Omelia (13-07-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Un mandato di divina provenienza Se la scorsa Domenica la liturgia ci invitava ad immedesimarci nell'attività del missionario, oggi ci rivolge l'invito a prestare attenzione a "come" il missionario vada visto da parte nostra. Una vecchia canzone di P. Zezinho, sacerdote missionario cantautore, afferma: "Il Signore non mi domandò se avessi amore per Lui; semplicemente mi amò... Il Signore non mi domandò quali progetti avessi io; semplicemente mi chiamò." Con questi versi indica che la chiamata che Dio rivolge a ciascuno di noi dipende soltanto dalla libera scelta di Dio e non corrisponde alle aspettative umane, né richiede caratteristiche impostate secondo schemi di selezione del tipo professionale, come potrebbe avvenire nel contesto della vita lavorativa. Nessuno ha diritto, nella Chiesa, di rendersi missionario o evangelizzatore, né sacerdote o religioso, né di esercitare alcun ministero, se non è chiamato da Dio. Chiunque pronunci una sola parola senza essere stato scelto per elezione divina, ammesso che raggiunga il suo obiettivo, lo farà a suo danno giacché riscontrerà prima o poi di esercitare un compito che non gli compete e del quale non è all'altezza, proprio perché non essendo stato scelto non è stato neppure attrezzato. Il risultato sarà in questi casi quello di una grossa crisi esistenziale per se stesso che si trasformerà poco alla volta in una sorta i dissapore e di insoddisfazione per il popolo a cui si rivolge. Chi tuttavia riceve da Dio un siffatto compito, è da Questi sostenuto anche nelle lotte e nelle difficoltà, e per questo io rammento quanto da seminarista udii proferire da un vescovo Diocesano: "Se il Signore ti ha chiamato al sacerdozio, neanche una schiera di vescovi agguerriti riuscirà ad ostacolare tale progetto divino." E' vero che occorrono particolari requisiti per esercitare una funzione di carattere apostolico o pastorale, tuttavia è cosa certa che nell'affidare un compito il Signore non omette di fornire i mezzi necessari per poterlo portare a termine; ragion per cui è Lui stesso ad attrezzare e "plasmare" chi viene inviato, seguendo i Suoi propri disegni e finalità... A questo punto vale la pena che si apra una parentesi importante: quante volte si fanno preferenze, presso il popolo, fra un sacerdote e l'altro? E quante volte dette preferenze avvengono sulla base di illazioni e/o giudizi avventati e infondati? Si sente dire a volte: "P. Tizio non è come P. Caio; P. Caio non ha la stessa capacità di P. Tizio..." omettendo così di considerare che quando Dio chiama al ministero sacerdotale segue appunto i Suoi programmi che saranno differenti da persona a persona; e quindi è conseguenza legittima che un prete abbia determinati carismi specifici rispetto ad un altro. Tutti i carismi e le virtù sono comunque di edificazione per l'intero corpo ecclesiale.... Quante volte poi si viene a mancare alla propria fedeltà a Dio in conseguenza di uno scontro o di una delusione subita da un sacerdote? Non che si voglia omettere di considerare eventuali mancanze da parte dei pastori, tuttavia è un dato di fatto che molta gente perda la fede o non si avvalga più della grazia sacramentale a motivo di un'esperienza subita in negativo con un prete o con una persona "di Chiesa"... In casi come questi è lecito concludere che detta fede in realtà non si è mai avuta: se è vero da una parte che un ministro Dio è tenuto a rendere testimonianza fattiva della Parola che predica e ad essere di vita esemplare in tutte le circostanze, è tuttavia anche vero che questi esercita un mandato per il quale è Cristo che parla attraverso di lui ed è sempre Cristo in persona a dispensare, suo tramite, la grazia nei sacramenti. Forti di questa convinzione, anziché venir meno alla propria fedeltà di cristiani, si dovrebbe piuttosto essere motivati ad accrescerla, ben sapendo che indipendentemente dalle qualità personali di un sacerdote il nostro obiettivo nonché modello di vita è sempre Lui, Gesù Cristo, il quale si avvale di ministri secondo i suoi desideri. Chi ha detto poi che casi come questi non siano proprio delle "prove" con cui il Signore tende a saggiare la nostra fedeltà a Lui? Quanto appena riflettuto ha riscontro immediato nella liturgia della Parola di oggi: alla pari di Mosè, Giosuè e altri profeti, Amos qualifica se stesso come originariamente incapace di svolgere la missione di profeta: "ero un pastore e raccoglitore di sicomori". Tuttavia Dio lo sceglie e lo manda ad annunciare a tutti la fedeltà di Dio, non importa se lui stesso sia stato fedele in precedenza o se lo sia adesso: quello che Amos annuncerà non sarà un messaggio suo proprio, ma di provenienza divina e in quanto tale il popolo sarà tenuto a prestarvi attenzione. E gli apostoli? Non erano stati certo scelti fra le persone più insigni o sapienti dell'epoca! Eppure Gesù li invia a predicare a coppie e li rende forti del suo potere di scacciare i demoni. In più, dà loro la garanzia dell'assistenza morale e materiale per tutta la durata dei loro viaggi: "E ordinò loro che non prendessero nulla per il viaggio..." e infonde loro coraggio e fiducia nei casi di insuccesso e di difficoltà: "Se in qualche luogo non vi ascolteranno, andatevene e scuotete la polvere di sotto i vostri piedi...". Tutto questo ancora una volta per il fatto che essi non esercitano un ufficio di loro appartenenza, né annunciano un messaggio scaturente dalle loro elucubrazioni mentali, bensì la Parola di salvezza di cui Dio li ha resi mandatari. Chi non li ascolterà, non presterà ascolto neppure al Signore. |