Omelia (25-05-2003) |
don Elio Dotto |
Rimanete nel mio amore La parola "amore" è oggi molto usata nel vocabolario cristiano: io direi che è perfino troppo usata. C'è infatti una certa disinvoltura nel pronunciare questa parola solenne: come se l'amore fosse fin dall'inizio cosa facile e consueta per la vita di un cristiano. E invece così non è: perché soltanto alla fine della vita potrà apparire con chiarezza la verità dell'amore. Ben lo sapeva Gesù, che soltanto alla fine della sua vita parlò lungamente ai discepoli dell'amore. Infatti, le parole che ascoltiamo nel Vangelo di domenica (Gv 15,9-17) sono tratte dai discorsi dell'Ultima Cena: soltanto in quell'ultima sera Gesù volle consegnare ai suoi il grande comandamento dell'amore. Perché appunto l'amore cristiano non è verità facile e consueta: esso va lungamente preparato ed atteso nella pazienza di ogni giorno, in quelle mille forme quotidiane del rapporto umano che ogni giorno incontriamo. L'amore cristiano infatti non nasce dalle buone intenzioni e dai grandi ideali: esso può soltanto accadere nella normalità della vita quotidiana; e dunque soltanto alla fine – soltanto quando è accaduto – l'amore può essere riconosciuto come tale. Succede invece di frequente che i cristiani antepongano l'ideale dell'amore all'accadimento della vita quotidiana: e così preferiscano occuparsi dei "lontani", piuttosto che preoccuparsi dei "prossimi più prossimi". È certo obiettivamente più difficile avere cura del prossimo, e cioè del marito o della moglie, del figlio o del genitore, del collega di lavoro o del vicino di casa: è obiettivamente più difficile avere cura di queste persone che incontriamo nelle forme immediate della nostra vita. Eppure soltanto lì – con queste persone – può accadere l'amore. A questo proposito è emblematico il caso dell'amicizia. L'amicizia non è mai il frutto di buone intenzioni o di grandi ideali: essa nasce abitualmente nella normalità della vita quotidiana. Essa appunto accade: accade prima che io la cerchi; e accade come evento grato, evento che sorprende perché realizza in modo inaspettato quanto era nei miei segreti desideri. Esattamente in questo modo l'amicizia diventa anche impegno e comandamento: proprio perché all'inizio è accaduta gratuitamente essa alla fine mi richiede una dedizione gratuita. Così succede nel caso dell'amicizia. Ma pure così succede sempre nelle forme quotidiane della nostra vita. E dunque il comandamento di amare il prossimo non può essere subito interpretato come un invito a "farsi prossimi": perché prima che noi ci facciamo prossimi agli altri, gli altri sono già prossimi a noi; e lo sono fin dal principio della nostra vita, per volontà dell'unico Creatore di tutti. Appunto questa vicinanza quotidiana Gesù ci raccomanda oggi di riscoprire: esattamente come fece lui – duemila anni fa – quando al termine della sua vita «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). |