Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero...".

Il tribunale romano lo condannò a morte perché cristiano; fu decapitato un 29 giugno di un anno imprecisato, forse il 67, essendo cittadino romano gli fu risparmiata la crocifissione; la sentenza ebbe luogo in una località detta "palude Salvia", presso Roma (poi detta Tre Fontane, nome derivato dai tre zampilli sgorgati quando la testa mozzata rimbalzò tre volte a terra); i cristiani raccolsero il suo corpo seppellendolo sulla via Ostiense, dove poi è sorta la basilica di San Paolo fuori le Mura. Il 29 giugno 258, sotto l'imperatore Valeriano, le salme dei due apostoli furono trasportate nelle Catacombe di San Sebastiano; quasi un secolo dopo, papa s. Silvestro I fece riportare le reliquie di Paolo nel luogo della prima sepoltura dove sorge l'attuale basilica.

a cura di don Angelo Sceppacerca